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mercoledì 28 novembre 2018

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PERSEVERANTI NELL'AMORE PERSEVERANTE E FEDELE DI DIO, NONOSTANTE LE NOSTRE CADUTE
Tutta la nostra vita è una magnifica occasione. Permeata di Grazia, ogni nostra parola può sgorgare dalle stesse labbra di Dio. Ovunque e in ogni circostanza, tutto di noi e della nostra vita è l'occasione di una testimonianza. Siamo martiri, sempre in trincea. La nostra vita è uno specchio dove l'amore di Dio ha scelto di rifrangersi per la salvezza d'ogni uomo. Non v'è un istante della nostra vita, non v'è un aspetto, anche il più nascosto e segreto, che non sia irripetibilmente importante.
La perseveranza, rimanere abbandonati nel suo amore, è la chiave che apre la nostra vita al proprio compimento. Essa è come una saetta che preannuncia un temporale. La verità sfregia irreparabilmente la menzogna e ne svela l'effimera sostanza. Dove ha messo radici la menzogna, la verità nel suo incedere crea sconquassi, rompe equilibri acquisiti, l'agognato quieto vivere se ne va a carte e quarantotto. Perseverare, dal latino per - a lungo - e severus - rigoroso. La perseveranza è una virtù per la quale, dice San Tommaso d'Aquino, è necessaria la Grazia santificante, come tutte le "virtù infuse". Essa ci viene data attraverso un cammino di conversione lungo e severo, rigoroso. La perseveranza si impara sperimentando i frutti del combattimento sulla via della Croce, la preparazione del catecumenato che ogni cristiano è chiamato a compiere, perché all'uscita delle acque del battesimo ci attende l'arena del martirio.
La vita che ha preparato il Signore per noi non è propriamente una vita di pace, quella dell'elettroencefalogramma piatto, dell'assenza di conflitti. Gesù ci ha lasciato una pace diversa da quella soffice e avvelenata del mondo. La pace del mondo stringe in un abbraccio mortale, narcotizzando a poco a poco la vita sino a renderla insopportabile, mentre la pace del Signore è il frutto della sua personale guerra vittoriosa con il demonio e con la morte. La pace di Cristo è quella che ci traghetta dentro le persecuzioni che si scatenano in noi e contro di noi dai rantoli del mondo, della carne e del demonio. "Anche noi dunque, circondati da un così gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede" (Eb. 12, 1-2). La perseveranza è l'attitudine dell'amore. E' tenere fisso lo sguardo su Cristo, come un atleta fissa il traguardo, anche quando non lo può ancora vedere con gli occhi. Se non c'è traguardo non c'e amore, e quindi neanche la perseveranza. Per tagliare un traguardo si superano gli ostacoli, si soffre, ci si sacrifica, si combatte.
Quando nella vita viene a mancare lo scopo, il telos, il compimento, tutto diviene pesante, svuotato di senso, e la carne, il mondo e gli inganni del demonio prendono facilmente il sopravvento. Così ad esempio nello studio, o nei rapporti con le persone amate, gli amici, i fidanzati, gli sposi. Tutto è una corsa, un agôna, una lotta nella quale tenere fisso lo sguardo su Gesù nell'altro: questa è la chiave.
Il traguardo di ogni mia parola, di ogni pensiero, di ogni azione è Cristo, è l'affermazione e la vita di Lui in chi mi è di fronte, come anche nelle cose che faccio, nello studio, nel lavoro, nelle faccende domestiche, nello svago. Perseverare nelle fiamme della fornace ardente significa non smettere di contemplare il volto di Cristo, l'unico che è insieme autore e perfezionatore; fissare Colui che ha dato forma e vita a chi ho dinanzi, alla mia attività, e che, solo, può portare a compimento, al traguardo, al destino per il quale tutto è dato. Se il traguardo è Cristo, fissando Lui contemplo anche il mio tagliare il traguardo, perché in Lui il destino è già compiuto. Non batto l'aria, come dice San Paolo, perché il mio traguardo non consiste in qualcosa di corruttibile, ma è la corona che Gesù ha conquistato per me. Trattare duramente il proprio corpo per ridurlo in schiavitù, la perseveranza unita alla temperanza che fa combattere contro le concupiscenze e l'avidità idolatrica, non è un masochismo per privarsi di qualcosa di bello e buono; è invece l'abito di chi fissa Cristo, di chi ama anelando all'autenticità, al destino eterno, al desiderio più profondo del proprio cuore. E', secondo l'accezione di perseverare che si trova in Omero, "rimanere indietro, arrestarsi e non deviare, tenere duro, resistere" per non cadere e dimenticare il traguardo.
Ma è anche attesa, un protendersi come quello di una corda tesa, qaw in ebraico, da cui qawāh (aspettare, sperare) tradotto dalla versione greca della LXX proprio con hypomonê - perseveranza. Perseverare è dunque vivere in una tensione carica di attesa, l'amore che desidera il ben dell'altro in tutto, il compimento della Verità in ogni momento, e per questo il cuore e la mente sono sempre desti, fissi su Cristo.
Se fisso Lui nella fidanzata, persevero nell'amore, perché non mi perdo in quello che, in lei, non c'entra con Lui; e così posso portare il peso dell'odio di quella parte dell'altro e di me che non c'entra nulla con Cristo. Senza preoccuparsi di nulla, perché per chi ha il cuore retto, perseverante, lo Spirito Santo provvederà a tutto, a parole colme di sapienza, capaci di resistere ai sofismi della carne.
Parole spirituali, che non cadono nel sentimentalismo, nella gelosia, nell'invidia, buone solo per ferire e mostrarsi indifesi; parole e pensieri dettati dalla Sapienza della Croce, capace di dare ragione, e perseverare in essa, degli atteggiamenti santi ispirati dallo Spirito Santo. E' Lui che ci fa stare saldi nella castità, nella verità che rifugge l'ipocrisia, nella sobrietà e nella purezza. E' Lui che persevera in noi, che ci attesta che nessun capello del nostro capo perirà, e che tutto di noi è custodito per essere trasfigurato e consegnato a Cristo.
Scriveva San Benedetto nella sua Regola: "Come c’è uno zelo amaro che allontana da Dio e conduce all’inferno, così c’è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. È a questo zelo che i monaci devono esercitarsi con ardentissimo amore: si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza a vicenda le loro infermità fisiche e morali… Si vogliano bene l’un l’altro con affetto fraterno… Temano Dio nell’amore… Nulla assolutamente antepongano a Cristo il quale ci potrà condurre tutti alla vita eterna" (capitolo 72). La perseveranza di cui parla il Signore è un combattimento intriso d'amore, per non anteporre nulla a Lui, assolutamente.
Da questo assoluto scaturisce l'odio! Non possiamo far finta che non esista in un buonismo che uccide. Il Signore non fa giri di parole: "Chi non odia ... non può essere mio discepolo"; l'odio è l'altra faccia dell'amore, e la perseveranza nell'amore ci rende paradossalmente oggetto di odio da ciò che il nostro amore non abbraccia, anzi, da ciò che è raggiunto dal nostro stesso odio. Chi è amico del mondo è nemico di Dio. L'amicizia di Dio che ci ha raggiunti, e coinvolti in un cammino di reale conversione alla Verità, al Bello, al Buono, sovverte ogni dato acquisito nella nostra esistenza spesa a mettere faticosamente a posto, tra un compromesso e un'impennata d'orgoglio, ogni tessera del mosaico.
Chiaro che tutto si ribelli, si rivolti contro Chi tenta di rimettere le cose nel proprio ordine autentico. Come accadde ai fratelli di Giuseppe, che non riuscivano a gestire la profezia che egli annunciava con la sua sola presenza, con i suoi sogni e la sua vita. Erano carne della sua carne, e lo odiavano. Ma proprio quell'odio, ferendo il fratello, apriva misteriosamente la via alla loro salvezza. Ma doveva colpire Giuseppe, l'eletto di Dio, immagine dell'agnello che non avrebbe resistito all'odio del mondo intero. Giuseppe, profezia della Chiesa, e di ogni suo figlio, apostolo della misericordia che dissolve l'odio, dell'amore al nemico che disintegra il peccato nel sangue di Cristo.
Siamo quindi traditi da chi si sente da noi tradito. Da chi è sconvolto dalla Verità che ci fa liberi. Siamo tacciati di integralismo e fondamentalismo, perché abbiamo incontrato l'integrità della vita abbandonando la dissipazione, il fondamento che resiste alla dissoluzione. E siamo messi a morte, dai parenti, i più stretti, i più vicini. E forse dovremo salutare gli amici più cari, tagliare con il fidanzato, opporre una ineludibile durezza a nostro figlio. Saremo odiati anche dal nostro stesso uomo vecchio, quello che si corrompe dietro alle passioni ingannatrici, spesso vestite di luce, come lo studio, il lavoro, gli affetti.
Odiati da tutti. Esattamente come il nostro cuore ha sempre orgogliosamente odiato tutti e tutto, quando questi ci hanno sconvolto l'esistenza annunciandoci, con un fatto o una parola, la verità. Ma la Verità, Cristo, è il compimento della nostra vita. La sua pienezza qui ed ora è la Verità che si traduce in libertà. Per questo saremo consegnati ai tribunali, ai parenti, agli amici, ai colleghi di lavoro, a chiunque incontreremo. Perché in noi sarà consegnato Cristo. La nostra vita sconvolta e rovesciata dal suo amore come un cassetto ricolmo di oggetti da buttare, ci è donata per sconvolgere il piano del demonio, per essere un segno di contraddizione. Come lo fu Cristo con Giuda. Chi lo avrebbe immaginato che quel sangue sarebbe ricaduto sugli assassini per lavare ogni loro peccato? Chi lo può immaginare che il tuo sangue offerto per la moglie, il marito, i figli, i colleghi, per chi odia Cristo e la Chiesa, ricadrà su di loro anche oggi per scagionarli e socchiudergli il cammino al Cielo?
Nulla è per caso. Ogni persona che appare al nostro orizzonte non è un incontro fortuito, ma un dono di Dio per il quale noi stessi, e Lui in noi, siamo dono. Spesso un regalo rifiutato e odiato. Sì, saremo odiati perché il mondo sia salvato. E sarà odio benedetto perché sarà odiato Cristo in noi, e si incarnerà e svelerà la sua Croce che salva, la maledizione che dona la vita. Il suo sangue "ricaduto" sui suoi assassini come un lavacro di misericordia e di rigenerazione. Il suo mistero d'amore e di salvezza vivo e attuale sacramentalmente in noi.
Questo sono, ovunque e nel corso dei secoli, la Chiesa e i suoi figli: "sacramento di salvezza", come i tre giovani gettati nella fornace che, prendendo l'odio e il peccato su di sé, lo distruggono uniti a Cristo nella misericordia, per donare in cambio il perdono e la Vita nuova ed eterna. Questo siamo noi, odiati e rifiutati in questo mondo per servire e salvare la generazione che lo abita. La nostra vita è l'avvento di speranza nella quale ogni uomo può essere destato alla Verità. Siamo la carne di Cristo offerta ad ogni uomo, che si sta formando nel seno della Chiesa. Con amore infinito, come Stefano, il nostro sguardo fisso su Cristo e il volto come quello di un angelo, saremo ogni giorno testimoni credibili e fecondi dell'amore contemplato e sperimenta

martedì 27 novembre 2018



27 NOVEMBRE BEATA VERGINE DELLA MEDAGLIA MIRACOLOSA. QUELLA CHE SANTA TERESA DI CALCUTTA PORTAVA SEMPRE CON SE' E DISTRIBUIVA A TUTTI
“Una preghiera semplice e sublime insieme che l’Immacolata stessa, apparendo a Lourdes ha indicato, è il santo rosario. Esso divenga la spada di ogni persona che si affida all’Immacolata, così come la medaglietta (la Medaglia Miracolosa) è la pallottola che abbatte ogni male”. San Massimiliano Maria Kolbe
L' origine della Medaglia Miracolosa ebbe luogo il 27 novembre 1830, a Parigi in Rue du Bac. La Vergine SS. apparve a Suor Caterina Labouré delle Figlie della Carità di S. Vincenzo de Paoli, era in piedi, vestita color bianco-aurora, con i piedi su un piccolo globo, con le mani tese le cui dita gettavano fasci di luce. La stessa suor Caterina ci racconta l'episodio dell'apparizione: "Il 27 novembre 1830, che era il sabato antecedente la prima domenica di Avvento, alle cinque e mezza del pomeriggio, facendo la meditazione in profondo silenzio, mi parve di sentire dal lato destro della cappella un rumore, come il fruscio di una veste di seta. Avendo volto lo sguardo a quel lato, vidi la Santissima Vergine all'altezza del quadro di San Giuseppe. Il viso era abbastanza scoperto, i piedi poggiavano sopra un globo o meglio sopra un mezzo globo, o almeno io non ne vidi che una metà. Le sue mani, elevate all'altezza della cintura, mantenevano in modo naturale un altro globo più piccolo, che rappresentava l'universo. Ella aveva gli occhi rivolti al cielo, e il suo volto diventò splendente mentre presentava il globo a Nostro Signore. Tutto ad un tratto, le sue dita si ricoprirono di anelli, ornati di pietre preziose, le une più belle delle altre, le une più grosse e le altre più piccole, le quali gettavano dei raggi luminosi. Mentre io ero intenta a contemplarla, la Santissima Vergine abbassò gli occhi verso di me, e si fece sentire una voce che mi disse: "Questo globo rappresenta tutto il mondo, in particolare la Francia e ogni singola persona...". Io qui non so ridire ciò che provai e ciò che vidi, la bellezza e lo splendore dei raggi così sfolgoranti!... e la Vergine aggiunse: "I raggi sono il simbolo delle grazie che io spargo sulle persone che me le domandano", facendomi così comprendere quanto è dolce pregare la Santissima Vergine e quanto Ella è generosa con le persone che la pregano; e quante grazie Ella accorda alle persone che le cercano e quale gioia Ella prova a concederle. Ed ecco formarsi intorno alla Santissima Vergine un quadro alquanto ovale, sul quale, in alto, a modo di semicerchio, dalla mano destra alla sinistra di Maria si leggevano queste parole, scritte a lettere d'oro: "O Maria, concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a te". Allora si fece sentire una voce che mi disse: "Fa' coniare una medaglia su questo modello; tutte le persone che la porteranno riceveranno grandi grazie; specialmente portandola al collo. Le grazie saranno abbondanti per le persone che la porteranno con fiducia". All'istante mi parve che il quadro si voltasse e io vidi il rovescio della medaglia. Vi era il monogramma di Maria, ossia la lettera M sormontata da una croce e, come base di questa croce, una spessa riga, ossia la lettera I, monogramma di Gesù, Jesus.
In questo inesauribile piccolo "libro" della Madonna che è la Medaglia Miracolosa, troviamo anche una semplice, ma magnifica lezione "teorico-pratica" sulla tentazione. Maria si presenta a noi nell'atto di trionfare sulla tentazione e sul male: sotto i suoi piedi c'è il serpente, simbolo e sorgente dei nostri peccati, delle nostre ribellioni, dei nostri no a Dio. La tentazione è una prova e, in questo senso può essere permessa da Dio. Alcune volte, poi, è Lui stesso che ci mette alla prova. Come un orefice prova i suoi metalli preziosi col fuoco per saggiarne l'autenticità, così Dio prova la fedeltà dei suoi figli e le loro virtù anche con le sofferenze, per renderli più forti e per dare a loro una ricompensa ancora più grande, una gioia infinita che ripaga di ogni pena. Ma, comunemente, tentazione è un invito alla violazione delle leggi di Dio, è un richiamo a far trionfare l'uomo vecchio con tutte le sue esigenze, a far emergere i lati peggiori dell'essere, che si oppongono alla volontà di Dio, la sola buona per noi. In questo senso la tentazione non viene da Dio, ma da colui che da sempre lo odia e odia anche noi, volendoci accomunare a sé nel rifiuto e nel distacco eterno dal nostro Padre celeste, fonte di ogni vera felicità. Dio perciò non può volere queste tentazioni, ma le permette non facendoci mancare mai il suo aiuto e sapendone ricavare un bene per noi, a lode della sua gloria. La Madonna della Medaglia Miracolosa ci viene vicino e ci suggerisce i mezzi per vincere le tentazioni.
1) Evitare le occasioni. La prudenza è una virtù che è stata praticata anche da Maria. Lei, che poggia i piedi sulla terra, schiaccia il serpente perché è ancorata a Dio: nell'apparire come la Madonna del Globo, Maria volge gli occhi e le mani al Cielo.
2) Meditare i dolori di Gesù e Maria, simboleggiati dalla Croce e dai due Cuori nel retro della Medaglia.
3) Avere un grande amore e una grande devozione all'Eucarestia, comunicandosi spesso, cosa che presuppone anche la confessione frequente.
4) Seguire la guida di un confessore che possibilmente sia sempre lo stesso. Questo ha raccomandato la Vergine anche a suor Caterina nella prima apparizione, insegnandole ad aver fiducia e a confidare tutto al suo confessore.
5) Ripetere spesso, specialmente nei momenti di più forte tentazione, la giaculatoria che Lei stessa ci ha insegnato, chiedendole, di aiutarci a vincere, ad ogni costo, per essere suoi veri figli e per dar gloria al Signore. Il solo pensiero di Maria, facilitato dalla Medaglia, è uno dei mezzi più efficaci contro la tentazione. Fra i raggi che partono dalle sue dita ci sono anche quelli che simboleggiano la grazia che Dio ha posto nelle Sue mani per aiutarci a vincere le tentazioni. Ma dobbiamo domandarla, questa grazia, perché scenda efficace sulle nostre anime! Non chiediamo solo ciò che si vede e che si tocca. Ma, se vogliamo sempre più svincolarci dal serpente e resistere alle sue seduzioni, è necessario fare un passo avanti: dobbiamo gettarci fra le braccia di Maria, dobbiamo stringerci al suo Cuore: là il serpente non potrà mai raggiungerci. La consacrazione realizza questa speciale unione con lei. Questo è il significato del globo che la Vergine tiene fra le mani, come una madre che stringe a sé e offre a Dio il suo bambino, per difenderlo dal pericolo. E se la tentazione dura e la lotta si fa più difficile, guardiamo il Cielo dove Maria ci aspetta: le stelle rappresentano il Cielo aperto, il Paradiso; là il Signore ci ha preparato un posto e là Maria ci vuol portare. San Francesco diceva: "Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto". Come l'Immacolata, teniamo anche noi gli occhi fissi al Cielo, senza dimenticare la terra nella quale dobbiamo dare testimonianza di vita cristiana, di generosità e di perdono; guardiamo a Lei che ci incoraggia, che ci sostiene nei nostri sforzi e ci premia per le nostre vittorie unendoci sempre più intimamente al suo Figlio Gesù.
Impegno: Sotto lo sguardo di Maria, guardiamo alla nostra vita, alle nostre scelte, ai piccoli e grandi "no" che per debolezza o per egoismo diciamo a Dio e proponiamoci di fare al più presto una buona confessione.
Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte.
O Maria concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a te. (Fonte: Preghiere a Gesù e Maria

L'immagine può contenere: una o più persone, persone sedute e spazio al chiuso
LA GELOSIA DELLO SPOSO AFFOGA NARCISO NELLE ACQUE DEL BATTESIMO PER FARLO RINASCERE CON LUI NELL'AMORE CHE LO RENDE LIBERO E SAPIENTE
Ci stiamo avviando ormai al tempo di Avvento e il Vangelo oggi ci parla del discernimento. Ciò che distingue i cristiani è avere discernimento, ovvero uno sguardo celeste sul mondo. Saper leggere i segni dei tempi e non restare imbrigliati nei fatti della storia, sia quella che andrà a finire nei libri, sia quella che invece resterà per sempre racchiusa nel perimetro della nostra semplice e "apparentemente" marginale esistenza. Non lasciarsi inghiottire dal fluire spesso burrascoso degli eventi lasciando che la "vulgata" popolare, il "pensiero unico dominante", ci imbavagli mente, occhi e cuore, imponendoci le "ovvie" e assolutamente "corrette" conclusioni e interpretazioni.
Discernere è saper leggere i segni dei tempi con “attenzione” per “non lasciarsi ingannare” dal pensiero del mondo che, infiltrandosi spesso anche nella Chiesa, pretende di parlare “nel nome” del Signore; esso legge il “tempo” che viviamo come “prossimo” a chissà quali “rivoluzioni” morali e “guerre” culturali, destinate ad inaugurare un mondo nuovo di pace e tolleranza. “Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo”, ammoniva l’allora Card. Ratzinger.
Chi è stato riscattato dal Signore e vive ormai “crocifisso con Lui” è entrato nella “libertà dei figli di Dio che credono insieme nel Corpo di Cristo, e vedono così la realtà, e sono capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo” (Benedetto XVI). Per questo non siamo “terrorizzati” davanti alla storia, e non ci lasciamo “prendere dal panico” per la violenza culturale con cui il demonio vuol lavare il cervello a questa generazione; non rispondiamo con la stessa strategia mediatica a chi sta imponendo la distruzione della famiglia, della sessualità e della vita; non cadiamo nelle trappole affabulatorie per “seguire” la menzogna dei falsi profeti.
Vi è una chiave che "apre" all'intelligenza delle cose, ed è lo Spirito Santo. E' lo Spirito che attesta a San Paolo che in ogni città lo attendono le catene, la sofferenza e infine il martirio. E' lo stesso Spirito che illumina il Signore sul Suo cammino, che lo dirige e lo educa a poco a poco nella coscienza che c'è un "dover" andare a Gerusalemme, un "dover" essere riprovato, tradito e condannato.
E' lo Spirito che sigilla nel cuore e nella mente del Signore la certezza dell'importanza assoluta e decisiva della Croce che lo attende, della tomba già preparata. Ed è lo Spirito che attesta al cuore di Gesù e della Vergine Maria l'unicità della Risurrezione, che nessuno capirà sino a che non ne sarà coinvolto personalmente per mezzo dello stesso Spirito.
Vi è come una linea di "dovere" nella vita del Signore, come nella storia di ciascun uomo, di ciascun popolo. Ed essa corre diritta verso la Croce e la Risurrezione, perché la storia reca in sé il seme del Mistero Pasquale del Signore. Satana non la pensa così, non ha il "pensiero" di Cristo, lo Spirito di Dio. Anche se a parlare e a sbraitare contro la Croce è Pietro: a lui Gesù griderà di retrocedere e di porsi alla sua sequela piuttosto di tentare di guidarne il cammino, perché ogni pensiero contrario alla Croce è di satana. Ed è un criterio fondamentale in me, come dentro i grandi eventi del mondo. Questa è la chiave, l'unica, capace di svelare il mistero della storia. In Medio Oriente come in Italia, in Giappone come in Spagna, nel mio ufficio, nella mia famiglia, nel mio intimo: la Croce gloriosa del Signore.
Sappiamo, per esperienza, di vivere nel “prima” dove Dio parla e agisce con i “segni” della Croce che, come un aratro, dissoda il terreno della storia perché vi sia seminata la salvezza. In essa il Signore ci abbraccia e ci “inchioda” alla “sua amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità” (Benedetto XVI), nella certezza che in ogni secondo è racchiuso il destino dell'umanità. Nella vita dell’unico “Io sono” - il nome con cui Gesù si rivela come Dio - vi è una linea rossa che, con “segni” concreti, gli rivela la “necessità” di “visitare” ogni Zaccheo “perduto”, perché la “salvezza entri nella casa” di tutti. Quando Dio visita un uomo addormentato e seduto sulla propria anima “è necessario che accadano” gli sconvolgimenti nella sua vita: non scandalizzatevi, i “terremoti, le carestie e le pestilenze” sono frutti del disordine di morte recati dal peccato, ma Dio non vi si oppone proprio perché ci ama e vuole svegliarci.
Così i problemi e gli imprevisti in famiglia, al lavoro, a scuola; così la crisi del figlio e della fidanzata, la malattia e il licenziamento. Il male “deve” emergere “di luogo in luogo”, come il pus da una ferita, perché possa incontrare ancora e sempre il Medico che lo assuma trasformandolo in misericordia. Nelle “sollevazioni di popoli e regni” gli uni contro gli altri, appare la divisione seminata dal demonio, il peccato che ha reso nemici Adamo ed Eva, e poi, come un fiume in piena, tutti i loro figli, da Caino e Abele ad ogni generazione, sino a “distruggere” il vero Tempio, il corpo benedetto del Signore.
Vi è una fine che non è il fine che aspetta ogni cosa, ed è la fine che dischiude la vita celeste. In ogni evento, in ogni persona è inscritto il Mistero Pasquale del Signore, perché tutto è stato creato in Lui e per mezzo di Lui, e nulla sussiste se non in Lui. Rinunciare a Lui, allontanarsi dal Signore, è condannarsi alla totale cecità, a non vedere, non capire nulla della storia e delle persone. Con le conseguenze più drammatiche.
Le parole di Gesù oggi ci chiamano alla vigilanza. A non seguire nessuno che non sia Lui. Chiunque ci consiglia di scappare dalla croce, dalla storia concreta che ci è data, nasconde la presenza del demonio. Ci troviamo già nel combattimento decisivo. I segni sono davanti ai nostri occhi. Ma non è ancora la fine! Siamo figli della luce, sappiamo che il demonio è il principe di questo mondo, e i suoi figli sono in guerra con il Signore. Ogni certezza umana, comprese quelle religiose divenute routine separata dalla fede che si fa vita, sono destinate alla distruzione. Anche il Tempio, con ogni sua ricchezza.
Il discernimento della Chiesa sa che gli edifici, per quanto belli e testimoni della fede di chi li ha progettati e costruiti, sono precari. Non bisogna restare a specchiarcisi come Narciso: era un giovane molto bello, del quale si innamorò perdutamente Eco, una ragazza splendida ma troppo loquace. Gli dei vollero punire questo suo difetto e la resero muta. Era capace di ripetere solo le ultime parole che le rivolgevano. Narciso non resistette a questo difetto della sua innamorata. Non la ritenne degna di lui e si chiuse nel suo egoismo, decidendo che non le avrebbe mai rivolto le parole "ti amo". Per questo Eco morì di crepacuore. Gli dei, quando si accorsero del dramma, condannarono Narciso a chiudersi sempre più in se stesso, e a innamorarsi della sua immagine. Al punto che, vedendola specchiata in un laghetto, volendola abbracciare rimase annegato nel fondo dello specchio d'acqua.
Esattamente come accade a noi quando restiamo attratti dal nostro ego, per esaltarci o deprimerci. Incantati davanti alla nostra immagine, passiamo il tempo a pensare a noi stessi, ai pregi o ai difetti, e dimentichiamo Dio, che ci ha creati belli e perdonati mille volte per annunciare la bellezza del suo amore. E cominciamo a disprezzare chi ci è accanto, come i farisei innamorati della loro pretesa giustizia, come il popolo di Israele che credeva di non soccombere davanti alle potenze straniere solo in virtù della presenza del Tempio. E così non sappiamo più dire a nessuno "ti amo", perché invece di abbeverarci alla fonte dell'amore che è Dio, ci specchiamo nel nostro nulla sino a morirci affogati tra depressioni e crisi esistenziali. Non può dire "ti amo" a nessuno chi non sa dirgli prima "Dio ti ama". Così un marito o una moglie, un genitore, un fidanzato, un amico. Così la Chiesa, non può amare davvero se, prigioniera di se stessa, dei suoi schemi e progetti, non può amare il povero, il peccatore, il lontano perché ha smarrito l'amore di Dio. Vive di se stessa, non del suo Sposo.
Attenti allora, in qualunque momento possiamo perdere la Grazia e la bellezza di Cristo che rifulge in noi, come nelle nostre comunità. Quando, infatti, le costruzioni di pietre, comprese le liturgie e le preghiere, non esprimono più lo stesso contenuto di fede e i cristiani non escono per gettarsi sino agli estremi confini della terra ad annunciare il Vangelo, crollano miseramente. Una cattedrale costruita in tanti anni, può essere distrutta da un terremoto, o divenire un museo o auditorium per concerti... Come accade alle nostre parrocchie senza zelo preoccupate di gestire l'esistente dimenticando la pecora perduta, sempre più vuote; come succede ai seminari, trasformati in bred and breakfast... Il rumore sordo delle “pietre” che cadono le une sopra le altre, annuncia però il mistero Pasquale di Gesù che “distrugge” ogni “spelonca di ladri”, esteriormente “bella” e degna di “ammirazione”, ma “piena di rapina e iniquità” al suo interno. Quelle pietre devono cadere perché giunga la purificazione che strappi i cristiani all'ipocrisia per ricondurli alla verità di una vita accordata con la fede adulta.
Quelle pietre ci ricordano la pietra grande deposta sul pozzo di Sichem, che impediva a Rachele di far abbeverare il suo gregge, pesante come quella che serrava il sepolcro del Signore. Un midrash ci racconta che "una rugiada di risurrezione discese dai cieli su Giacobbe rendendolo coraggioso e forte. Grazie a questa potenza, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo, e le acque salirono dalle profondità, traboccarono e inondarono. I pastori stavano in piedi, stupefatti, perché non era più necessario il secchio per attingere". Con la stessa potenza il Signore è risorto dal sepolcro facendone rotolare via la pietra.
Per questo, i cumuli di pietre in cui si riducono le opere delle mani dell’uomo sono i “segni” che decretano la “fine” di ogni sapienza della carne perché non sia più necessaria per attingere scampoli di felicità; ma annunciano contemporaneamente il fine della vita di ogni uomo, la vita eterna conquistataci da Cristo. Dietro ad ogni “fatto terrificante” e ai “segni grandi dal cielo” che sconvolgono la storia e la nostra vita, vi è il Signore "forte e coraggioso" che sta rovesciando di nuovo la pietra che ci tiene prigionieri nella tomba, per aprire un varco affinché la sua vittoria sulla morte giunga sino a noi e a chi Dio lega alla nostra vicenda, come acqua che "trabocca" di vita. E’ Lui che, a tutti noi assetati d’amore e verità, attraverso la forza dei fatti che per il mondo significano solo distruzione, rivela il potere del suo amore che dischiude, come fece Giacobbe innamorato di Rachele, il pozzo dove “dissetarci con gioia dell’acqua viva dello Spirito Santo che zampilla sino alla vita eterna”.
Per questo Gesù ci ha annunciato che il Padre cerca adoratori in Spirito e Verità. La Chiesa è molto più degli edifici, anche di quelli magnifici che esprimono la fede di una generazione. La bellezza di una cattedrale gotica, o di un'icona del XIV secolo è nulla in confronto a un cristiano che offre la sua vita per il nemico. La bellezza che salverà il mondo brilla sul volto del Servo di Yahwè, incarnato nella sua Chiesa pellegrina nella storia.
La chiesa è la comunione tra i fratelli, l'amore celeste che li unisce. Fratelli che si perdonano, che ricominciano ogni giorno in virtù della risurrezione del Signore: è questo il Tempio non costruito da mani di uomo, il corpo vivo di Cristo nella storia. Ammirarlo apre alla salvezza. Le chiese e l'arte hanno sempre espresso questo contenuto d'amore. Quando l'ammirazione si ferma alle pietre è vana. Se costruiamo templi perché siano ammirati li vedremmo ridotti un cumulo di pietre.
Il ministero presbiterale, il matrimoni, lo studio, il lavoro, vissute in Cristo sono opere d'arte che mostrano il voto di Dio. Edificati per noi stessi, per vanagloria, si corrompono. Perché tutto ciò che non è edificato sulla Pietra scartata dai costruttori esprime il vuoto, per quanto esteticamente bello possa apparire. La sessualità ad esempio, se non esprime il contenuto di un amore fatto dono totale, è un tempio costruito per essere distrutto. Non resterà nulla di quell'amplesso che non sorge dall'amore autentico, sigillato dal sacramento, che fa dei due una carne sola. Laddove non vi è l'offerta di se stessi, nella mente e nel cuore prima ancora che nel corpo, nella conseguente apertura alla vita che Dio potrebbe donare, l'unione sessuale resta come un bel Tempio edificato per adorare se stessi. E non resterà nulla perché Dio distruggerà chi distrugge il suo Tempio che Cristo vivo in ogni uomo.
Ma il Signore anche oggi passa nella nostra vita, Lui, il vero Tempio già ricostruito che cerca ciascuno di noi, anche nella nostra cecità, per ridonarci la vista, e con essa la vita. La vita in Lui dentro la storia di ogni giorno. La certezza che, come diceva San Francesco, è "morendo che si resuscita a vita nuova", con uno sguardo pieno di benedizione sul passato, di stupore sul presente, di speranza sul futuro. "Deve" morire il chicco per non restar solo, "devono" accadere tanti fatti "crocifissi" nella nostra vita, ma la speranza non delude, perché il suo amore è stato riversato nei nostri cuori. Perché Cristo ha sollevato la pietra di ogni nostro sepolcro.

lunedì 26 novembre 2018

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Il superfluo è esattamente la zona della vita dove passiamo la maggior parte del nostro tempo e per la quale occupiamo le nostre migliore energie e risorse. Francamente, il superfluo, tutto ciò che è periferico a quel che davvero conta, tutto quello che è laterale alla tremenda serietà della vita, questo davvero ci appassiona e ci trascina. Facciamo surf sulle onde della vita, fluiamo sopra gli eventi e le relazioni, non vi entriamo mai realmente, secondo l'etimologia latina del termine superfluus composto di super - "sopra" - e fluus da fluere - "scorrere"-.
L'illusione di essere vivi e di vivere fino in fondo le cose, ha quasi sempre il sopravvento su ogni timido tentativo di prendere seriamente la vita tra le mani e chiedersi per quale motivo ci vien data e per che cosa valga la pena viverla. I cosiddetti amori travolgenti, passionali, dove il cuore in gola acceso da uno sconvolgimento ormonale cattura tutta la scena e diventa l'assoluto protagonista dell'esistenza; o qualunque altra "passione", civile, sportiva, culturale, religiosa, perché no?, al diventare "assolute" stringono mortalmente le anime, le menti e i cuori in un cappio mortale. La menzogna del superfluo, del marginale che assurge ad assoluto. Il superfluo che diventa il motore dell'esistenza.
Attenzione, il superfluo non è un male, anzi, fa parte della vita, ma è come la terra che gira intorno il sole, non è il centro e il fondamento dell'esistenza. E' "super", è lo stesso "di più" che il Signore ha miracolosamente moltiplicato. E' l'abbondanza che Dio non disdegna, anzi, al punto che in tutta la letteratura profetica e sapienziale il "superfluo" - che, etimologicamente, si può anche leggere traboccante, che scorre sopra il livello - l'abbondanza, sono segni dell'ormai avvenuta era messianica. Ma porre il superfluo come centro della vita è rovesciare la verità delle cose in menzogna, scambiare il frutto con l'albero, il Creatore con la creatura. "Voi mi cercate non perché avete visto dei segni - i pani moltiplicati e avanzati, al punto di divenire "superflui" - ma perché avete mangiato e vi siete saziati" diceva il Signore a Cafarnao dopo la moltiplicazione dei pani. E' idolatria. E' la fonte della più grande sofferenza. E' la porta della solitudine.
Al Tempio, i ricchi, i tronfi che credono di possedere e invece sono così stolti da aver perso la bussola e smarrito il centro e il senso dell'esistenza, gettano del loro superfluo. Come Caino, riconoscono al Signore una parte minima della loro esistenza, e neanche la migliore. E superfluo può voler dire anche inutile, che non serve, come il grasso superfluo, le parole superflue... Essi sono immagini di tutti noi che viviamo una vita in superficie e in superficie viviamo il rapporto con il Signore. La vedova invece, è ormai priva di tutto, ha terminato il suo cammino di fede attraverso la spoliazione d'ogni superfluo, non le rimane che l'"essenziale" per vivere. La vedova non ha nulla sulla terra.
Anche i beni messianici, anche l'abbondanza delle benedizioni celesti sembrano essere scomparse: il marito, i figli, nessuno più. Nuda con due centesimi. Tutta la sua vita. Ha gettato tutta la sua vita nel tesoro del Tempio, nel cuore di Cristo. Non consegna al Signore il superfluo, i pani avanzati, il segno del suo amore in lei; ella consegna la sua vita colmata, risanata. Ella consegna i talenti moltiplicati, la sua vita e l'opera di Dio; non conserva nulla, non difende, perché ormai in lei è tutto rigenerato, ordinato, pacificato. In questa vedova si compie lo Shemà, ella ama con tutta la sua mente, con tutto il suo cuore, con tutte le sue forze.
Gesù registra un dato, non loda l'aspetto morale della vicenda, la generosità della vedova: solo chi ha camminato nella fede sino a non avere più nessuna sicurezza su questa terra, solo la vedova, l'"ultima" nella società (secondo la traduzione della parola greca "sua povertà" che appare nel Vangelo), solo chi dalla periferia della vita è stato condotto al centro dove si gioca il destino dell'esistenza, solo chi ha percorso il cammino in discesa che conduce alle acque battesimali, può "gettare", consegnare, perdere la sua vita. Tutta.
Perderla non in un senso moralista e volontarista. Perderla perché è già del Signore, perdere e gettare via l'appropriazione di quel che non è nostro e che ci è stato affidato. Gettare i due spiccioli nel tesoro del Tempio significa riconsegnare a Dio ciò che è suo da sempre. Significa accogliere la verità sulla nostra povertà, sul nostro non poter fare nulla senza di Lui. Significa gettarsi tra le sue braccia, consegnargli la totale precarietà che costituisce la nostra vita.
Perdere la nostra vita nel Signore è riaverla moltiplicata eternamente. Come Cristo ha gettato e consegnato per noi la Sua vita, tutta, nel tesoro del suo tempio che siamo noi. La Sua vita in noi, completamente, perché la nostra vita sia in Lui, altrettanto completamente. Questo è vivere la vita sino in fondo, al suo centro e autenticamente. Una vita d'amore.
La vedova offre lontana dagli sguardi umani, dalla gloria vana di questo mondo. Ella vive per Dio! Il suo rapporto con Lui è un segreto che nessuno poteva conoscere, non ha apparente significato, non ha valore umano. E' come il piccolo seme gettato in terra, che rimane celato agli occhi umani. Così è il dono di tutta la vita, l'offerta delle piccole cose che la costituiscono; non sono i grandi gesti, fatti magari suonando la tromba o facendo sentire l'eco delle monete che scendono... è la fedeltà nel poco, che non significa quantità, ma il poco che siamo, il piccolo spicciolo che costituisce oggi la nostra vita: il lavoro e la sua routine che non ci piace, la stanchezza del marito, il nervosismo della moglie, il carattere del figlio, il mal di denti, il traffico, il non potersi comprare qualcosa o non poter dare ai figli quello che desiderano...
Offrire tutto se stessi, giorno dopo giorno, nel tesoro del Tempio è farsi un tesoro nel Cielo di cui il Tempio terreno è immagine. Ma il nuovo Tempio è Cristo. Quindi dare offerte al Tempio è vivere già nel Cielo. Proprio all'ultimo posto, sconosciuti, come in un convento di clausura; eppure quelle due monete "restituite a Dio" come i Talenti, producono un frutto impressionante, proprio alle persone vicine e anche lontane. I missionari si muovono grazie alle preghiere dei conventi, l'offerta silenziosa delle sofferenze dei malati. Le nostre offerte.
E allora, nel segreto dell'apparente insignificanza, possiamo prendere il mappamondo, girarlo e andare in un istante in qualunque parte del mondo, perché è come mettere la nostra vita in un satellite che rimanda l'immagine presa in diretta nel nostro posto di ora, nella sofferenza, e poi "vista" all'altra parte del mondo, fa frutto dall'altra parte del mondo, come al nostro fianco. Il satellite è il corpo glorioso di Cristo a cui associamo e offriamo la vita perché la presenti al Padre e faccia piovere la Grazia. Siamo ogni istante "in diretta", come un Reality segreto, dove tutta la nostra vita diviene immagine di Dio, salvezza per ogni uomo.

domenica 25 novembre 2018

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SOLENNITA' CRISTO RE



«Il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18,36). Il regno di Cristo è già cominciato su questa terra e durerà sino alla fine del mondo; la mietitura infatti coinciderà con la fine del mondo, quando verranno i mietitori, cioè gli angeli, e toglieranno dal suo regno tutti gli scandali, il che non avverrebbe se il suo regno non fosse già qui. Però non è di quaggiù, perché nel mondo è come pellegrino; è a questo suo regno, infatti, che dice: «Voi non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo» (Gv 15,19).
Erano dunque del mondo quando non appartenevano al suo regno, ma al principe del mondo. Appartengono infatti al mondo tutti gli uomini, creati sì dal vero Dio, ma generati da una stirpe viziata e condannata in Adamo; ma ciò che è stato rigenerato da Cristo forma un regno che non è di questo mondo. Così Dio «ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1,13). Di questo regno dice: «Il mio regno non è di questo mondo», oppure: «Il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18,36). «Allora Pilato gli disse: Dunque tu sei re? Rispose Gesù: Tu lo dici; io sono re». Poi soggiunge: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità» (Gv 18,37). Ma poiché la fede non è di tutti, per questo aggiunse: «Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18,37). Ascolta con le orecchie interiori, cioè dà ascolto alla mia voce, il che in una parola vuol dire: crede in me. Quando Cristo rende testimonianza alla verità, rende testimonianza a se stesso: è sua infatti l’affermazione: «Io sono la verità» (Gv 14,6). E in un altro punto disse pure: «Io rendo testimonianza di me» (Gv 5,31). Credo che quando Pilato disse: «Che cos’è la verità?» gli sia venuta subito in mente la consuetudine dei Giudei di liberare uno durante la Pasqua; perciò non aspettò che Gesù gli rispondesse che cos’è la verità, per non frapporre indugio, avendo ben ricordato quell’uso per cui Gesù poteva essere messo in libertà durante la Pasqua; e che lo desiderasse molto è evidente. Tuttavia non si poté togliere dalla mente che Gesù era il re dei giudei, quasi questa verità di cui aveva chiesto spiegazione, gli si fosse impressa dentro come l’avrebbe scritta sulla croce. (Dai «Trattati sul vangelo di Giovanni» di sant’Agostino)

sabato 24 novembre 2018


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LA FEDE NELLA RESURREZIONE SORGE E CRESCE NELL'ESPERIENZA DEL PERDONO DEI PECCATI CHE BRUCIA L'UOMO VECCHIO CON UN AMORE CHE NON SI CONSUMA MA CI RIGENERA IN ETERNO
La risurrezione è certa perché esiste un “altro mondo” che si rivela in coloro che “ne sono giudicati degni”: la vita soprannaturale che in loro si manifesta ne è la garanzia. Un uomo il cui corpo non è più schiavo della concupiscenza, ad esempio, è come una primizia della resurrezione: quel corpo ha già conosciuto qui sulla terra una forza capace di strapparlo alla corruzione, che è sempre figlia dell’inganno demoniaco che mette in discussione l’esistenza amorevole di Dio. Per questo, Gesù risponde alla questione posta dai sadducei, immagine di tutti quelli che negano la risurrezione, “parlando bene” del “Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe”; essi sono “vivi” nella storia di salvezza e amore che Dio ha inaugurato con loro e nella quale si è affacciato divenendo l”Emmanuele”, il Dio vivo con loro, sino a farsi carne in suo Figlio. Così Gesù, per annunciare la resurrezione, insegna storia, perché è in essa che Dio si rivela e depone i semi della risurrezione. Al solo nominare i Patriarchi accanto a Dio, Egli ricorda i memoriali legati a ciascuno di loro, le tappe che un ebreo conosceva bene essendo parte della propria storia. Sino a ricondurre i sadducei all’alba della Pasqua, profezia di quella che Lui avrebbe vissuto nella sua morte e risurrezione. Chi poteva avere tanto potere da liberare gli Ebrei, quel manipolo di poveri uomini dal giogo di ferro del Faraone, più potente dei re della terra? La risposta è identica: Io sono colui che sono ha il potere di liberare gli schiavi del Faraone e quelli sottoposti agli angusti confini della carne. Così risale all'alba della Pasqua, al mistero del roveto ardente, immagine della sua vita che non ha subito la corruzione nelle fiamme degli inferi. E qui vi trova la risposta per i sadducei, perché “non osino più” interrogare surrettiziamente per mettere in dubbio il destino di resurrezione che attende ogni uomo. La resurrezione non è un’ipotesi o un mito, ma è Dio che si rivela a Mosè, ardendo in un amore che non si consuma e brucia la morte e il peccato. Quel roveto è la vita divina che brucia senza consumare la carne di Cristo; è la Vergine Maria, la Chiesa, nella quale il Cielo prende dimora sulla terra; è il mistero della vita divina che scorre nella carne debole e fragile dei cristiani, la tua e la mia, e ci fa vivere da risorti in un mondo di morti, come un vessillo e un annuncio. E’ il fuoco che il mondo aspetta, l’unico che avrà ragione dell’inganno che ovunque sputa corpi e menti deturpati dal peccato. Il fuoco della vita eterna che riduce in cenere le menzogne del demonio, e illumina le tenebre del pensiero unico che mette fuori gioco Dio, e contesta le certezze agnostiche di Veronesi e di tutti gli intellettuali illuminati con l’amore che arde nelle malattie facendone un altare dove offrirsi crocifissi con Cristo. Il fuoco che assorbe nella pietà tutta la pornografia che ci assedia e uccide l’immagine divina nelle donne, vergini, spose e madri; il fuoco che è capace di bruciare le radici piantate dal demonio nel cuore degli uomini per produrre leggi assassine che scartano i deboli. Il fuoco che ci conduce fuori dall’Egitto della schiavitù per condurci sul cammino dell’amore oltre la morte; il fuoco che semina nel mondo figli santi che amano oltre la morte perché, nella Chiesa che li ha rigenerati nella misericordia, sono primizie del Cielo. Come Gesù, che è stato “giudicato degno dell’altro mondo” per essersi umiliato sino alla morte di croce, per non essersi difeso e aver offerto la propria vita. E’ “Signore”, il Kyrios, perché ha amato sino alla fine.
I figli di Dio, tu ed io, siamo chiamati a divenire “figli della risurrezione” nel Figlio che ha vinto la morte. I cristiani nei quali la fede ha raggiunto la statura adulta, partecipano ormai della natura e della vita divina, e sono, già in questo tempo e in questo mondo, “giudicati degni di un altro mondo e della risurrezione dai morti”: sono cittadini della Gerusalemme celeste, della quale spargono nel mondo i segni credibili che chiamino gli uomini alla fede. Nella Chiesa possiamo vivere ogni relazione in modo diverso, celeste, perché siamo “uguali agli angeli”, già oggi, nella debolezza della carne, ma non ancora in pienezza: “hanno moglie come se non l’avessero… possiedono come se non possedessero, usano del mondo senza usarne appieno”. Per questo Gesù dice che “non prendono moglie né marito”: nei peccati abbiamo visto già “passare la scena di questo mondo”, e sappiamo che “il tempo si è fatto breve” come la distanza che ormai ci separa dal Cielo. Occorre riempirlo di opere che testimonino al mondo la vita eterna, inducendo chi ci è accanto a desiderare di vivere come i cristiani. Essi, infatti, in famiglia come a scuola e al lavoro, nel dolore e perfino affrontando un cancro, “non possono più morire”; per questo non si difendono più come i figli di questo mondo, che afferrano e si impadroniscono voracemente di cose e persone per stordire la paura della morte, tentando così di allungare il tempo nell’illusione di allontanare la tomba. In noi è vivo il “Dio dei vivi” che vuole trasfigurare la nostra carne incapace di andare oltre la biologia ferita dal peccato, come “la donna data in sposa a sette mariti” posta ad esempio dai sadducei. Sette, come i peccati capitali, come gli sposi di Sara morti nella prima notte di nozze. Ma Gesù ha vinto il peccato e la morte e viene oggi ad unirsi a ciascuno di noi come Tobia: è Lui il Marito al quale siamo stati promessi sin dall’eternità. Egli ha inaugurato per noi l’”ottavo” giorno, del quale con i sadducei di ogni tempo anche tutti noi, schiacciati nel dubbio di fronte al dolore e alla morte, non potevamo sospettarne l’esistenza. In esso siamo chiamati a vivere già da ora attraverso una vita feconda di un amore che, tra le fiamme della storia, non si consuma, capace di perdonare e donarsi oltre i limiti della carne. In questo amore divino possiamo far risplendere la bellezza di un matrimonio indissolubile, impossibile per chi non lo ha sperimentato; e la gioia di una sessualità aperta alla vita come ci insegna la Madre Chiesa. Una famiglia numerosa che vive abbandonata alla provvidenza di Dio, è un fuoco che arde misteriosamente in mezzo a un mondo confuso come Babele, chiuso alla vita naturale e aperto a quella innaturale prodotta in laboratorio e affidata a relazioni che non conoscono la fecondità della diversità e complementarietà tra maschio e femmina inscritta da Dio nell’uomo. Esiste la risurrezione perché i cristiani, ciascuno di noi, “esistiamo per Lui”; non nei salotti della televisione, ma nella vita di ogni giorno si vede che, in tutto, il Dio dei vivi è sempre con noi, come lo è stato nella storia della salvezza con Abramo, Isacco e Giacobbe. E, attraverso di noi, sta giungendo a ogni uomo per attrarlo nella Pasqua, come ha soccorso e risuscitato il suo Figlio.

venerdì 23 novembre 2018

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LO SPOSO PURIFICA LA SPOSA CON IL SUO SANGUE PERCHE' LA SALVEZZA GIUNGA A OGNI UOMO
Il Signore si accende di zelo in quel luogo particolare che erano i cortili del Tempio, riservati a coloro che non avevano accesso diretto al Santo, al luogo separato, dove offrire il sacrificio. Nel suo Vangelo, Marco si riferisce al solo Cortile dei gentili. Luca parla di cortili in generale, i luoghi per i piccoli, per gli ultimi, per quanti non potevano avere parte al culto. Si tratta quasi di un rovesciamento, ed è quello che percorre tutto il Vangelo: quei cortili costituiscono l'unica ragione d'essere del Tempio. Il Santo dei Santi esisteva per i pagani, per i peccatori! L'esatto contrario di quanto avevano finito per interpretare gli scribi: la purezza, la santità di Israele e del suo culto non erano autoreferenziali, un fondamento per escludere il resto delle Nazioni. La santità, la separazione, il non contaminarsi era proprio per aprirsi, per servire i popoli, per offrire la Verità senza compromessi. La purezza che Dio aveva insegnato a Israele era amore, non segregazione ed esclusione. E questo è un criterio importante per la Chiesa e per ciascuno di noi. Difendere la fede perché non si annacqui non significa erigere steccati, delimitare il confine per una pretesa, latente e inconfessabile superiorità. La fede è gemella della carità, sempre. L'apertura amorevole della santità è direttamente proporzionale alla sua integrità. Non vi è morale fine a stessa, ripiegata in un narcisismo sprezzante. La castità, la sincerità, la sobrietà, le virtù sono la realizzazione di un abbraccio d'amore verso ogni uomo. Un prete che viva la castità come uno sforzo e un impegno dovuto al suo ministero, senza ravvisarvi, e vivere, la fecondità del dono che essa suppone, il segno incontaminato di una vita oltre la morte, del potere di Gesù sulla concupiscenza, è un prete frustrato che difenderà posizioni, schemi e progetti. Così anche di un giovane che si sforza per essere casto, se non vive la lotta nell'orizzonte autentico dell'amore, cadrà rovinosamente adirandosi come un animale ferito. La Chiesa non insegna la castità come una legge pesante, ma come un servizio d'amore ad ogni uomo: un giovane casto impara ad amare, a rispettare e a far presente, nella propria esperienza, il Cielo. Per questo Gesù manda innanzi tutto i suoi discepoli alle pecore perdute della casa di Israele, per ricondurre ogni suo figlio alla sua identità, che è quella di segno di salvezza per le Nazioni. Così anche la Chiesa ha bisogno continuo di purificazione, di rinnovare la propria primogenitura. Così ciascuno di noi.
Scrive Benedetto XVI nel suo primo volume su Gesù di Nazaret: "che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato? La risposta è molto semplice: Dio. Ha portato Dio" (p. 73). Gesù ha abbattuto, nella sua carne crocifissa, "il muro di separazione che era frammezzo", l'inimicizia tra giudei e pagani. Lui ha dato compimento pieno alla volontà di Dio, che prevede la salvezza di ogni uomo. Il Tempio esisteva per mostrare che non c'è più giudeo né greco, né uomo né donna, né schiavo né libero, ma che tutti sono uno in Cristo Gesù. Non si tratta di comunismo di bassa lega. Niente ideologie. E' l'opera di Cristo, abbattere le barriere, il peccato che è innanzi tutto inimicizia con Dio, e poi divisione tra gli uomini. Per questo non vi saranno più due popoli, non vi saranno due ma uno solo, come, in Adamo ed Eva, Dio aveva mostrato l'immagine perfetta della sua volontà originaria e mai smentita. Anzi, dopo il peccato, durante tutta la storia della salvezza, Egli è andato compiendo la ricreazione di questa comunione, immagine della comunione che regna nella Trinità, nel cuore stesso di Dio. E' l'amore, sine glossa. L'amore che fonde ma non confonde, e fa dei due una carne sola: la cosa molto buona deturpata dal peccato, ha ritrovato la bellezza originaria in Cristo e la sua Chiesa. Le nozze messianiche con le quali si conclude la Rivelazione nel Libro dell'Apocalisse è la chiamata che Dio fa ad ogni uomo attraverso i suoi primogeniti, i figli della Chiesa. E' lo zelo incontenibile che scaturisce dall'amore geloso di Dio per ogni uomo. Per questo l'ira di Gesù si scatena sui venditori che avevano piantato i loro traffici nel luogo decisivo, sulla porta della fede, della salvezza e della vita.
E' l'ira santa che si avventa su ogni tentativo di fare della Chiesa un luogo di mercato, una spelonca di ladri. Di chi, come profetizzava Geremia, si fa forte dell'appartenenza al Popolo e di avere il Tempio, come un'assicurazione sulla vita, mentre essa scorreva tra idolatria e adulterio. Ma l'appartenenza significa primogenitura di una moltitudine di popoli. Israele esiste per i popoli, esattamente come la Chiesa e come la vita di ciascuno di noi. Appartenere a Cristo significa appartenere ad ogni uomo, perchè "Egli è venuto ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito". Appartenere a Cristo e alla sua Chiesa significa essere tutto a tutti, come ha mostrato San Paolo, e poi San Francesco Saverio, e tutti gli apostoli che hanno sciolto la propria vita nell'annuncio del Vangelo, sino all'offerta del proprio sangue. La vita della Chiesa e di ogni discepolo di Cristo si identifica in questi cortili del Tempio, immagine e profezia della ferita del costato di Cristo, la porta del suo cuore dischiusa ad ogni uomo. Cortili dove gli uomini possano presentarsi a Dio nello stesso Spirito d'amore.
E' nel cortile dei gentili che si compie la nostra vita, come quella della Chiesa. Scambiare e commerciare ciò che è gratuito è profanare il Tempio, gli affetti, il lavoro, l'amicizia, il fidanzamento. Il matrimonio infatti è dato proprio come un cortile del Tempio, dove i piccoli, i pagani, immagini delle debolezze dell'altro, trovino il luogo dove incontrare la misericordia di Dio. Fare della debolezza dell'altro, dei suoi difetti e dei suoi peccati un luogo di mercato, una spelonca di ladri significa consegnare il Tempio alla distruzione, prendere in odio la primogenitura, e quindi la propria vita. Ricattare e prestare a usura affetto, stima, pazienza e addirittura il perdono, approfittando della fragilità dell'altro, è pervertire quanto Gesù ha amato e guardato con compassione e tenerezza.
Abbiamo ridotto la Casa di Dio, la nostra vita, una spelonca di ladri; rubiamo le persone, le mettiamo sotto chiave perchè possano saziare il nostro cuore. Inganniamo, come ogni venditore di fumo. Anche quando urliamo ai quattro venti d'esser coerenti, di dire le cose in faccia, d'essere liberi, di fatto stiamo indossando l'ennesima maschera, quella del "puro", del "sincero sino alle estreme conseguenze". Maschera buona, di solito, quando le altre, quelle più luccicanti e ammalianti, non hanno funzionato a dovere. Anche quella di "chi non guarda in faccia a nessuno" è, spesso, una maschera che ci mettiamo, così, per identificarci e staccarci dalla massa informe dei proni ai piedi degli altri. Comunque maschere. Comunque carnevale. Comunque insegne luminose, cartelloni pubblicitari, spot ben lanciati nell'etere ad attirare l'attenzione su di noi. E far soldi, accumulare fascine d'affetto, di stima, "manager dei sentimenti" nella calca della "borsa dei sentimenti", sperando e travagliando perchè alla fine della giornata l'indice degli scambi mostri, finalmente, il segno "più". E soffriamo. Immensamente. Senza lo straccio di un solo bilancio in attivo. Sempre tutto in rosso. E sempre più soli. Già, la nostra solitudine di fronte all'invicibile gelosia di Dio, lo zelo del Figlio che irrompe nelle nostre esistenze e le stravolge, le purifica. Per questo in ogni giornata è nascosto l'imprevisto, un mal di testa, un tamponamento, un fallimento, un'incomprensione, qualcosa che, come un ago, fora il pallone gonfiato dai nostri sogni che è la nostra vita senza di Lui.
Ma noi siamo Suoi, Lui ha consegnato la Sua vita per questi "zombi" sperduti nel mondo che siamo, vomitati dall'infernale macchina del commercio di affetti e sentimenti. Siamo del Signore, nonostante tutto. Anzi proprio perchè soli, perduti, stanchi e feriti, siamo suoi, le sue braccia distese, ora per noi. La sua casa, la sua famiglia, il suo luogo, il suo riposo, la sua gioia, il suo tempio siamo noi. Lui ci ha raccolti forse addirittura lontani dal Tempio, neanche dentro il cortile dei gentili. I suoi occhi folli d'amore hanno intercettato, nel nostro dimenarci tra peccati e dolori, un cortile più grande, il cui perimetro abbraccia la nostra esistenza intera; il cortile dove il nostro cuore, errando, cercava il volto di Dio. Il suo amore ci ha aperto il passaggio al Santo dei Santi, al suo cuore, il luogo dove sperimentare che la vita non è un affannato e tragico commercio. La nostra vita è stare con Lui, in Lui amare, donare e non rubare e accaparrare, in Lui perderci per essere persi in ogni "altro" che si appresta alla porta della nostra casa, la sua casa.
Lo zelo del Signore per noi riassume il Suo amore per ciascun uomo. La nostra vita fa parte della vita più grande della Chiesa, la sua casa, dove ha fissato l'appuntamento di salvezza per tutti i popoli. Dentro ad ogni evento vi è dunque il disegno di salvezza di Dio. Purifica noi per salvare il mondo. Caccia dalle nostre vite la paccottiglia che impedisce la liturgia di lode pensata per le nostre vite. Scaccia i demoni, secondo il verbo originale del vangelo identico a quello "tecnico" utilizzato negli esorcismi. Il Signore scaccia dal nostro cuore il traffico malefico innescato dal demonio, che, in cambio di una felicità avvelenata, ci ha sempre richiesto l'anima. Il Signore ci fa santi, ci "esorcizza" e "purifica" proprio attraverso gli inconvenienti, i dolori, le sofferenze. La Croce ci fa veri, cioè suoi, per attirare e salvare tutti quelli che ancora non lo sono, o meglio, che ancora non sanno di esserlo. Amore infinito per noi, amore infinito per tutti.
Così con la Chiesa. Le difficoltà, le persecuzioni, la Croce la rendono bella, scacciano i mercanti di anime dal Tempio e la rinnovano perchè sia un cortile dove accogliere ogni uomo. A questo proposito Benedetto XVI ha detto: "Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta la ricerca di Dio negli uomini; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde. Mi viene qui in mente la parola che Gesù cita dal profeta Isaia, che cioè il tempio dovrebbe essere una casa di preghiera per tutti i popoli. Egli pensava al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio libero per i gentili che lì volevano pregare l’unico Dio, anche se non potevano prendere parte al mistero, al cui servizio era riservato l’interno del tempio. Spazio di preghiera per tutti i popoli – si pensava con ciò a persone che conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano; che sono scontente con i loro dèi, riti, miti; che desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane per loro il “Dio ignoto”. Essi dovevano poter pregare il Dio ignoto e così tuttavia essere in relazione con il Dio vero, anche se in mezzo ad oscurità di vario genere. Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa" (Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana, Dicembre 2009). Gesù continuerà sempre a scacciare i demoni che tentano di annidarsi nella Chiesa per rendere impossibile l'aggancio. Chi non annuncia il Vangelo riduce la Chiesa ad una spelonca di ladri che rubano i tesori di Grazia, la Parola e l'amore di Dio offerti ad essa per agganciare gli uomini. Moralismi, potere, prestigio, denari, parole vane, slogan e progetti mondani sono i mattoni che riedificano il muro abbattuto dal Signore. Ma Lui tornerà ogni giorno a distruggerlo, per l'amore immenso che ha per ogni uomo.
Gesù dopo la purificazione del Tempio vi insegna e il Popolo pende dalle sue labbra, avendo incontrato la Verità che il loro cuore cercava. Ma i notabili, i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire. Si avvicinava la purificazione definitiva. E così per la Chiesa, e ciascuno di noi: non ci si può sedere, mai; se così fosse, ci trasformeremmo di nuovo e in un baleno, in avidi mercanti. Per questo, come già accaduto ad Israele insediatosi nella Terra Promessa, vi sarà sempre qualcuno a minacciarci, a voler far perire Cristo e la sua Chiesa. Perchè la sua autenticità, come quella del Tempio, risiede nel divenire, giorno dopo giorno, un cortile dove gli uomini possano agganciarsi a Dio! Così la nostra vita è un "gancio" offerto ad ogni uomo, e tutto di noi è indispensabile perchè lo diventi davvero. Ed il gancio è stato e sarà sempre, sino alla consumazione dei secoli, l'annuncio che Gesù Cristo è il Signore, che ha vinto il peccato e la morte, salvezza gratuita offerta ad ogni uomo.
Che il Signore ci conceda oggi e ogni giorno occhi di fede per vedere, in ogni evento della nostra vita l'incarnazione della sua mano distesa verso i poveri, i deboli, i peccatori. Ogni istante delle nostre esistenze è santo, parte della Storia di salvezza che cerca ogni uomo. Perchè Dio sia tutto in tutti.