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sabato 30 marzo 2019

Oppresso da un nugolo di colpe,
ho superato il pubblicano per eccesso di malizia,
e ho assunto per giunta la boria millantatrice del fariseo,
rendendomi da ogni parte privo di qualsiasi bene.
Signore, usami indulgenza.
Aprimi le porte del pentimento,
Datore di vita,
perché fin dall'alba si leva il mio spirito,
si volge in preghiera al tuo santo tempio,
portando con sé il tempio contaminato del mio corpo.
Ma nella tua compassione purificami,
per la tenera benevolenza della tua misericordia.
Guidami sulla via della salvezza,
o Madre di Dio,
perché ho profanato la mia anima con peccati vergognosi
e ho dissipato la mia vita nella negligenza.
Ma per la tua intercessione liberami da ogni impurità.

Tropari della domenica del fariseo e del pubblicano della liturgia bizantina

Conversione è umiliarsi



Oggi ci destiamo con una notizia fantastica nel cuore: "non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare", non esiste "nessuno" che possa restare escluso dalla sua misericordia. Neanche il peggiore tra i pubblicani, uomo tra i più disprezzati al tempo di Gesù. Neanche tu, oggi, così come sei, con i peccati che ti affliggono e dai quali non riesci proprio a liberarti. Anzi, proprio chi riconosce la propria realtà e la consegna alla misericordia di Dio "torna a casa giustificato", cioè rinnovato sin dentro le sue fibre più intime. Senza più quei pesi che ci angustiano e ingrigiscono i giorni. Per te e per me infatti, l'anno della misericordia inizia ora, perché Cristo bussa in questo momento alla tua porta. E' Lui il Tempio al quale "salire", il Golgota sul quale inerpicarsi seguendo il fiume di Grazia che il suo sangue ha tracciato per noi. Basta seguirlo per trovarsi dinanzi al suo fianco squarciato per amore che è immagine della porta del Tempio presso la quale si era fermato il pubblicano del Vangelo. Ma è immagine anche di ogni confessionale, dove il sangue e l'acqua di Cristo ci donano di nuovo la Grazia del battesimo, la "giustificazione" gratuita che ci ricrea in Lui. Vai alla comunità cristiana, il luogo della misericordia è la migliore "Spa" che ci sia. Non cercare modo e luoghi per rigenerarti, sono solo palliativi, parentesi che non cambiano il cuore. Ma fa come il pubblicano, vai al Tempio, l’unica "beauty farm" dell'anima che, trasformandola, trasfigura tutta la tua vita. E' lì che il perdono ti fa bello di una bellezza che non ha eguali, la stessa che rifulge sul volto di Cristo, il più bello tra i figli dell’uomo. Confessati oggi o prima di Pasqua, sinceramente, e sperimenterai vero quello che ha detto Papa Francesco: “tutti dovrebbero uscire dal confessionale con la felicità nel cuore, con il volto raggiante di speranza, anche se talvolta bagnato dalle lacrime della conversione e della gioia che ne deriva”. Per entrare nella gioia vera c'è una sola condizione: quella di abbandonare l'attitudine di quel fariseo che stava di fronte a Dio come davanti a uno specchio nel quale non vedeva che se stesso travestito da dio: "stando in piedi, pregava rivolto verso se stesso", secondo il senso del greco originale. Non prega, dialoga con se stesso… Il demonio gli aveva venduto un paradiso contraffatto al cui centro aveva messo il suo ego. E così, proprio il Tempio dove incontrare Dio era diventato la passerella dell'ipocrisia. Come spesso è la nostra vita, che diviene un’autocelebrazione no-stop. Andare in Chiesa, frequentarla assiduamente, lustrarla e farci catechismo, pregarci tutti i giorni, può non voler dire nulla. Si può uscirne esattamente come si è entrati. E’ quello che accade a “chi presume di essere giusto e disprezza gli altri”. Come noi che, prigionieri di un Io sconfinato che si crede “diverso”, "nullifichiamo" il prossimo. Ma quando la realtà ci lancia una secchiata d'acqua gelida in faccia, scopriamo le dure conseguenze della superbia: tornati a casa senza aver gustato l'amore che giustifica, cerchiamo negli altri gesti e parole che giustifichino la nostra pretesa di essere dio. Irati e nervosi seppelliamo marito, moglie e figli con lo stesso diluvio di ipocrisie: Io "non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come" voi. Io, "digiuno e pago le decime" mentre tu, tutta tua madre, guarda che disordine, mai una volta che riesca ad avere una camicia stirata come si deve; e tu, come al solito, ti sei dimenticato che oggi c'era la recita della piccola; e voi, sempre con quei telefonini, a lavorare vi mando debosciati! 



Il pubblicano, invece, peccatore dei peggiori, impuro e per questo abituato a essere tenuto "a distanza", è entrato nel Tempio sperando l'impossibile di cui sapeva non avere diritto. “Non osava neanche alzare lo sguardo”, che invece posava sulla terra che definiva la verità su se stesso. Per questo tende la mano a "percuotersi" il cuore, la fonte di ogni malvagità. In lui rinveniamo le sembianze del Signore Gesù che non è mai rivolto verso se stesso, ma perennemente rivolto verso il seno del Padre. Umiliato, sulla Croce è sceso all'ultimo posto, "a distanza" da tutti per abbracciare tutti i peccatori "distanti". Gesù si è fatto pubblicano tra i pubblicani, si è fatto te e me così come siamo oggi! Lo troveremo sempre là dietro, dove non te lo aspetti e non lo cercheresti: in chiesa, a casa, al lavoro, con gli amici, in quel mucchio di spazzatura che sono i nostri peccati. E’ lì che si prega, perché non abbiamo altro posto che l’ultimo. Dietro tua moglie che hai giudicato, dietro tuo marito che non sai perdonare, dietro tuo figlio che non accetti, dietro ogni uomo che hai disprezzato. La Quaresima è il cammino che, dall'alto dove l'inganno del demonio ci ha "esaltati", ci fa "umiliare" sin dentro la verità, ripetendo "Signore, abbi pietà di me che sono un peccatore" per entrare nudi nelle viscere di misericordia della Chiesa; qui la vittoria di Cristo cancella il peccato per "esaltarci" con Lui alla destra del Padre. Silvano del Monte Athos lo aveva compreso bene: "Signore, insegnami che cosa devo fare perché la mia anima diventi umile. E nel suo cuore, riceve questa risposta: Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare! E subito trova la pace, e lo Spirito gli testimonia la sua salvezza". Facciamolo e sperimenteremo la gioia di chi è stato "graziato"; non sapremo più giudicare nessuno, ma in tutti cercheremo il fratello al quale assomigliamo rendendo, come dice il Papa, "feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione a ogni uomo e ogni donna del nostro tempo" e ci è accanto, perché trovi in noi il Tempio dove conoscere la "giustificazione". Coraggio, non scappare dall'inferno che diventa la storia macchiata dal peccato e attendi la misericordia. Non vai più d'accordo con qualcuno? Le persone che ti sono accanto hanno problemi? Concentrati su te stesso, inginocchiati, tritura il cuore davanti a Cristo, e chiedi pietà per te. Perché se ti converti tu e accogli il perdono saprai perdonare; è proprio attraverso questa tua preghiera che giungerà agli altri la giustificazione. Arriverà nel tuo sguardo trasfigurato di misericordia, umile e semplice che non difende nulla e offre l'amore di Cristo che lo ha giustificato come una roccia su cui gettare ogni male.

lunedì 25 marzo 2019

Nazaret ha un messaggio permanente per la Chiesa.
La Nuova Alleanza non comincia nel Tempio, 
né sulla Montagna Santa,
ma nella piccola casa della Vergine,
nella casa del lavoratore,
in uno dei luoghi dimenticati della "Galilea dei pagani",
dal quale nessuno aspettava qualcosa di buono.
Solo partendo da lì 
la Chiesa potrà prendere un nuovo slancio e guarire.


Joseph Ratzinger

L'ANNUNCIO CHE CI ACCOGLIE NEL GREMBO DI MARIA PER ACCOGLIERE L'AMORE DI DIO CHE CI SUOI FIGLI


Maria, l'amata, appare sulla soglia del Vangelo avvolta in un saluto imprevisto, un annuncio intrecciato su poche, essenziali parole. Attendeva le nozze, e con esse grazie e gioia, senza immaginare che Dio aveva scelto e preparato quella semplicità nascosta per farne la soglia dove deporre l'eterno. Un giorno come gli altri, confuso tra quello di molti altri, in una cittadina anonima lontana dalla storia che conta: sono questi il momento e il luogo pensati da Dio per fare possibile l'impossibile. L'incarnazione e la salvezza di ogni uomo cominciano qui, dove sembra che non vi sia nulla di speciale da attirare l'attenzione. Nulla tranne Maria, a riempire quella semplice ordinarietà con la fede e l'attesa immacolate. Maria non era in cerca di nulla di straordinario; era semplicemente dove l'aveva messa la volontà di Dio. Essere Immacolata Concezione significa essenzialmente questo, obbedire e restare lì, abbandonati a Dio, sereni e felici nella propria storia. Come Adamo ed Eva prima di cadere nel peccato. La menzogna del demonio, infatti, come un virus mortale, ha reso impossibile restare sul cammino tracciato dal Padre. La cifra del peccato originale è proprio questa impossibilità di vivere, in pienezza, l'istante che ci è dato; l'impossibilità di essere felici con questa storia qui, con questa famiglia, questo marito e questa moglie, questi figli e questi genitori, questo lavoro e questi professori. Il peccato ci ha sporcato il cuore e non riusciamo più a vedere l'amore di Dio in niente e nessuno; la realtà ci schiaccia, dobbiamo scappare, e cercare un po' d'aria in qualsiasi esperienza, basta che non sia la stessa di oggi. Il peccato ha reso impossibile il possibile di una vita abbandonata a Dio e al suo amore.




Maria no, non aveva bisogno di fuggire. Immacolata Concezione, non si era mai allontanata dal Paradiso: in ogni istante era "piena di Grazia", in ogni evento "il Signore era con Lei". Anche quel giorno, all'irrompere di quel saluto che, improvvisamente, Le svelava il mistero sino ad ora tenuto segreto anche a Lei. L'intimità con il Signore, la Grazia che accompagnava ogni suo passo nella volontà di Dio, sino a quel momento tutto era stato così naturale. Ma quell'invito a "rallegrarsi" che, lo sapeva, raggrumava in sé tutte le profezie sull'avvento del Messia, perché proprio a Lei? Era "turbata" Maria, di fronte a quel "saluto" nel quale si condensava una storia di peccati e misericordia che abbracciava generazioni. "Shalom", pace, era il segno del Messia, la speranza che i suoi fratelli s'erano scambiati da sempre, tenendola viva per non morire. Ora tutto era lì, a un millimetro da Lei; ogni uomo, ogni donna, ogni povero e ogni peccatore, tu ed io, eravamo tutti lì, sulla soglia del cuore di quella Fanciulla indifesa, la più piccola, l' "umile vergine" di Nazaret. Era giunta la "pienezza dei tempi", il compimento della salvezza; quell'istante nascosto agli occhi del mondo attirava ogni altro istante della storia, passato, presente e futuro. Quell'istante illuminava la purezza originaria di Maria: aveva compiuto la volontà di Dio perché anche Dio potesse compiere la sua volontà. La sua carne "vergine" era il frammento di Paradiso che Dio aveva preparato per deporvi il suo Figlio, la Carne che avrebbe reso ogni carne peccatrice un frammento di Paradiso. Maria doveva solo fare quello che aveva sempre fatto: accogliere l'amore di Dio, perché ai suoi occhi immacolati ogni volere di Dio non era che amore. Solo un Figlio da accogliere, il Messia da gestare e donare al mondo. Impossibile certo, "senza conoscere uomo", ma "possibile" a Dio che era "con Lei" da sempre. 




Ancora una volta, la più importante, quella decisiva, Dio doveva scendere in ciò che è impossibile all'uomo per aprire un cammino di speranza nell'ineluttabilità che tiene schiave le persone. Per farlo e fecondare l'umanità sterile aveva bisogno  della "verginità" di Maria, immagine di ogni situazione impossibile; per salvare i superbi aveva scelto e preparato la sua "umiliazione". Non c'era da "temere": quel concepimento e quel parto sarebbero stati opera della Grazia che l'aveva "colmata" da sempre. Lo Spirito Santo sarebbe "disceso" su di Lei per deporvi il Santo Figlio di Dio. Come quando si rivelò ad Elia, Dio non era nel terremoto, neanche in un vento gagliardo; Dio era in quella brezza soave che le sfiorava l'anima, nel soffio del suo Spirito che, dolce e delicato, bussava alla porta del suo cuore. Del resto, anche "Elisabetta sua parente, che tutti dicevano sterile, nella sua vecchiaia aveva concepito un figlio": il Signore le aveva regalato un segno da contemplare, per non venir meno dinanzi alla grandezza della sua elezione. Non restava che sciogliere le labbra per la risposta preparata dall'eternità. E Amen è stato, l'Amen degli Amen di Maria: "Il verbo con cui esprime il suo consenso, nell'originale, è all'ottativo, un modo verbale che in greco si usa per esprimere desiderio e perfino gioiosa impazienza che una certa cosa avvenga. Come se la Vergine dicesse: “Desidero anch'io, con tutto il mio essere, quello che Dio desidera; si compia presto ciò che egli vuole“." (Raniero Cantalamessa). Il Cielo è riaperto, la volontà di Dio ha trovato dimora nel desiderio puro di Maria. Da quell'istante nulla è stato e sarà più come prima. Nell'obbedienza di Maria è generata l'obbedienza del Figlio, perché Nazaret era il grembo del Getsemani. Madre e Figlio sono ora davanti a noi per donarci finalmente compiuto l'impossibile che ci fa paura. 




Guardiamoci dentro, che cosa oggi ci turba e ci schiaccia? Che cosa ci spinge a peccare per non soffrire? "Non temere!", proprio nel fondo dell'incapacità di assumere la nostra storia, plana oggi l'annuncio dell'angelo per deporvi il seme dell'impossibile già reso possibile: l'obbedienza alla volontà di Dio, restando nascosti nelle piaghe di Gesù incarnate nei dolori e nei tradimenti, nei fallimenti e nelle frustrazioni, nelle umiliazioni e nell'irrilevanza. "Non temere!", perché il turbamento che ci prende di fronte alla sproporzione tra quanto ci è annunciato e la povera realtà della nostra vita, è destinato a divenire gioia purissima. E' pronta per noi la gioia di Maria, madre della gioia del Messia risorto dalla morte, che ha distrutto il peccato e il suo regno di dolore. La gioia dell'obbedienza, che il mondo non conosce, la gioia della libertà di amare sino a donarsi totalmente, perché "nulla è impossibile a Dio": neanche perdonare il marito che ha tradito e il parente che ci ha calunniato; neanche giustificare con misericordia chi ci ha fatto la più terribile delle ingiustizie. "Nulla" ci deve spaventare: nella Chiesa nostra Madre risuona oggi come quel giorno l'annuncio dell'angelo. Basta ascoltare e dire con Maria il nostro amen che consegni a Cristo ogni centimetro della nostra carne perché ne faccia il tempio della sua gloria. Oggi Nazaret è la tua casa, il tuo matrimonio e la tua stanza d'ospedale, perché tutto di te è avvolto e impregnato dello Spirito Santo che compie in ogni istante e in ogni luogo il Mistero Pasquale di Cristo. "Non temere!", perché da oggi la Croce non fa più paura, la carne vittoriosa di Cristo l'ha trasformata in una porta dischiusa sul Paradiso. La novità dell'Incarnazione si rivela in un Popolo che cammina nel deserto della storia senza morire, il Corpo di Cristo che sale sulla Croce dalla quale tutti fuggono scandalizzati. Per questo, la nostra missione inizia ogni giorno appoggiati nella fede di Maria, per divenire con Lei "servi del Signore" nei quali "si compie l'incarnazione della Parola di Dio", annunciando a tutti che la sua volontà è amore e misericordia, sempre.

venerdì 22 marzo 2019

Dio, nell’incarnazione del Verbo, 
nell’incarnazione del suo Figlio, 
ha sperimentato il tempo dell’uomo, 
della sua crescita, del suo farsi nella storia. 
Quel Bambino è il segno della pazienza di Dio, 
che per primo è paziente, costante, 
fedele al suo amore verso di noi; 
Lui è il vero “agricoltore” della storia, che sa attendere. 

Benedetto XVI, Agli universitari di Roma, 15 dicembre 2011


L'ESODO DAL POSSESSO AL DONO
Parabola dei vignaioli omicidi. Speculum humanae salvationis. 1482
Il Vangelo di oggi è un'immagine fedele della nostra vita, sorprendentemente attuale e profetica. Una vigna che è un seno materno, curato e difeso, opera di un Dio pieno d'amore, provvidente e infinitamente generoso; una vigna come le viscere di una madre, piantata nella storia come il segno vivido e bello di un Dio proteso a creare qualcuno capace di partecipare del suo stesso essere Dio, del suo amore fecondo e creativo. Una vigna come un utero fecondato dallo Spirito Santo, Ruah di Dio effuso sulla carne perché produca i suoi frutti squisiti: "I frutti dello Spirito sono perfezioni che lo Spirito Santo plasma in noi come primizie della gloria eterna. La tradizione della Chiesa ne enumera dodici: "amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benevolenza, mitezza, fedeltà, modestia, continenza, castità" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1832). Per questi frutti Dio ha avuto una pazienza infinita. In gioco infatti, è la salvezza di ciascun uomo di ogni generazione. In questo contesto occorre ascoltare la parabola: tutto quello che in essa accade rivela l'ostinato amore di Dio per ogni uomo, testimoniato dall'importanza assoluta che per il "Padrone" hanno i frutti della vigna. Per essi è disposto a sacrificare tutto, persino se stesso. Quei frutti, infatti, sono la sua mano distesa a cercare e a salvare, non può restare ferma e inattiva. Ad ogni frutto non raccolto corrisponde un uomo cui è stata sottratta la possibilità di salvarsi. I vignaioli non devono far altro che custodire e consegnare i frutti per i quali il Padrone ha investito tutto. E, invece sorgono in loro invidia, omicidio, concupiscenza, in un parossismo di violenza che non ha fine. I vignaioli sono preda di una carne schiava, imprigionata dalle passioni, che esplode al momento del raccolto, quando si debbono fare i conti. Dare e avere, questo l'angusto limite nel quale i vignaioli avevano chiuso il loro sterile rapporto con il padrone, giocato sulle convenienze, senza un briciolo di amore. I loro occhi erano accecati dall'inganno più feroce, quello sussurrato dal serpente ai piedi dell'albero della vita, secondo il quale Dio non è amore, ma solo leggi, e sbarramenti, e tabù, e ingiustizie. E se Dio non è amore, allora niente amore in nessuno, l'equazione è fin troppo semplice, e il risultato è inevitabilmente quello di lottare per diventare come dio. E giù violenza, apparentemente senza senso, senza moventi, se non quelli d'un veleno che scorre impazzito nelle vene, nei cuori e nelle menti. Tutto è avvelenato perché qualcuno aveva rubato dal cuore dei vignaioli il senso più profondo della loro vita, della missione loro affidata. 

Così come per ciascuno di noi quando, per l'inganno del demonio, smarriamo l'ambito nel quale siamo stati chiamati alla vita, l'unicità della nostra vocazione e confondiamo tragicamente l'amore con il possesso, il dono con l'appropriazione, la Grazia con l'esigenza. Siamo nati per dare i frutti, non per saziarci di essi. Essi non ci appartengono, ci sono donati per la salvezza di coloro ai quali è destinata la nostra vita: marito, moglie, figli, amici, fidanzati, colleghi, chiunque, sino ai nemici. Appropriarcene significherebbe finire con l'uccidere, con violenza senza limiti, se stessi prima e chi ci è intorno poi. Ma Dio non si arrende. E ci viene a cercare, e ad ogni peccato - sempre figlio dell'orgoglio assassino - risponde con più amore. Più servi inviati, più Grazia, più misericordia. Apostoli, catechisti, presbiteri, e fratelli, amici, genitori, la Chiesa intera ad annunciarci la Verità, l'amore di Dio per il quale esistiamo. Sino al sacrificio di suo Figlio, l'amore estremo, folle, per ciascuno di noi, per ogni uomo. Dio non ha altra pedagogia che questa pazienza intrisa di misericordia, senza misura, per salvare ad ogni costo chi gronda violenza oltre ogni limite. Perché Dio ama davvero, conosce la debolezza, non si scandalizza, sa che l'unica risposta al male iniettato dal demonio è un amore più grande, sino al corpo del suo Figlio, offerto in sacrificio, sperando che almeno Lui sia accolto. Ma niente, il peccato è troppo grande, l'avidità ha reso insensibili e ciechi i vignaioli oramai schiavi del nemico; e il Figlio giace appeso ad una Croce, lì, fuori della vigna, rifiutato insieme alla missione che il Padrone aveva loro affidata. E tutta la violenza, i peccati, gli inganni vengono caricati sulle sue carni. E, nella solitudine riservata al capro espiatorio il giorno di Yom Kippur, il grande giorno dell'Espiazione, svela l'amore autentico che si carica spontaneamente d'ogni peccato, amore consumato e compiuto nel perdono, di cui la risurrezione ne è la prova. L'ultimo divenuto primo, il rigettato divenuto testata d'angolo. E' questa l'opera di Dio, ed è una meraviglia agli occhi degli uomini che conoscono solo il male e la vendetta quale unica risposta possibile. In questo amore si rivela la vittoria della pazienza infinita di Dio: noi, vecchi coltivatori fraudolenti e assassini, rinnovati nel Suo sangue per poter consegnare i frutti a suo tempo. Così, "il regno di Dio strappato" al nostro uomo vecchio per "essere consegnato" all'uomo nuovo, ricreato nella nuova ed eterna Alleanza siglata nel sangue di Cristo, perché dia i frutti di salvezza predisposti per ogni uomoLa pazienza di Dio ha ragione di ogni peccato, e ci attira nei suoi ritmi, ci strappa al parossismo delle concupiscenze e ci fa guardare chi ci è accanto fissando il frutto che è chiamato a dare, operando in tutto perché possa accogliere l'amore di Dio per mezzo dello Spirito Santo. La pazienza di Dio ci fa pazienti, segno della sua longanimità che, sola, è capace di attirare e salvare.