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mercoledì 6 marzo 2019


Emiliano Jimenez. Elemosina :Sul Discorso della montagna









ELEMOSINA (Mt 6,1-4)

a) La giustizia superiore 

Gesù ha proposto «la giustizia superiore» del regno dei cieli. Di fronte al formalismo e al moralismo degli scribi presenta la volontà di Dio Padre, che non si compiace di gettare pesanti fardelli sulle spalle dei suoi figli. La gratuità della salvezza di Dio suscita non un rigorismo o una moltiplicazione infinita di leggi, ma una risposta d'amore all'amore ricevuto. Ora, nel capitolo sesto, inizia una sezione nuova. Di fronte alla giustizia dei farisei, fondata sul compimento esteriore della legge, Gesù presenta la «giustizia più grande» del regno vissuta nella relazione interiore del credente con Dio. Si tratta di come vivere «la giustizia superiore» senza ostentazione, senza cercare l'applauso degli uomini, ma unicamente l'approvazione di Dio: «Guardatevi dal praticare le vostre opere buone davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 6,1). Praticare la giustizia, espressione della volontà di Dio, per essere visti dagli uomini è la condotta che caratterizza gli scribi e i farisei: «Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini; allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano i posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare rabbi dalla gente» (Mt 23,1-7). Scontrandosi direttamente con i farisei, Gesù dice loro: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio» (Lc 16,15). Questa vanagloria si mostra apertamente nel fariseo che si reca al tempio a pregare insieme col pubblicano (Lc 18,9-14). Cercare la propria gloria davanti agli uomini chiude l'orecchio all'ascolto della parola, e in tal modo si chiude ugualmente il cuore alla fede. Gesù, discutendo con i farisei, li rimprovera: «Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?» (Gv 5,44). E, in un'altra occasione, Gesù afferma che la ricerca della propria gloria chiude anche la bocca, impedendo la confessione della fede: «Anche tra i capi, molti credettero in lui, ma non lo riconoscevano apertamente a causa dei farisei, per non essere espulsi dalla sinagoga; amavano infatti la gloria degli uomini più della gloria di Dio» (Gv 12,42-43). San Giovanni Crisostomo dice che «la vanagloria è la più dispotica delle passioni, che si insinua in quanti si incamminano sulla strada della virtù e minaccia di corrompere il frutto delle buone opere [...] Cristo ne parla come di una fiera difficile da catturare e capace di sorprendere chi non è molto sveglio. Perciò dice: State attenti, e così dice anche san Paolo ai Filippesi: guardatevi dai cani (Fil 3,2). La vanagloria, come la fiera, si presenta all'improvviso, quasi trattenendo il respiro, per sorprendere chi non è vigilante». Gesù illustra la sua dottrina sulla «giustizia superiore» mediante tre esempi: l'elemosina, la preghiera e il digiuno, strumenti attraverso i quali il credente vive la sua relazione con il prossimo, con Dio e con le cose. Si tratta di tre classiche pratiche della pietà giudaica. Gesù non le rifiuta, ma desidera che si realizzino con uno spirito nuovo. Gesù, proponendo la «giustizia più grande», non desidera che i suoi discepoli superino i farisei in digiuni, preghiere o elemosine. La superiorità non risiede nella quantità, ma nello spirito nuovo con il quale Gesù desidera che si pratichino. Matteo tratteggia i tre esempi a tinte forti in modo che producano una grande impressione nei suoi ascoltatori. Da una parte presenta il modo negativo di fare l'elemosina, pregare o digiunare dei farisei. E il modo ipocrita, ripugnante, di agire con l'unica intenzione di essere visti dagli uomini. E conti-nuando, propone la maniera positiva, autentica, di agire nel segreto, in modo che Dio sia il solo a vedere. Nei tre esempi c'è un forte contrasto, come un'antitesi simile a quelle del capitolo precedente. Presentato il modo negativo, odioso, di agire, si introduce il modo corretto con il «tu invece» seguito da un imperativo fermo, sicuro. I tre esempi si concludono con la stessa affermazione: «E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». Il contrasto tra la falsa e la vera ricompensa, quella degli uomini e quella di Dio, è evidente.

b) Elemosina, preghiera e digiuno

La catechesi sull'elemosina, la preghiera e il digiuno ha una grande risonanza biblica. Si può partire dal Deuteronomio, con il famoso testo dello Shemà, nel quale il digiuno fa riferimento all'anima o mente, la preghiera al cuore e l'elemosina alla proprietà o forze (cfr. Dt 6,4s). si può cercare l'ispirazione nel libro di Tobia, dove si legge: «Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l'elemosina con la giustizia. Meglio il poco con giustizia che la ricchezza con ingiustizia» (Th 12,8). La preghiera e il digiuno appaiono uniti e raccomandati in molteplici testi (Sal 35,13; Gdt 4,9; 2Sam 12,16; Ne 1,4) e l'elemosina occupa un posto singolare soprattutto nel libro di Tobia, sebbene sia raccomandata anche nei libri dell'Ecclesiastico e dell'Ecclesiaste. Per Tobia «l'elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l'elemosina godranno lunga vita» (Th 12,9). Qualcosa di simile insegna Gesù Ben Sira ai suoi alunni: «L'acqua spegne un fuoco acceso, l'elemosina espia i peccati» (Sir 3,30). La Chiesa, nel suo Ufficio delle Letture del terzo martedì di Quaresima, ci presenta una preziosa catechesi di san Pietro Crisologo: «Tre sono le cose, tre, o fratelli, per cui sta salda la fede, perdura la devozione, resta la virtù: la preghiera, il digiuno, la misericordia. Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia. Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola, e ricevono vita l'una dall'altra. Il digiuno è l'anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica. Chi digiuna comprenda bene cosa significhi per gli altri non aver da mangiare. Ascolti chi ha fame, se vuole che Dio gradisca il suo digiuno. Abbia pietà, la eserciti. Chi vuole che gli sia concesso un dono, apra la sua mano agli altri. E un cattivo richiedente colui che nega agli altri quello che domanda per sé. O uomo, sii tu stesso per te la regola della misericordia. Il modo con cui vuoi che si usi misericordia a te, usalo tu con gli altri. La larghezza di misericordia che vuoi per te, abbila per gli altri. Offri agli altri quella stessa pronta misericordia che desideri per te. Perciò preghiera, digiuno, misericordia siano per noi un'unica forza mediatrice presso Dio, siano per noi uri unica difesa, uri unica preghiera sotto tre aspetti.
Quanto col disprezzo abbiamo perduto, conquistiamolo con il digiuno. Immoliamo le nostre anime col digiuno perché non c'è nulla di più gradito che possiamo offrire a Dio, come dimostra il profeta quando dice: «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi» (Sal 50,19). O uomo, offri a Dio la tua anima ed offri l'oblazione del digiuno, perché sia pura l'ostia, santo il sacrificio, vivente la vittima, che a te rimanga e a Dio sia data. Chi non dà questo a Dio non sarà scusato, perché non può non avere se stesso da offrire. Ma perché tutto ciò sia accetto, sia accompagnato dalla misericordia. Il digiuno non germoglia se non è innaffiato dalla misericordia. Il digiuno inaridisce, se inaridisce la misericordia. Ciò che è la pioggia per la terra, è la misericordia per il digiuno. Quantunque ingentilisca il cuore, purifichi la carne, sradichi i vizi, semini le virtù, il digiunatore non coglie frutti se non farà scorrere fiumi di misericordia. O tu che digiuni, sappi che il tuo campo resterà digiuno se resterà digiuna la misericordia. Quello invece che avrai donato nella misericordia, ritornerà abbondantemente nel tuo granaio. Pertanto, o uomo, perché tu non abbia a perdere col voler tenere per te, elargisci agli altri e allora raccoglierai. Dà a te stesso, dando al povero, perché ciò che avrai lasciato in eredità ad un altro, tu non lo avrai».

c) L'elemosina apre l'orecchio di Dio 
L'elemosina apre l'orecchio di Dio alla preghiera dei suoi fedeli. Chi chiude il suo cuore alla supplica del povero si espone al rischio che Dio non oda la sua preghiera: «Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera» (Sir 4,4-6). La misericordia rispetto ai poveri, espressa nell'elemosina, riempie le pagine della Scrittura. Il Dio della misericordia desidera che gli uomini si mostrino misericordiosi tra loro. Nel Deuteronomio si legge una lunga raccomandazione di Dio al suo popolo: «Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una delle tue città del paese che il Signore tuo Dio ti dà, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso; anzi gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. Bada bene che non ti entri in cuore questo pensiero iniquo: E vicino il settimo anno, l'anno della remissione; e il tuo occhio sia cattivo verso il tuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla; egli griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te. Dagli generosamente e, quando gli darai, il tuo cuore non si rattristi; perché proprio per questo il Signore Dio tuo ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano. Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese» (Dt 15,7-11). Nell'originale greco la parola elemosina significa sentire pietà o misericordia. E la traduzione della hesed di Dio, che si commuove alla vista del bisognoso. Ma, nel linguaggio comune di Israele, la parola passò a significare l'aiuto economico dato a un indigente, che con la sua povertà ha suscitato il sentimento di pietà in chi pratica l'elemosina. Benefica se stesso l'uomo misericordioso» (Pr 11,17), dice un proverbio, poiché «chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore che gli ripagherà la buona azione» (Pr 19,17). Questo proverbio illumina la parola di Cristo che invita a «prestare a coloro da cui non ci si attende una restituzione». Sarà Dio a restituire il prestito abbondantemente. Anche Tobi raccomanda a suo figlio Tobia di essere generoso nel fare l'elemosina, poiché l'elemosina ottiene il favore divino, il perdono dei peccati, preserva dalla morte e dà sicurezza alla vita: «Dei tuoi beni fa elemosina. Non distogliere mai lo sguardo dal povero, così non si leverà da te lo sguardo di Dio. La tua elemosina sia proporzionata ai beni che possiedi: se hai molto, dà molto; se poco, non esitare a dare secondo quel poco. Così ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno, poiché l'elemosina libera dalla morte e salva dall'andare tra le tenebre. Per tutti quelli che la compiono, l'elemosina è un dono prezioso davanti all'Altissimo» (Th 4,7-11). Per l'Ecclesiastico «chi pratica l'elemosina fa sacrifici di lode» (Sir 35,2). Come sacrificio gradito a Dio, l'elemosina ha un valore salvifico: «L'elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l'elemosina godranno lunga vita» (Th 12,9). Per Gesù, nel vangelo, l'elemosina è il modo migliore di accumulare un tesoro in cielo: «Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,2-4). La comunità cristiana ha vissuto l'amore di Cristo per i poveri (Lc 4,18-21), condividendo con essi i beni: «Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (A t 2,44-45). «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e uri anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune» (At 4,32; cfr. 4,37). Elemosina ha il significato immediato di dare denaro al bisognoso. Ma significa anche aiutare, in senso più ampio, il prossimo. Cristo, citando il profeta Osea (Os 6,6), ci dice che Dio preferisce la misericordia ai sacrifici: «Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio» (Mt 9,13). «Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa» (Mt 12,7). La misericordia si manifesta in concreto in tante opere di misericordia che Matteo enumera presentandoci il giudizio delle nazioni (Mt 25,31ss).
Una forma concreta di misericordia è l'elemosina al bisognoso. Per Gesù è un atto di culto, che non deve essere profanato con intenzioni egoistiche, realizzandolo con ostentazione, cercando il proprio prestigio davanti agli uomini. Chi cerca la lode degli uomini non rende culto a Dio e perde la sua ricompensa. Nelle assemblee comunitarie della sinagoga si raccoglievano i donativi per il sostegno del culto e per l'aiuto dei poveri della comunità. Quando qualcuno contribuiva con una quantità considerevole, lo si invitava a sedersi a un posto d'onore accanto ai rabbini. In questo modo ci si procurava, con l'elemosina, una lode umana. Gesù ridicolizza questo modo di esercitare l'elemosina con l'immagine della tromba. Suonare la tromba davanti a sé perché tutti vedano la quantità data, nella sinagoga o sulla pubblica piazza, vuol dire rendersi ridicoli come il pavone. Il primo a ridicolizzare coloro che cercano con le loro elemosine l'applauso della gente è il profeta Amos, che con ironia dice ai figli di Israele: «Proclamate ad alta voce le offerte spontanee perché così vi piace di fare, o israeliti» (Am 4,5). La stima agli occhi degli altri è tutto per gli ipocriti, i quali fingono una fede che non hanno: «Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?» (Gv 5,44). L'ipocrisia è, dunque, qualcosa di peggiore della semplice simulazione, ha tratti di empietà. E l'opposto della giustizia di cui parla Gesù nel dis-orso della montagna. Matteo ha dedicato tutto il capitolo ventitrè del suo vangelo a descriverci l'agire degli ipocriti. Contrariamente ad essi, il discepolo di Cristo agisce solo al cospetto di Dio, che vede nel segreto del cuore. Tutte le nostre azioni stanno davanti a Dio: «Tutte le loro opere sono davanti a Lui come il sole, i suoi occhi osservano sempre la loro condotta. A Lui non sono nascoste le loro ingiustizie, tutti i loro peccati sono davanti al Signore. La beneficenza dell'uomo è per lui come un sigillo, egli serberà la generosità come la propria pupilla. Alla fine si leverà e renderà loro la ricompensa, riverserà su di loro il contraccambio» (Sir 17,19-23). L'elemosina fatta al prossimo Dio la considera fatta a Lui, se non è profanata con la vanagloria cercata al suono della tromba. Gesù non si rassegna ad una vita cristiana ridotta a buone intenzioni, a desideri e sentimenti sublimi. La fede si mostra in opere concrete, nell'elemosina e nell'aiuto al prossimo. Ma tutte le opere che l'uomo realizza, senza la retta intenzione, davanti a Dio non valgono niente. E il nostro Dio non guarda le apparenze, ma vede nel segreto del cuore. Niente gli resta nascosto, come canta il salmista:

Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie, la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, già la conosci tutta. Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano. Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta, e io non la comprendo. Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell'aurora per abitare all'estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra. Se dico: Almeno l'oscurità mi copra e intorno a me sia la notte; nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce (Sal 139).

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