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mercoledì 6 marzo 2019

Emiliano Jimenez.  digiuno. Sul Discorso della montagna 

DIGIUNO (Mt 6,16-18)

a) Quando digiunate, non assumete aria malinconica Gesù completa la sua catechesi sull'elemosina e la preghiera con l'istruzione sul digiuno. Anche in questo caso, come nei precedenti, Gesù mette in rilievo il digiuno falso e quello vero, quello praticato per ottenere l'applauso degli uomini e quello fatto per amore di Dio, nel segreto, dove solo Lui lo vede: «E quando digiunate, non assumete aria malinconica, come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,16-18). Gesù, buon catechista, ci dipinge la caricatura degli ipocriti che digiunano perché gli uomini elogino una pietà che non hanno né sentono. Nell'originale c'è un gioco di parole per descrivere il loro atteggiamento: «sfigurano la faccia per figurare davanti agli uomini». Il loro agire ipocrita può ingannare gli uomini, ma non Dio che non bada alle apparenze del volto, ma all'interiorità del cuore, come dice lo stesso Dio a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né all'imponenza della sua statura. Io l'ho scartato, perché io non guardo ciò che guarda l'uomo. L'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore» (1Sam 16,7).

Il digiuno, trasformato in rituale formalistico, si prestava a una semplice esibizione esteriore, senza compunzione interiore, né conversione a Dio. Già Isaia alzò la sua voce contro certe forme di digiuno: «Mi ricercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono,rgiudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: »Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?». Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. E forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l'uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne? Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà» (Is 58,2-8).
L'autore della Lettera attribuita a Barnaba, invitando i cristiani a fuggire da ogni vanità, così commenta questo testo: «Dio ci mostra chiaramente la sua volontà mostrandoci il digiuno a Lui gradito. Poiché non gradisce che eleviamo il nostro schiamazzo, ma si compiace nel vederci sciogliere le catene, i lacci dei contratti ottenuti con la violenza; gli è gradito che restituiamo la libertà agli oppressi, perdonando loro tutti i loro debiti, annullando ogni obbligo ingiusto. Gli è gradito contemplare che condividiamo il pane con gli affamati, vestiamo quanti sono privi di vesti e accogliamo nella nostra casa quanti mancano di un tetto sotto il quale ripararsi».
Anche San Leone Magno, nei suoi Discorsi, dice che «la giustizia cristiana può superare quella degli scribi e dei farisei non svuotando la legge, ma rifiutando ogni interpretazione materiale della legge». E lo spiega commentando il testo di Matteo sul digiuno. Gli ipocriti che, digiunando, si sfigurano il viso perché gli uomini vedano che digiunano, hanno già ricevuto la loro ricompensa: «Quale ricompensa», si chiede San Leone Magno. «Quella della lode degli uomini. Per l'ambizione di questa lode, spesso si ostenta un'apparenza di santità, senza preoccuparsi della propria coscienza, ma cercando unicamente una falsa fama. In questo modo, l'iniquità si accontenta di una stima ipocrita. Tuttavia, a chi ama Dio è sufficiente sapere che gradisce colui che ama; non desidera altra ricompensa all'infuori dell'amore stesso. L'anima pura e santa si sente tanto felice di essere piena di Lui che non desidera compiacersi in niente all'infuori di Lui». La legge di Israele prescriveva il digiuno solo nel giorno dell'Espiazione, lo Yom Kippur: «Il Signore disse ancora a Mosè: "Il decimo giorno di questo settimo mese sarà il giorno dell'espiazione; terrete una santa convocazione, vi mortificherete e offrirete sacrifici consumati dal fuoco in onore del Signore. In quel giorno non farete alcun lavoro; poiché è il giorno dell'espiazione, per espiare per voi davanti al Signore, vostro Dio. Ogni persona che non si mortificherà in quel giorno, sarà eliminata dal suo popolo. Ogni persona che farà in quel giorno un qualunque lavoro, io la eliminerò dal suo popolo. Non farete alcun lavoro. E una legge perenne di generazione in generazione, in tutti i luoghi dove abiterete. Sarà per voi un sabato di assoluto riposo e dovrete mortificarvi: il nono giorno del mese, dalla sera alla sera dopo, celebrerete il vostro sabato"» (Lv 23,26-32; 16,29ss). A questo giorno del grande digiuno si aggiungevano altri giorni di digiuno in ricordo di calamità nazionali o in periodo di carestia, come quando ritardava la pioggia d'autunno. A causa di una calamità, precisamente «nel quinto anno di Ioiakim, figlio di Giosia, re di Giuda, nel nono mese, fu indetto un digiuno davanti al Signore per tutto il popolo di Gerusalemme e per tutto il popolo che era venuto dalle città di Giuda a Gerusalemme» (Ger 36,9). Il digiuno, unito alla preghiera, era sempre orientato al perdono dei peccati, per ottenere la clemenza di Dio. A questi digiuni pubblici e rituali si unirono i digiuni particolari, praticati soprattutto dai farisei, i quali solevano digiunare il secondo e quinto giorno della settimana, lunedì e giovedì (Lc 18,12). In questi giorni, oltre a privarsi di cibi, si vestivano di sacco (Sal 35,13), si cosparge-vano cenere sul capo, non si lavavano né ungevano il corpo, camminavano scalzi. Un esempio di questo comportamento lo abbiamo nel digiuno di Davide, mentre il figlio che Bersabea gli diede era malato. Davide interruppe il digiuno non appena seppe che era morto: «Allora Davide si alzò da terra, si lavò, si unse e cambiò le vesti; poi andò nella casa del Signore e vi si prostrò. Rientrato a casa, chiese che gli portassero il cibo e ne mangiò» (2Sam 12,20). I salmi invitano frequentemente al digiuno personale in occasione di difficoltà particolari (cfr. Sal 35,69,109). Per i cristiani il fondamento biblico del digiuno risiede nello stesso Gesù Cristo, che preparò il suo ministero pubblico ritirandosi nel deserto per pregare e digiunare per quaranta giorni (Mt 4,1ss; Lc 4,1ss). Partendo, dunque, dalla vita di Cristo possiamo capire che la sua critica al digiuno dei farisei si fonda sulla mancanza di sincerità con cui digiunano e non sul digiuno in sé. Il digiuno autentico va sempre unito alla conversione, alla sincerità della vita di fede. Questo è quello che propone già il profeta Gioele: «Or dunque - parola del Signore - ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché Egli è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura» (GI 2,12-13).
b) Il digiuno davanti allo sguardo di Dio

Gesù ha iniziato la sua vita pubblica con un digiuno di quaranta giorni nel deserto (Mt 4,1ss). Dopo non digiuneranno più né lui né i suoi discepoli. Era il tempo della gioia, il tempo in cui i peccatori si sentivano accolti e perdonati. Per loro si organizzava una festa, alla quale partecipavano gli angeli e i santi (Lc 15). Fino a quando lo sposo sta con gli invitati, non c'è spazio per il digiuno. Alla festa di nozze, gli amici dello sposo si rallegrano: «Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano? E Gesù disse loro: Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno» (Mt 9,14-15). Tuttavia Gesù non condanna il digiuno. Desidera solo che sia orientato a Dio e, come la preghiera fatta in casa con la porta chiusa, così il digiuno venga praticato solo davanti allo sguardo di Dio. Il digiuno, quale atto di culto, è un umiliarsi davanti a Dio, riconoscendo la nostra fragilità e dipendenza da Lui o chiedendogli dalla nostra prostrazione il perdono dei peccati. È un modo di aprirsi alla sua bontà, al dono della sua grazia. Il digiuno, culto a Dio, è sempre unito alla preghiera. «Buona cosa è la preghiera con il digiuno» (Tb 12,8), dice Tobi a suo figlio. La chiamata a conversione si rivolge sempre e principalmente ai nostri cuori: «Laceratevi il cuore e non le vesti» (GI 2,12-18), proclama ogni anno la Chiesa all'inizio della Quaresima. In questo la Chiesa è fedele a quanto hanno proclamato i profeti: «Come già nei profeti, l'appello di Gesù alla conversione e alla penitenza non riguarda anzitutto opere esteriori, il 'sacco e la cenere', i digiuni e le mortificazioni, ma la conversione del cuore, la penitenza interiore. Senza di essa, le opere di penitenza rimangono sterili e menzognere, la conversione interiore spinge invece all'espressione di questo atteggiamento in segni visibili, gesti e opere di penitenza» (CCC 1430). I profeti hanno criticato il digiuno esteriore slegato dall'autentica conversione a Dio. E classico l'oracolo del profeta Gioele: «Or dunque - parola del Signore - ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura. Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una benedizione? Offerta e libazione per il Signore vostro Dio. Suonate la tromba in Sion, proclamate un digiuno, convocate un'adunanza solenne. Radunate il popolo, indite un'assemblea, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo. Tra il vestibolo e l'altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al vituperio e alla derisione delle genti. Perché si dovrebbe dire fra i popoli: Dov'è il tuo Dio?» (Gl 2,12-17). Il Signore non si commuove davanti al digiuno ipocrita come annuncia Geremia: «Anche se digiuneranno, non ascolterò la loro supplica» (Ger 14,12). Ma davanti a un digiuno sincero, il Signore si muove a compassione e cambia il lutto in festa: «Così dice il Signore degli eserciti: Il digiuno del quarto, quinto, settimo e decimo mese si cambierà per la casa di Giuda in gioia, in giubilo e in giorni di festa, purché amiate la verità e la pace» (Zc 8,19). Il digiuno aiuta l'uomo a scoprire la presenza di Dio nella sua vita. Luca ci dice che Anna «non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere» (Lc 2,37). Il Catechismo della Chiesa raccomanda il digiuno, con la preghiera e l'elemosina, come forme di penitenza per unirci a Dio, vivere l'amore per il prossimo e per se stesso:«La penitenza interiore del cristiano può avere espressioni molto varie. La Scrittura e i Padri insistono soprattutto su tre forme: il digiuno, la preghiera e l'elemosina (cfr. Tb 12,8; Mt 6,1-18), che esprimono la conversione in rapporto a Dio e in rapporto agli altri» (CCC 1434). La Scrittura ci presenta numerosi esempi di digiuno in situazioni diverse. Il salmista, implorando l'ausilio di Dio, parla del digiuno prolungato fino a sentire che le ginocchia gli si indeboliscono (Sal 109,24). La città di Ninive, davanti alla predicazione di Giona, proclama un digiuno generale, ottenendo con esso che Dio non esegua il castigo con cui la minacciava (Gv 3,4-7). Lo aveva fatto prima lo stesso Mosè davanti alla minaccia di distruzione del popolo di Israele: «Io ero rimasto sul monte, come la prima volta, quaranta giorni e quaranta notti, in digiuno. Il Signore mi esaudì anche questa volta: il Signore non ha voluto distruggerti» (Dt 10,10). Il re Achab digiunò ascoltando la profezia di distruzione pronunciata contro di lui da Elia (1Re 21,27). Giosafat digiunò quando le nazioni gli fecero guerra (2Cr 20,3-4). Davide digiuna e fa penitenza in diverse occasioni (Sal 3,13), come quando venne a sapere della morte di Saul e Gionata (2Sam 1,12) o della morte di Abner (2Sam 3,35). Davanti alla minaccia di Nabucodonosor, Giuditta e gli Israeliti pregano e digiunano e il Signore ascolta le loro voci e vede la loro angoscia, salvandoli (Gdt 4,9-15). Quando Aman minaccia di distruggere tutto il popolo di Dio, Ester dice a Mardocheo: «Va, raduna tutti i Giudei che si trovano a Susa: digiunate per me, state senza mangiare e senza bere per tre giorni, notte e giorno; anch'io con le ancelle digiunerò nello stesso modo; dopo entrerò dal re, sebbene ciò sia contro la legge e, se dovrò morire, perirò!» (Est 4,16).
Anche nel Nuovo Testamento troviamo testimonianze di digiuni in momenti importanti della vita della comunità: «Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiu nando, lo Spirito Santo disse: Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati. Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono» (At 13,2-3). Paolo e Barnaba, prima di accomiatarsi dalle comunità da essi fondate, «costituirono per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo avere pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto» (At 14,23).

c) Non di solo pane vivrà l'uomo

Nella nostra società dei consumi, che riduce l'uomo all'istinto, elevando il piacere a principio assoluto della morale, il digiuno acquista uri importanza particolare. Il digiuno insegna all'uomo che la sua vita non risiede unicamente nel mangiare e nel bere o nel soddisfare tutte le passioni: «Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4), risponde Gesù al tentatore dopo quaranta giorni di digiuno. In realtà, oggi è necessario porre un freno ai cinque sensi. Oltre alla sobrietà nel mangiare e nel bere, il digiuno è conveniente quanto all'olfatto, al gusto, al tatto, all'udito e alla vista. Chi non rinnega se stesso cade nel precipizio. Gli istinti senza freno prendono la mano e distruggono la persona umana, riducendola a una vita animale. L'edonismo riduce l'uomo a un consumo di sensazioni transitorie, portandolo alla nausea della vita. Perciò san Giovanni Crisostomo esorta i suoi ascoltatori a non limitare il digiuno alla privazione del cibo: «Il valore del digiuno consiste non solo nell'evitare certi cibi, ma nel rinunciare a tutti gli atteggiamenti, pensieri e desideri peccaminosi. Chi limita il digiuno semplicemente al cibo, minimizza il grande valore che il digiuno possiede. Se digiuni, lo provino le tue opere! Se vedi un fratello bisognoso, abbi compassione di lui. Se vedi un fratello che viene trattato con deferenza, non esserne invidioso.
Affinché il digiuno sia vero, non può esserlo solo con la bocca, ma si deve digiunare con gli occhi, le orecchie, i piedi, le mani, e con tutto il corpo, interiormente ed esteriormente. Digiuni con le tue mani mantenendole pure nel servizio disinteressato agli altri. Digiuni con i tuoi piedi non essendo tanto lento nell'amore e nel servizio. Digiuni con i tuoi occhi non vedendo cose impure, o non puntando l'attenzione sugli altri per criticarli. Astieniti da tutto ciò che mette in pericolo la tua anima e la tua santità. Sarebbe inutile non dare cibo al mio corpo, ma alimentare il mio cuore con immondizia, impurità, egoismo, contese, agi. Ti astieni dal cibo, ma ti permetti di ascoltare cose vane e mondane. Devi digiunare anche con le tue orecchie. Devi evitare di ascoltare cose che si dicono sul conto dei tuoi fratelli, menzogne che si dicono sugli altri, specialmente pettegolezzi, dicerie o parole fredde e dannose contro gli altri. Oltre a digiunare con la tua bocca, devi astenerti dal dire qualcosa che faccia male all'altro. Poiché a che ti serve non mangiare carne, se divori tuo fratello?». La pubblicità, con la sua immensa capacità di suggestione, schiavizza le persone incaute con la lusinga dell'apparente piacere, presentando come buono, bello e appetibile ciò che in realtà non lo è (Gen 3,6). Il digiuno libera dalla schiavitù del piacere apparente, che promette di saziare l'appetito dell'uomo con cose effimere o false, che non soddisfano mai l'autentico desiderio di felicità posto da Dio nell'intimo del cuore umano. Il digiuno aiuta il cristiano nell'autocontrollo e nella moderazione dei suoi appetiti. Già san Marco raccomanda il digiuno nella lotta contro alcuni demòni: «Questa specie di demòni può essere scacciata solo con la preghiera e il digiuno» (Mc 9,29).

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