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martedì 7 aprile 2020


Martedì Santo


L'ultima cena dal manoscritto Proprium de tempore et de Sanctis Speyerer Evangelistar -Bruchsal 1 Speyer, Treviri, [1220] 

αποφθεγμα Apoftegma

A chi, afflitto da una prova particolarmente dura
o schiacciato dal peso dei peccati commessi,
ha smarrito ogni fiducia nella vita
ed è tentato di cedere alla disperazione,
si presenta il volto dolce di Cristo,
su di lui arrivano quei raggi che partono dal suo cuore
e illuminano, riscaldano, 
indicano il cammino e infondono speranza.

Giovanni Paolo II

Retablo de la Virgen, Sijena (Spagna).
Jaume Serra (1367 - 1381).
Gesù sapeva tutto. Sapeva chi lo avrebbe tradito, e come lo avrebbe consegnato, e non fa nulla per cambiarne la rotta. Il mondo, e noi in esso, farebbe carte false per sapere in anticipo, non dico i numeri del lotto, ma anche solo le proprie vicende sentimentali, il futuro dei figli, l'epilogo di storie intricate. Le cartomanti invadono le televisioni, gli oroscopi appaiono sulle prime pagine dei giornali, sedute spiritiche e pellicole di fantasia legate alla magia riempiono le sale cinematografiche. Il desiderio di appropriarsi del futuro e di manipolarlo secondo i propri progetti di felicità ci accomuna tutti. Vorremmo sapere, per regolarci, per parlare, per aggiustare, per non sbagliare; per non morire. E ci inventiamo prevenzioni, diete che promettono salute e benessere fatte per essere smentite, assicurazioni sulla vita, contratti a tempo indeterminato, tutte cose alle quali ci aggrappiamo illudendoci di "aggiungere un'ora sola alla nostra vita". C'è addirittura chi si priva preventivamente di alcune parti del proprio corpo per non ammalarsi di cancro... Gesù invece sa e non fa nulla. Anzi. Lui conosce il destino che lo attende e, attraverso il crogiuolo del Getsemani, vi entra sereno, senza dire parola, come chi ha già vinto. Era consapevole che la sua vita non aveva altro senso e direzione che Gerusalemme, il Golgota e il sepolcro dove "glorificare il Padre" passando dalla morte alla vita. Sapeva perché portava sigillato nel cuore il segreto del Padre, l'amore che riempiva quella volontà, che appariva alla carne così cruenta. Gesù non aveva bisogno di maghi, di indovini e di oroscopi, neanche di illusionisti che vendono fumo spacciandolo per qualità della vita, o di politici che promettono denaro e lavoro; non aveva bisogno di personal trainer e di motivatori, filosofi e tuttologi dispensatori di consigli e segreti per cavarsela e riuscire nella vita. Gesù sapeva di essere Figlio di Dio, e questo era tutto: la volontà del Padre era la sua, ed era amore perché nessuno si perdesse. Come Abramo e Isacco, “i due si guardavano negli occhi” come in uno specchio, perché avevano lo stesso cuore, la stessa mente, e lo stesso Spirito. Esattamente ciò che manca a noi, che invece di fissare il Padre contempliamo narcisisticamente noi stessi. Per questo, tristi e insoddisfatti, siamo come obbligati a dare ogni giorno un senso alla marcia della vita, sforzandoci di cambiarne l'orientamento quando non è secondo le nostre carte di bordo. Ci illudiamo di stabilire la meta, tracciamo di conseguenza il percorso, dimenticando però chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando. 


Per questo oggi, accanto a Gesù, appare, con “il capo reclinato sul suo petto”, la figura del “discepolo che Lui amava”. Tu, ed io: la sua dolcezza, la sua tenerezza infinita, la sua mitezza di fronte alla storia che lo conduce alla morte, il suo amore, ci attirano a sé, nel profondo del suo cuore. La luce per la nostra vita, per comprenderne il senso e discernere il cammino, è la luce di Pasqua che emerge dal suo cuore squarciato, immagine del sepolcro aperto sulla vita e definitivamente serrato in faccia alla morte. Siamo chiamati a deporre la nostra mente sul cuore di Gesù, come un corpo nel sepolcro, come un catecumeno si immerge nella piscina battesimale: "Rapisca, ti prego, o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia  per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato morire per amore dell’amor mio" (San Francesco)Gesù ci chiama oggi a lasciare che i pensieri, i progetti, i criteri, fossero anche i più santi e ragionevoli, siano assorbiti nel fuoco del suo cuore, per vederli trasformati in palpiti d'amore; nulla di smielato e sentimentale però, piuttosto l'amore autentico e fatto carne nella vita che "muore per amore" dell'amore di Cristo; l'amore che offre la mente alle spine della stessa sua corona, per non dimenticare il dolore dei peccati che sorgono sempre da un pensiero mondano, e tenere desta la memoria della sua misericordia. "Reclinare il capo sul petto di Gesù" significa entrare nello scrigno del suo intimo, dove è custodito il senso di ogni evento, anche il più banale. Perché, come scrisse il Beato Card. Newman, "il cuore parla al cuore", e solo chi lo ascolta può accoglierne i tesori. Sul petto di Gesù, tutto in noi è santo, così come è, non dobbiamo toccare nulla; niente da togliere, niente da aggiungere. 


Giuda invece "è finito sotto il dominio di qualcun altro: chi rompe l’amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo «dolce giogo», non diventa libero, ma diventa invece schiavo di altre potenze" (Benedetto XVI). Quando poi, comprendendo l'errore, Giuda tenterà un ritorno, l'orgoglio a cui si era consegnato gli impedirà di credere all'amore smisurato di Cristo. Non aveva mai reclinato il suo capo sul petto di Gesù, non aveva udito i battiti del suo cuore che si commuoveva per lui, non aveva quindi potuto comprendere la sua Parola e il suo amore. Giuda “mangia il boccone intinto” da Gesù, ma dubitando di Lui; e, dice San Paolo, "chi mangia dubitando si condanna". Gesù, pur conoscendo la malizia del suo cuore, non esita a “prendere” quel boccone sacramento del suo corpo, e a “darglielo”, perché sa che senza quel boccone non avrebbe compiuto la sua missione. E’ tremendo: da una parte emerge l’amore di Gesù che, in quel boccone, si offre da se stesso a Giuda e alla Croce prima ancora di essere consegnato; dall’altra si rivela l’abisso a cui può arrivare il cuore dell’uomo: invece di reclinare il capo sul petto di Gesù, tutti possiamo prendere e mangiare i segni del suo amore con un cuore doppio, dubitando che sia davvero amore, e aprendo così a satana la porta del nostro cuore. E’ dopo aver mangiato quel boccone, infatti, che “satana entra in Giuda”. Prima c’era solo la sua debolezza che poteva ancora abbandonarsi alla misericordia di Cristo. Prima c’erano i suoi dubbi, i suoi ragionamenti, i suoi criteri, che avrebbe potuto gettare nel cuore di Cristo. E invece si è chiuso in se stesso, e quel boccone di vita si è trasformato in cibo di morte. Attenzione eh, si tratta di un pericolo in agguato per tutti noi. Giuda, infatti, è l'immagine di quanti, chiusi gli occhi alla luce dell'amore, si infilano "nella notte" della giustizia umana che non conosce misericordia. Attenti allora, perché Giuda, ovvero lo spirito malvagio e incredulo del demonio, ci aspetta al varco, nella notte di questo mondo: è in ufficio, a scuola, forse in famiglia; in un tradimento, nel disprezzo, nella solitudine. O nelle malattie, nelle difficoltà, nei fallimenti e nella precarietà. Ci aspetta soprattutto con il suo ghigno beffardo, quando ci scopriamo peccatori, incapaci di amare, un blocco granitico di orgoglio e superbia; è allora che, prendendo spunto dalla nostra debolezza, ci induce a dubitare, anzi a disperare e a disprezzarci, e così a rinnegare Cristo e il suo amore, troppo grande per essere vero. Giuda si nasconde anche nella paura di fronte alla grandezza della chiamata, al matrimonio o al celibato, nel terrore dinanzi alla possibilità di un amore indissolubile che urta con la provvisorietà delle nostre affezioni. Ma proprio le nostre debolezze e le contraddizioni della storia sono il luogo dove sperimentare che in tutto e in ogni istante, scorre l'amore di Dio, come un fiume di Grazia. Ma per riconoscerlo, dobbiamo accogliere in noi lo sguardo di Gesù che vedeva la trama positiva, di Grazia e di Gloria anche negli occhi assassini di Giuda. Lo sguardo del suo cuore che, oltrepassando i deboli sentimenti d'affetto e di giustizia di Pietro, lo vedeva già piangente sui suoi peccati, perché lo aveva già perdonato. 

Ultima Cena, Miniatura armena
Fratelli, per trasfigurare il nostro sguardo in quello di Cristo, entriamo con Lui nel Cenacolo in questa vigilia della sua Passione; e impariamo ad entrarci ogni giorno, prima della nostra passione: prima di un’operazione delicata, di una decisione da prendere, di fronte alle difficoltà di relazione con il coniuge e i figli, dinanzi alla Croce che ci attende. Prima del Getsemani c’è il Cenacolo, dove reclinare il capo sul petto di Gesù, perché solo così impareremo ad entrare nella storia e a reclinare il nostro sulla Croce, l'unico posto dove Cristo stesso ha potuto reclinare il suo… Quando siamo crocifissi con Cristo, scocca l'ora nella quale "glorificare il Padre" e Cristo in noi. Ogni ora nella quale la carne bestemmierebbe, è quella favorevole per rendere gloria a Dio. Ma dobbiamo preparaci nel Cenacolo, immagine della comunità cristiana, dove ci accoglie la "profonda commozione" di Gesù per ogni nostro tradimento perché ci abbandoniamo alle sue viscere di misericordia. In essa, infatti, si ascolta la sua Parola e ci si nutre di Cristo nei sacramenti; si diluiscono le angosce nella preghiera, e si depone l’inconsapevole orgoglio di Pietro nell’abbraccio amorevole del Signore, dove accettare la propria debolezza. Satana, infatti, lo si affronta solo nascosti nella fenditura della roccia da dove far udire allo Sposo la voce del nostro cuore. Le tentazioni e le incredulità si vincono solo reclinati sul petto di Gesù, come il tralcio è unito alla vite, nella consapevolezza umile che da soli non possiamo nulla. Lì dentro infatti, nella fornace ardente del cuore di Cristo, sperimenteremo di essere i suoi discepoli amati, partecipi della sua stessa missione. Il fuoco del suo amore ci fonderà in Lui perché si infranga su di noi, ormai divenuti una cosa con Cristo, il male di questa generazione. Chi vive nella comunione della Chiesa si abbevera ogni istante della misericordia che sgorga dal petto di Gesù, “e non è forse la misericordia un "secondo nome" dell'amore, colto nel suo aspetto più profondo e tenero, nella sua attitudine a farsi carico di ogni bisogno, soprattutto nella sua immensa capacità di perdono? Suor Faustina Kowalska ha lasciato scritto nel suo Diario: "Provo un dolore tremendo, quando osservo le sofferenze del prossimo. Tutti i dolori del prossimo si ripercuotono nel mio cuore; porto nel mio cuore le loro angosce, in modo tale che mi annientano anche fisicamente. Desidererei che tutti i dolori ricadessero su di me, per portare sollievo al prossimo". Ecco a quale punto di condivisione conduce l'amore quando è misurato sull'amore di Dio!" (Giovanni Paolo II). Ecco, nel cuore a cuore con Cristo che travasa in noi il suo amore, possiamo vivere il “prima” di ogni evento della nostra vita discernendo in ciascuno il suo Mistero Pasquale che ci attende; e così “potremo” entrare in quel "più tardi" nel quale “andare con Gesù dove Lui è già andato”, il Regno dove riposare eternamente sul suo petto, del quale anche in questa Pasqua ci verranno donate le primizie squisite.

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