Ma, quel che è peggio agli occhi del governo vietnamita, sia i Montagnards che i Hmong sono cristiani. In Vietnam le chiese sono viste con sospetto, le autorità considerano il cristianesimo una influenza straniera e i cristiani agenti dell’Occidente. Nel 2013 è stata varata una legge che impone a tutte le chiese di registrarsi, con una procedura che però rende molto difficile farlo il che ostacola, fino a renderle talvolta impossibili, le attività dei sacerdoti e in generale dei religiosi. Inoltre vengono esercitate pressioni sulla popolazione affinché abbandoni il cristianesimo. Perciò nell’elenco degli stati che più perseguitano i cristiani, pubblicato ogni anno dall’associazione internazionale Open Doors, il Vietnam compare da tempo tra quelli in cui la persecuzione è definita grave: occupava il 21° posto nella classifica del 2013 e in quella del 2014, a conferma di un peggioramento della situazione, figura 18°, tra l’Etiopia e il Qatar.
Sono migliaia i Montagnards e i Hmong che hanno scelto la fuga in Cambogia e Thailandia nel corso degli anni, pur
sapendo che oltre confine li attendono condizioni di vita difficilissime e il rischio di essere arrestati ed espulsi. Ultimi in ordine di tempo, all’inizio di novembre, in 13 sono riusciti a varcare la frontiera con la Cambogia, dopo un viaggio estenuante durato settimane durante le quali hanno quasi sempre dormito all’aperto e a mala pena sono stati in grado di sfamarsi. La loro vicenda è nota grazie ai giornalisti di Radio Free Asia che li hanno intervistati. Hanno accettato di parlare con loro a condizione che non rivelassero la loro identità e il luogo in cui sono nascosti. Si sa soltanto che si trovano nelle foreste della provincia cambogiana di Ratanakiri, infestate dalle zanzare. Mancano di tutto, ma sono disposti a morire di fame e di malaria piuttosto che tornare in patria e sanno che, nonostante gli appelli internazionali e le pressioni dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, le autorità cambogiane tendono a rimpatriare i cristiani vietnamiti e sono restie e concedere lo status di rifugiato.
Come chi li ha preceduti, hanno raccontato ai giornalisti storie di intimidazioni e abusi, minacce di morte, terre perdute, espropriate dalle autorità locali: una vita di persecuzioni che aumentano, in Vietnam come altrove, all’approssimarsi delle principali festività religiose. Lo scorso anno, a Natale, nella provincia da cui sono fuggiti, Gia Lai, la polizia ha aggredito dei volontari cattolici che stavano portando doni ai bimbi orfani e alle famiglie più povere – coperte, cibo, altri generi di prima necessità – e ha impedito loro di consegnarli. Il capo della sezione locale del Partito Comunista ha seviziato uno dei fedeli procurandogli lesioni che ne hanno reso necessario il ricovero in ospedale.
Più a nord, la stessa sorte tocca ai cristiani Hmong. Nella provincia di Dak Lak quasi tutte le chiese sono state chiuse fin dal 2002. Da allora ogni pratica religiosa collettiva – battesimi, matrimoni, funerali, amministrazione dei sacramenti – è soggetta a restrizioni. Molti Hmong residenti in Vietnam sono originari del Laos da dove sono fuggiti per sottrarsi a persecuzioni ancora più feroci. Altri hanno tentato e tentano la sorte in Thailandia dove non li attende sorte migliore.
Si danno casi di intere famiglie sterminate dai reparti militari governativi laotiani o accerchiate, isolate e fatte morire di stenti nella foresta. Anche in Laos il Partito Comunista considera i cristiani agenti stranieri, limita la stampa e l’importazione di materiali cristiani e controlla le attività religiose per svolgere le quali occorre un permesso governativo che viene raramente concesso.
Nessun commento:
Posta un commento