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lunedì 1 dicembre 2014

I cristiani dimenticati del Vietnam

di Anna Bono                      01-12-2014
I Montagnard e la poliziaAbitano sugli altipiani centrali del Vietnam. Per questo li chiamano Montagnards, uomini delle montagne, e anche, sprezzantemente, “moi”, selvaggi. Sono i Degar, un gruppo di etnie minoritarie, da molti secoli confinate nelle inospitali regioni montuose del paese. Le difficoltà derivanti dalle condizioni ambientali avverse tuttavia sono poca cosa al confronto di quel che devono patire per colpa del loro governo. Durante la guerra (1955-1975) tra il Vietnam del Nord, comunista, e il Vietnam del Sud i Montagnards, così come i Hmong che vivono più a nord e in Laos, si erano schierati con i Francesi prima e con gli Stati Uniti poi, sperando così di poter costituire una nazione autonoma. Già bastava perché, dopo l’unificazione dei due Vietnam nel 1975 e l’imposizione del regime comunista, subissero ritorsioni e una dura repressione.
Ma, quel che è peggio agli occhi del governo vietnamita, sia i Montagnards che i Hmong sono cristiani. In Vietnam le chiese sono viste con sospetto, le autorità considerano il cristianesimo una influenza straniera e i cristiani agenti dell’Occidente. Nel 2013 è stata varata una legge che impone a tutte le chiese di registrarsi, con una procedura che però rende molto difficile farlo il che ostacola, fino a renderle talvolta impossibili, le attività dei sacerdoti e in generale dei religiosi. Inoltre vengono esercitate pressioni sulla popolazione affinché abbandoni il cristianesimo. Perciò nell’elenco degli stati che più perseguitano i cristiani, pubblicato ogni anno dall’associazione internazionale Open Doors, il Vietnam compare da tempo tra quelli in cui la persecuzione è definita grave: occupava il 21° posto nella classifica del 2013 e in quella del 2014, a conferma di un peggioramento della situazione, figura 18°, tra l’Etiopia e il Qatar.
Sono migliaia i Montagnards e i Hmong che hanno scelto la fuga in Cambogia e Thailandia nel corso degli anni, pur
sapendo che oltre confine li attendono condizioni di vita difficilissime e il rischio di essere arrestati ed espulsi. Ultimi in ordine di tempo, all’inizio di novembre, in 13 sono riusciti a varcare la frontiera con la Cambogia, dopo un viaggio estenuante durato settimane durante le quali hanno quasi sempre dormito all’aperto e a mala pena sono stati in grado di sfamarsi. La loro vicenda è nota grazie ai giornalisti di Radio Free Asia che li hanno intervistati. Hanno accettato di parlare con loro a condizione che non rivelassero la loro identità e il luogo in cui sono nascosti. Si sa soltanto che si trovano nelle foreste della provincia cambogiana di Ratanakiri, infestate dalle zanzare. Mancano di tutto, ma sono disposti a morire di fame e di malaria piuttosto che tornare in patria e sanno che, nonostante gli appelli internazionali e le pressioni dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, le autorità cambogiane tendono a rimpatriare i cristiani vietnamiti e sono restie e concedere lo status di rifugiato.
Come chi li ha preceduti, hanno raccontato ai giornalisti storie di intimidazioni e abusi, minacce di morte, terre perdute, espropriate dalle autorità locali: una vita di persecuzioni che aumentano, in Vietnam come altrove, all’approssimarsi delle principali festività religiose. Lo scorso anno, a Natale, nella provincia da cui sono fuggiti, Gia Lai, la polizia ha aggredito dei volontari cattolici che stavano portando doni ai bimbi orfani e alle famiglie più povere – coperte, cibo, altri generi di prima necessità – e ha impedito loro di consegnarli. Il capo della sezione locale del Partito Comunista ha seviziato uno dei fedeli procurandogli lesioni che ne hanno reso necessario il ricovero in ospedale.
Più a nord, la stessa sorte tocca ai cristiani Hmong. Nella provincia di Dak Lak quasi tutte le chiese sono state chiuse fin dal 2002. Da allora ogni pratica religiosa collettiva – battesimi, matrimoni, funerali, amministrazione dei sacramenti – è soggetta a restrizioni. Molti Hmong residenti in Vietnam sono originari del Laos da dove sono fuggiti per sottrarsi a persecuzioni ancora più feroci. Altri hanno tentato e tentano la sorte in Thailandia dove non li attende sorte migliore.
Si danno casi di intere famiglie sterminate dai reparti militari governativi laotiani o accerchiate, isolate e fatte morire di stenti nella foresta. Anche in Laos il Partito Comunista considera i cristiani agenti stranieri, limita la stampa e l’importazione di materiali cristiani e controlla le attività religiose per svolgere le quali occorre un permesso governativo che viene raramente concesso.

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