Lettera pastorale di mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina.
La gioia della vita e dell’amore
Siamo entusiasti della vita, siamo grati a Dio di questo grande dono che fa all’umanità, siamo contenti del creato in cui ci ha collocato come essere unici e irripetibili, responsabili della sua conservazione e del suo sviluppo, intelligenti per capirne i segreti e entusiasti di collaborare con Lui. Non loderemo mai abbastanza Dio del dono della vita, della terra, dei fiori, delle piante, degli animali, del cielo e degli oceani. Siamo contenti di essere stati immersi in un sogno grandioso e di aver gioito con Dio della creazione e di essere stati aperti alla vita nel culmine della bellezza dell’universo.
Ci sentiamo ancora oggi quell’Adamo che guarda con stupore la natura, le cose, le stelle, il mondo creato e avvertiamo dentro di noi che un passo decisivo verso la nostra felicità è solo possibile in una assoluta novità: la relazione con una persona all’altezza della attesa dell’uomo. Maschio e femmina li creò e Adamo disse: questa è carne della mia carne e ossa delle mie ossa.
Nel grande progetto di Dio sta immediatamente una relazione, sta un mettersi l’uno nelle mani dell’altro, nel guardarsi e uscire dall’isolamento e dalla autosufficienza, dal calcolo e dallo sfruttamento, dall’egoismo e dalla solitudine. Dio ci ha dedicati l’uno all’altra nell’amore. Lui ne è la sorgente. L’amore decide per tutti la qualità della vita, porta dentro i nostri passi, i progetti di Dio; l’amore ci rende simili a Lui, l’amore è una luce che nei nostri occhi fa brillare il sorriso di Dio. Il creato per l’amore che Dio ha messo nell’umanità assume il suo volto.
Abbiamo davanti agli occhi la storia d’amore di due ragazzi che si vogliono bene, che scoprono nella vita che c’è una potenza, una energia indistruttibile, una forza che costringe alla mobilitazione di corporeità, sentimenti, atteggiamenti, intelligenza, dialoghi, emozioni.
Non si tratta solo di ragazzini curiosi e innamorati persi, ma anche di adulti, di uomini maturi che riscoprono ogni giorno come nel proprio esistere è scritto uno slancio incoercibile che è quello dell’amore. Nel nostro mondo tecnologico, spesso troppo materiale, sempre motivato da interessi e utilitarismi, da commercio e guadagno, da programmazione e risultati ci sono ancora ragazzi ingenui che sfidano la gravità, le leggi, le solitudini, gli utilitarismi e scrivono sui muri, sugli asfalti delle nostre strade: ti amo, sei la mia vita, ogni giorno ti penso, non posso vivere senza di te….
Non ringrazieremo mai a sufficienza Dio di aver scritto nelle nostre vite questi slanci, questi sogni, questo fuoco che fa esplodere le nostre esistenze e semina in noi la forza della vita.
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La scelta di Dio: vita e amore hanno casa nella famiglia
In una storia d’amore c’è in piccolo la storia dell’uomo e dell’universo: la gioia, il dolore, il tradimento, il peccato, il cammino di ritorno e di conversione, la tenuta di un legame, la crescita e le crisi, i progetti, le fatiche, le soddisfazioni, l’appagamento egoistico, la dedizione generosa e gratuita. È un vasto mondo di esperienze che concentra tutto il bene e il male dell’uomo. Noi sappiamo però che ogni storia dell’uomo, è storia di Dio con Lui, è storia di salvezza, di alleanza, di morte e risurrezione, un concentrato del senso dell’esistenza e in essa del rapporto con Dio.
L’esperienza dell’innamoramento e dell’amore nel piano di Dio trova il luogo indispensabile del suo svilupparsi in una comunione di vita e di sentimenti, di progetti e di sogni, di accoglienza e di dono che è la famiglia. È un cantiere del regno di Dio, cioè un luogo, uno spazio in cui Dio e l’uomo-donna, perché così siamo stati creati, fanno un patto di acciaio (alleanza) e realizzano la pienezza della creazione.
Il regalo e il fondamento di Cristo per la famiglia: il matrimonio
In questa alleanza primordiale che ci riporta alla creazione, all’ordine naturale inscritto nella natura dell’uomo e della donna, Dio colloca un grande regalo: il sacramento del matrimonio, lo spazio di un dono vicendevole senza riserve, che ha Gesù Cristo come centro, forza, grazia e dono.
Il sacramento del matrimonio è la luce che illumina e la porta che apre l’uomo e la donna a un amore stabile, forte nelle avversità, sicuro nel fine, necessario per il bene di ambedue e culla della nuova umanità. Il sacramento dà la grazia per giungere al culmine dell’amore, vivendo senza riserve l’uno per l’altra per sempre, donando vita, generando figli, trasmettendo quel dono della vita che ha Dio come autore. Il dono del sacramento è la collocazione dell’amore umano tra uomo e donna nella tenacia del cammino della croce e nella forza invincibile della risurrezione, nella gratuità più assoluta dell’amore di ciascuno per l’altra, perché questo amore è quello di Gesù per la sua chiesa, per l’umanità, un amore che non è mai venuto meno. E come Cristo non ha mai abbandonato né l’umanità, né la chiesa quando lo inchiodavano alla croce, così anche ogni matrimonio stabilito nel Signore si conserva come definitivo anche quando è diventato una crocifissione: per incompatibilità di carattere, per malattia, per strumentalizzazione, per noia, perché si porta dentro tutta la forza di un riscatto, di una redenzione, di un rinnovamento dei cuori. Nel sacramento Gesù è sempre lì a dare forza, conforto, speranza, a far esplodere risurrezione. Gli sposi per il dono del sacramento hanno in regalo la forza stessa che unisce per sempre Cristo alla Chiesa e diventano segno percepibile da tutti che Dio vuole bene all’umanità.
Tramite il sacramento l’amore e la vita, doni indispensabili per la gioia di vivere, hanno casa allora in un originale tessuto di relazioni, che rimane nella storia dell’uomo come unico e irripetibile, realizzato pure in forme diverse legate alla cultura, che è la famiglia.
La pedagogia dell’amore
Il punto di vista della nostra fede nel Dio di Gesù Cristo deve essere messo a confronto con la situazione concreta della vita dei ragazzi e delle ragazze di oggi, che in questo campo è caratterizzata da un eccesso e distorsione di informazioni e da una grande solitudine nel capire i valori veicolati dalla sessualità umana e quindi ancora più soli nel costruirsi una coscienza retta.
Non solo si è bloccati alla fase dell’istinto, ma lo stesso istinto, che è un grande dono di Dio, viene deviato dalla visione culturale della vita affettiva. Mi riferisco in particolare alle teorie della sessualità di genere che prevede non solo la figura del maschio e della femmina e del loro rapporto, ma di ogni genere di rapporto indipendentemente dal sesso. C’è un dato antropologico da ricostruire nel rispetto di ogni uomo, ma non nella omologazione alle mode o tendenze delle lobby vincenti.
E qui si apre una grande missione della comunità cristiana nel portare a conoscenza e nell’aiutare a capire il progetto di Dio sulla sessualità umana.
1. Il bambino ha bisogno fin dalle sue prime domande di essere aiutato a orientare sentimenti e istinto nelle direzione di una apertura agli altri e all’altro sesso. Il suo cuore e la sua intelligenza devono essere aiutati ad aprirsi. Di fronte alla violenza delle informazioni e dei comportamenti, alle volgarità diffuse i bambini vanno anche custoditi e difesi. L’ educazione sessuale deve poter offrire anche parole come pudore, purezza, rispetto per il proprio corpo e quello degli altri, delicatezza di informazione e di tratto. Il perno di questo momento educativo è la famiglia, assoluta responsabile in prima persona, in collaborazione con la scuola e il mondo associativo ecclesiale.
2. L’età che ha maggiore urgenza di intervento educativo oggi è la preadolescenza, l’età della scuola secondaria inferiore, che si trova nel massimo della solitudine ad affrontare un cumulo di informazioni e di coinvolgimenti anche sessuali, di cui non conosce la portata. È l’età in cui si rischia la banalizzazione della vita affettiva e la assoluta mancanza di aiuto nel cogliere i significati e la grande potenzialità della sessualità. La scoperta di sé deve essere fatta nel massimo della stima delle corporeità, del rispetto delle differenze, della acquisizione di atteggiamenti di relazione differenziati. L’impegno principale è quello di aiutare a dialogare con le differenze, con le vocazioni diverse dell’uomo e della donna, con le emozioni e i coinvolgimenti affettivi, che non sono avventure, ma segni di apertura alla novità e bellezza della vita.
è il tempo delle amicizie, dello stare assieme, del fare gruppo, della solidarietà tra compagni e compagne di scuola, del fare corpo giovanile che si distanzia e talvolta difende dagli adulti.
L’amicizia è una esperienza umana decisiva per molti uomini e donne e non può essere orientata a rapporti sessuali, ma pur connotata come ogni comportamento umano da sessualità, deve essere aiutata a esprimersi con sentimenti di altruismo e di coinvolgimento negli ideali, nelle visioni di mondo, nelle competizioni, nelle piccole grandi solidarietà, nell’aiuto a uscire dalle proprie solitudini. È il tempo dell’educazione alla tenerezza, alla conquista di sentimenti positivi verso la propria e altrui corporeità.
La parole cristiane che forse possono catalizzare meglio l’intervento educativo sono vocazione e amicizia, chiamata di Dio a cose grandi, consapevolezza di stare a cuore a Lui e dono vicendevole.
3. L’adolescenza è oggi una età meno pericolosa, perché la tempesta è avvenuta prima, ma necessita di proposta di grandi ideali.
Il rischio è sempre quello del moralismo o dello spontaneismo dell’isolamento, della solitudine e della disinformazione o di una informazione che va solo al lato igienico. Il discorso del preservativo, della pillola RU, dei rapporti con molti partner è sbandierato dalla moda e tenuto sotto traccia dalla formazione cristiana. Qui occorre fare in modo esplicito, entro un dialogo di fede, un primo grande salto di qualità nell’andare oltre l’informativo, oltre il cosiddetto naturale e politicamente corretto verso la visione teologica dell’amore tra due persone, verso il progetto di Dio e il patto di alleanza tra Cristo e il giovane, il ragazzo, non solo della procreazione naturale, ma della bellezza del piano di salvezza.
Per farmi capire dico che ogni coppia di innamorati devono sapere che: il regalo più grande è quello di proiettare il loro amore e i sentimenti che lo esprimono verso l’alto, il bacio più bello è quello di due che si scambiano la presenza di Dio in loro. Quella cena al lume di candela è la cospirazione di due che stanno trovando l’intesa migliore per offrire a Dio l’abitazione più adatta a continuare la forza della vita. Quel ballo appassionato, forse ormai lontano dal chiasso della discoteca quando si muovevano i primi passi di questa bella avventura, è la danza della vita con gli occhi negli occhi, il cuore sul cuore, la vita abbracciata in una tensione di promessa, di impegno e di attesa di qualcosa di definitivo.
È in gioco la ricerca della felicità e la consapevolezza che Dio investe in questa ricerca tutto se stesso proprio a partire e attraverso l’esperienza di coppia, l’esperienza dell’amore. Giovanni Paolo II ha sempre aiutato i giovani a collocare l’esperienza d’amore dentro il piano grande di Dio di condurre l’uomo alla felicità piena, a quella che Gesù ha innescato nella vita dell’uomo con la sua morte e risurrezione. A Tor Vergata ha avuto il coraggio di dire: “È importante rendersi conto che, tra le tante domande affioranti al vostro spirito, quelle decisive non riguardano il “che cosa”. La domanda di fondo è “ chi”: verso “chi” andare, “chi” seguire, “a chi” affidare la propria vita. Voi pensate alla vostra scelta affettiva, e immagino che siate d’accordo: ciò che veramente conta nella vita è la persona con la quale si decide di condividerla. Attenti, però! Ogni persona umana è inevitabilmente limitata: anche nel matrimonio più riuscito, non si può non mettere in conto una certa misura di delusione.... Solo Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio e di Maria, il Verbo eterno del Padre nato duemila anni orsono a Betlemme di Giudea, è in grado di soddisfare le aspirazioni più profonde del cuore umano.” E questo lo si impara proprio quando si impara ad amare, quando nel proprio originalissimo amore di coppia si sa vedere l’amore di Dio.
4. L’allungarsi dei tempi di decisione per il matrimonio ha allungato enormemente il tempo di questi approcci adolescenziali, il tempo del “non solo amici, ma non ancora fidanzati”, dello stare assieme non decisivo, ma spesso molto coinvolgente. La comunità cristiana può aiutare questo momento con un intervento educativo non ossessivamente portato sul tema della coppia o della sessualità, ma allargato da questo nuovo punto di vista a tutti gli ideali che un giovane deve avere: la solidarietà, l’amore alla giustizia, la voglia di dare il proprio contributo al cambiamento della società. Entra poi in gioco il discorso della responsabilità nei confronti della vita, l’educazione alla bellezza della procreazione come missione umana scritta nella natura, ma prima ancora nel piano di Dio e soprattutto della proposta del matrimonio come piano di Dio, come progetto di salvezza, come valore aggiunto, come vocazione, chiamata esplicita di Dio a dialogare cuore a cuore con Lui, a condividere e partecipare alla creazione del nuovo mondo in Cristo. La sessualità umana non è per la semplice conservazione della specie, come per le altre specie animali. Non è soprattutto l’istinto alla cui soddisfazione è connesso un piacere. È invece l’ambito della libera realizzazione della persona come relazione di amore e appartenenza vicendevole, che fa sì che uno diventi la vita dell’altro e si possa trasmettere una vita sensata ad altri.
La sessualità indica l’insufficienza radicale dell’uomo nei confronti della vita: il limite di un sesso è rimando all’altro, diverso. Questa alterità può essere vissuta come minaccia e aggressione, in difesa o in attacco, o come attrazione e cura, in comunione e dono reciproco.
Nel rapporto con l’altro diverso da sé, si riflette e concretizza il rapporto stesso con il primo Altro e diverso, con Dio.
È impegnativo riuscire a mettersi assieme, far diventare dialogo profondo il sentimento, uscire dalla solitudine in cui si è stati troppo tempo, trovare finalmente un’intesa, aiutati dalla forza insopprimibile della sessualità. È difficile districarsi tra quel mare di immagini, di provocazioni, di esperienze, di fallimenti che ti sbatte davanti la società con i suoi interessi e con le sue TV. È il tempo in cui occorre approfondire la stima per la corporeità.
Tanti ragazzi, rispetto alle relazioni che stabiliscono con gli altri attraverso la loro corporeità, sono preda solo del visto e del reclamizzato. Ho sempre in mente un ragazzo che un giorno si confessa e dice: ho buttato via il primo bacio della mia vita.
Perché? Perché l’ho dato solo per farmi vedere dai miei amici e per la voglia di fare il maschio. Un gesto che si porta dentro l’imprinting di Dio, perché un bacio è gesto d’amore e l’amore nasce e sussiste solo perché c’è Dio, buttato via. La situazione di molti giovani e adulti è purtroppo questa. La sessualità è un linguaggio molto coinvolgente, ma delicatissimo, ci mette un niente a scadere di significato.
Oggi è in atto un passaggio dal genitale al sentimentale, perché molti giovani dopo aver fatto le agognate conquiste ed esperienze che vengono tanto spudoratamente gettonate, hanno il coraggio di dire: tutto qui? Certo che non è tutto qui. Ricordo un romanzo di alcuni anni fa di un ragazzo che aveva come tesi: vogliamo vivere questo promettente tempo di amore senza andare a letto assieme. E per far questo occorre uscire dal gruppo o meglio dalla banda, dalla mentalità corrente, dalla omologazione.
Le aberrazioni diventeranno sempre più assurde, mentre la felicità sta proprio nell’armonia, nel caricare di amore vero i gesti della corporeità.
È mai possibile che due ragazzi vivano il tempo dello scambio di affetto, della scelta dell’amore, della vita di coppia, del fidanzamento chiusi in se stessi, senza altro ideale che quello di implodere su di sé, di annoiarsi appiccicati l’uno sull’altra, di essere sempre vestiti come impone la moda o preoccupati di raccontare conquiste o di farsi vedere? Essere la generazione dei pantaloni bassi, non significa che non si possa inventare un nuovo modo di costruire famiglie fondate sull’amore di Dio espresso dal sacramento del matrimonio, che non si sappia vivere una castità nuova, inusitata, ma tanto delicata e bella, perché è una forza interiore che dona equilibrio di corpo e di spirito, serenità di rapporto, forza di progettazione del futuro e non solo preoccupazione di strappare soddisfazioni al presente. Il divertimento, il tempo libero, la propria bellezza, la propria corporeità, il gusto delle cose, dei contatti, della festa: sono da recuperare, ogni giorno, facendo in modo che diventino espressione della propria persona e, in particolare, della propria disponibilità ad amare.
L a corporeità e tutto quello che è legato ad essa, fa parte della globalità della persona e, quindi, va recuperata dal suo interno come un “segno”; soprattutto deve diventare lo spazio personalissimo e originale per vivere veri rapporti con tutti e veri rapporti di amore. Il primo segno di una fede giovanile che vede in Dio l’unico Signore della vita è smettere di fare del proprio corpo un idolo, con una nuova corporeità..
5. Il tempo del fidanzamento e della preparazione al matrimonio.
Il fidanzamento è tempo di Grazia, è spazio di un particolare incontro con Dio della coppia che è tempo di attesa e di discernimento.
Si ha paura di perdere l’altro, di poter sprecare tempo, energie, sentimenti, slanci, dimensioni di profonda interiorità in qualcosa che potrebbe essere destinato a finire. Occorre guadagnarsi la possibilità di scegliere consapevolmente e con libertà di vivere l’incompiutezza. Questo significa scegliere la gratuità, decidere di giocarsi per un bene ancora non definitivo e quindi scegliere di amare l’altro senza chiuderlo in un progetto di possesso.
Intanto vengono alla luce i tratti di un compimento:
• il bene di ambedue che cresce, si rafforza, si rivela e porta a compiere scelte e ad attuare cambiamenti.
• non solo ci si vuole bene, ma si è anche felici insieme, la vita acquista sapore e profondità.
• la propria identità cambia, si diventa sempre più se stessi e ci si meraviglia di quali energie e qualità nuove si rivelino a se stessi.
• Dio si rivela con un piano assolutamente originale per la coppia e offre se stesso nel figlio Gesù come centro di un amore indistruttibile e crocifisso.
I percorsi di preparazione al matrimonio
È il tempo dei corsi di preparazione immediata al matrimonio, che spesso vede i fidanzati già convivere, con tutte le problematiche di una riscoperta del mondo della fede e della novità del matrimonio cristiano. Non sono certo sufficienti, ma sono necessari, perché in essi giunge a conclusione, per chi è stato seguito, tutta la preparazione.
Molti giovani invece che ritornano alla comunità cristiana dopo anni di abbandono della pratica cristiana compiono un percorso minimo di risveglio della vita di fede entro il quale sono aiutati in coppia ad approfondire gli elementi fondamentali del sacramento del matrimonio e il significato della celebrazione. Spesso si prende coscienza più diretta e profonda dl senso della decisione di sposarsi.
Ci si confronta con gli altri, si sperimenta un senso nuovo della vita della comunità cristiana. È occasione di corresponsabilità, di comunione, di collaborazione per tutta la comunità cristiana che li prepara, li propone e li svolge con un massimo di coinvolgimento dei laici e soprattutto delle famiglie, delle coppie di sposi cristiani, che possono serenamente comunicare le loro esperienze di fatica, ma anche di grande dono di Dio.
6. I primi anni di matrimonio meritano una particolare cura della comunità cristiana sia per continuare sicuramente in forme differenziate quel cammino di preparazione che ha risvegliato la vita di fede, sia per aiutarsi assieme ad affrontare le inevitabili difficoltà della vita a due. È il tempo di una grande fragilità e di una certa solitudine a due nell’affrontare le normali difficoltà della vita. È l’avvio di un lungo tempo della riscoperta della continua novità dell’amore nella gioia della fedeltà, nella vita di famiglia, nella tenuta dei sentimenti e degli impegni, della vita quotidiana. I tempi di incontro diventano certo più difficili, ma se vengono preparati buoni animatori si possono fare belle esperienze, soprattutto se vi si impegnano associazioni ecclesiali, come l’Azione Cattolica.
La famiglia soggetto nella vita della chiesa e del mondo
Basata sulla salda roccia del sacramento del matrimonio la famiglia diventa l’esperienza fondamentale di vita umana, personale, sociale, ecclesiale e parrocchiale. È soggetto che per volontà di Dio, proprio in virtù del sacramento del matrimonio concorre a costruire la comunità cristiana come del resto il presbitero, costituito soggetto della comunità cristiana dal sacramento dell’Ordine. Con evidenti responsabilità differenti da vivere in comunione con tutti i ministeri.
Dalla bibbia abbiamo insegnamenti molto espliciti al riguardo.
Dice C. Ostinelli: “Il Cantico dei cantici ha stretto un nesso profondo tra il mistero nuziale umano e quello divino più ampio in cui esso è iscritto, affermando da una parte che la forza dell’amore umano di coppia trae origine dall’amore di Dio che si è manifestato proprio come amore nuziale; e dall’altra che, in forza del mistero della creazione, la coppia è l’immagine concreta, scelta da Dio stesso per rendere visibile nel mondo il suo amore nuziale.
Già quando volle creare l’umanità, Dio la pensò come la sua sposa, come unica partner del suo amore. Perché potesse comprendere e sperimentare questa vocazione sponsale, la creò in una forma nuziale: plasmando non un uomo solo, ma una coppia. Ogni singola coppia, che risponde alla chiamata del Signore a diventare “una sola carne” con Lui e in Lui, illumina e dà volto concreto al mistero della umanità-sposa e della Chiesa-sposa; certo si tratta di un volto non “esaustivo”, ma comunque reale e quotidiano. Senza nozze e famiglia umana la realtà della Chiesa sarebbe inesprimibile e inqualificabile.
C’è, dunque, un rapporto ontologico, costitutivo tra la Chiesa e la coppia/famiglia umana, rapporto che deve prendere volto nel feriale, nel mondo e nella società. La coppia e la famiglia, allora, non possono essere considerate nella pastorale solo “oggetto di cura”, ma devono sempre più diventare “soggetto attivo della pastorale”, perché dalla loro presenza e testimonianza dipende il volto della Chiesa-sposa! Questo ci dice che tra la parrocchia e le famiglie si deve stabilire non un rapporto funzionale-organizzativo, ma una stretta relazione di vita: nessuna delle due può prescindere dall’altra. Le relazioni pastorali devono dunque passare attraverso le coppie/famiglie della comunità, come in un crocevia obbligato.
Vivendo e testimoniando nella propria casa e dentro la comunità l’amore sponsale e fecondo di Dio, la coppia/famiglia edifica la Chiesa-sposa e veicola l’immagine del destino ultimo della Chiesa-umanità.
Essa, vivendo e operando dentro la Chiesa-sposa, le dà concretezza relazionale: per prima cosa aiuta tutta la comunità ad essere una realtà personale e dialogale, dove la relazione umana ha il primato su tutto; inoltre, l’aiuta, a vivere l’amore nella concretezza della realtà, nello spessore del vissuto ordinario. Infine l’aiuta anche a dare un volto sponsale e familiare, un volto umano alla socialità, alla politica, alla storia, alla natura; ben diverso da quello strategico e più diffuso del potere e del dominio. La parrocchia ha molto da imparare dalla vita di casa e di famiglia; e la famiglia trova nella parrocchia la sua sorgente continua di vita e anche l’ambito normale del suo espandersi vitale.” Nell’esperienza delle prime comunità cristiane la famiglia ospitava altre famiglie ed era quindi del tutto naturale che la vita comunitaria ruotasse attorno ai ritmi familiari e le famiglie ne fossero il perno. In seguito purtroppo prenderà avvio uno stile di chiesa che non solo prescinde dalla “casa-famiglia” come luogo di formazione cristiana, ma rischia di prescindere persino dalla “famiglia” come soggetto ecclesiale. Oggi spesso per noi la famiglia appare piuttosto come l’ambito dal quale “pescare” volta per volta i diversi soggetti della pastorale parrocchiale: i bambini da battezzare, i fanciulli da catechizzare, i giovani da sposare e – almeno i migliori – da impiegare come catechisti e collaboratori, gli uomini a cui chiedere i vari servizi più adatti ai maschi e le donne quelli più adatti alle femmine, e malati e gli anziani da assistere, i morti da seppellire. Non è tutto sbagliato quello che si fa, perché occorre pure una attenzione particolare a tutte le fasce d’età e alle diverse condizioni, ma si corre il rischio di “vivisezionare” la famiglia, trattandola da “insieme di battezzati” e in questo modo ignorare le potenzialità del sacramento del matrimonio e della testimonianza della famiglia in quanto tale.
Questa emarginazione della famiglia dalla parrocchia ha comportato un corrispondente accantonamento dello stile familiare, per fare spazio all’organizzazione. In realtà, più la famiglia diventa soggetto della vita parrocchiale, più la parrocchia è aiutata a diventare come una famiglia.
La valorizzazione della famiglia come soggetto è ancora più necessaria oggi perché siamo di fronte al fatto che molte persone hanno vissuto esperienze negative di famiglia: o per l’inadeguatezza della loro famiglia d’origine o per il fallimento della famiglia che essi stessi avevano costituito. Ma proprio per queste persone “ferite”, che sono sempre più numerose, il volto accogliente della comunità può essere costituito specialmente dalle famiglie.
Dire che la comunità cristiana è soggetto significa almeno che:
1. La corresponsabilità che si deve stabilire in ogni comunità cristiana deve coinvolgere la famiglia e non i singoli suoi componenti, considerati sempre come isolati in se stessi e presi singolarmente.
Si tratta della coppia e dei figli, dei nonni e dei nipoti, della stessa parentela stretta che si presenta come unità di vita, di fede, con responsabilità educative e formative, di annuncio e di responsabilità sociale.
2. I genitori devono essere aiutati a prendersi le loro responsabilità formative riguardo alla vita di fede nei confronti dei figli e in questo aiutati dalla comunità cristiana, che non lesina corsi di formazione esperienziali, coinvolgimento nella vita parrocchiale o interparrocchiale, sostegno e corresponsabilità. Diventa così il luogo privilegiato in cui si impara a pregare ogni giorno il Signore della vita, si venera nella tenerezza di un rapporto intimo e delicato la Vergine Maria, si imparano i primi atteggiamenti di amore verso Dio.
3. L ’iniziazione cristiana che porta alla celebrazione del battesimo, cresima e Eucaristia, deve poter sperimentare la risorsa famiglia nel suo lungo cammino dai primissimi anni in cui il bambino apprende in casa l’amore a Dio Creatore, la sorprendente certezza di essere amato da Lui e la storia di salvezza che lo Spirito realizza nella vita di Gesù.
4. La cura dei poveri è stimolata nella vita di ogni cristiano dalla Caritas, che non può non coinvolgere nuclei familiari, tanto più che oggi la carità più vera è quella di offrire famiglie sane a tanti ragazzi e giovani abbandonati e stirati da genitori mancanti, a persone sole, ad ammalati senza cure, a povertà quasi invincibili per il degrado umano che hanno scavato. Se la Caritas, che ha come vocazione di far crescere il volto d’amore della comunità parrocchiale e diocesana, potesse fare conto su famiglie aperte e generose, come già in tante chiese avviene, avremmo più speranza di vivere pace e giustizia.
5. La cura degli adolescenti e dei giovani non può più essere affidata solo a giovani volonterosi o al solo presbitero: la famiglia anche qui è il perno di una nuova convergenza educativa. La nostra famiglia laziale così ben coesa e legata ai figli, non li può abbandonare alla strada per tutto il loro tempo libero. È soggetto di progetti formativi, di sana educazione all’impegno, di formazione cristiana. La famiglia stessa aiutata dalla comunità cristiana deve farsi carico anche della bontà di tutti i percorsi di divertimento dei ragazzi e dei giovani, della eticità degli spazi ludici, pub, discoteche, sale giochi…
6. La famiglia come tale è invitata a partecipare alla esperienza scolastica e in essa a promuovere una sana laicità che non solo rispetta la domanda religiosa dei figli, ma li aiuta a dare risposte libere, ragionate, studiate e attente alla dimensione religiosa della vita.
7. La famiglia è soggetto di attenzione ai malati, creando una rete di condivisione e di aiuto vicendevole verso le famiglie che devono portarsi il peso di familiari non autosufficienti, spesso assistiti solo sporadicamente, dimenticati o abbandonati dalle strutture di assistenza.
8. La famiglia è soggetto nella celebrazione eucaristica domenicale, con i propri figli, con i nonni. La domenica prima di essere una festa a tavola dove tutta la famiglia si trova a condividere la gioia di un pasto, è festa in parrocchia ad ascoltare la Parola, ad accogliere il Corpo e il Sangue di Cristo, a vivere momenti di condivisione della fede, di formazione dei figli, di collaborazione con altre famiglie.
9. La famiglia è invitata periodicamente a vivere con tutte le altre famiglie della parrocchia momenti di formazione particolare o feste parrocchiali dove si celebra assieme e assieme si consuma il pasto e si passa tempo per conoscersi, esprimersi con gioia il dono della fede, scambiarsi soddisfazioni e preoccupazioni, conquiste e difficoltà, desiderio di vita e tensioni verso il bene.
10. La famiglia è il luogo dove ogni figlio viene aiutato a rispondere alla sua vocazione, a capire che cosa Dio gli chiede di essere, a percepire la voce di Dio che lo chiama all’amore, vissuto sempre con grande generosità sia nel matrimonio che nella verginità consacrata, nel presbiterato o in forme di dono totale di sé nella vita di contemplazione.
11. La famiglia è soggetto pubblico. È soggetto di doveri, ma anche di diritti inalienabili che vanno rispettati e promossi in tutti i campi: nell’accesso alla cultura di base, alla assistenza, al sostegno economico, alla libertà di educazione dei figli, a leggi che favoriscono la vita e che tengono conto della cura dei figli, soprattutto nelle famiglie numerose, al rispetto stesso dello statuto di una famiglia secondo natura.
12. In momenti di crisi economica molte famiglie sono tentate di disperazione, di sfiducia. La comunità cristiana deve fare di tutto per esprimere solidarietà, favorire iniziative di appoggio e di aiuto, coinvolgendo le istituzione a fare il proprio dovere, offrendo condivisione di spazi abitativi, tempi per la cura dei bambini, superando l’isolamento in cui le nostre famiglie si sono collocate per un senso sbagliato di autosufficienza.
Le famiglie in difficoltà
Non ci possiamo negare che la famiglia in questi tempi è stata caricata di tante responsabilità e spesso poco sostenuta nel portarne il peso. Essa stessa nella coppia conosce crisi laceranti e esiti ancor più problematici e delicati. In essa si scatenano tensioni affettive, difficoltà economiche, problemi complessi di rispetto alla vita nascente, di accompagnamento alla morte, di educazione e accompagnamento dei figli, di cura della salute, di devianze e grosse fragilità.
Abbiamo un buon gruppo di adulti che si interessano quotidianamente di queste realtà e che in questi anni ha dato vita a un ufficio per la pastorale familiare, al servizio delle parrocchie. Lo stato stesso mette a disposizione strutture di appoggio. La diocesi ritiene giunto il momento di costituire un consultorio familiare di ispirazione cristiana che si affianca a quello statale per aiutare le famiglie a superare le difficoltà, a mettere in comune soluzioni, a creare nuova mentalità cristiana su tutte le scelte, spesso drammatiche, che la famiglia deve fare.
Le situazioni delicate di famiglie divise, separate, ricostruite in altre con divorzi, devono poter sperimentare sempre la bontà di Dio. La consapevolezza di essere sempre figli di Dio, amati da Gesù, appartenenti alla chiesa deve poter essere vissuta in ogni comunità cristiana entro percorsi appositi di ascolto della Parola, di preghiera e di esercizio della solidarietà nella carità.
Indicazioni concrete.
Per far diventare esperienza quotidiana quanto esposto è necessario che vengano valorizzate e aiutate a vivere in comunione tutte le risorse della comunità, dai piccoli ai grandi, dai presbiteri ai laici, dai singoli a tutte le associazioni, dall’Azione Cattolica alle aggregazioni professionali, dalle parrocchie agli uffici pastorali diocesani, a tutte le vocazioni e ministeri che Dio ha regalato alla sua Chiesa.
In particolare verranno interessati a cammini formativi per creare comunione, conversione e competenza:
1. Tutto il popolo di Dio che celebrerà il convegno pastorale nei modi consueti sulle tematiche di fondo del programma pastorale e i cui contenuti verranno ripresi nelle singole parrocchie.
2. Tutti i collaboratori della parrocchia a vario titolo collegati agli uffici pastorali per mettere ciascuno in condizioni di donare alla comunità la ricchezza della propria vita di fede e per apprendere a lavorare assieme e a lavorare bene.
3. I presbiteri, che seguiranno corsi di aggiornamento non solo sulla teologia del matrimonio, ma anche sulla preparazione immediata, la celebrazione e i vari aspetti giuridici, così da giungere anche a una omogenea prassi preparatoria e celebrativa del matrimonio in tutte le parrocchie.
4. La celebrazione del matrimonio dovrà perdere il fasto di una festa mondana, dove l’Eucaristia, la preghiera, la tensione spirituale sono solo fatti secondari rispetto alla messa in scena, per vivere il matrimonio come vero sacramento della fede cristiana, dare vita a una vera partecipazione della comunità, avendo il coraggio di sfrondare eccessi che non danno esempio di sobrietà e di condivisione. Che molte coppie non si sposino in chiesa e convivano per anni perché mancano i soldi per una celebrazione sfarzosa è inaccettabile per un cristiano, ma è anche responsabilità della vanità e della costosa e insostenibile superficialità con cui tante volte si celebra il matrimonio.
5. La preparazione remota al matrimonio deve poter iniziare in ogni parrocchia o gruppi di parrocchie. A tale scopo si avviano corsi di formazione specifici per animatori, creando collaborazioni anche con la scuola e con le forze vive del territorio.
6. L’ufficio della pastorale familiare continua il suo sforzo nel qualificare, coordinare, programmare, portare a conoscenza i corsi di preparazione che senza fretta, ma anche senza troppa lentezza devono diventare più consistenti e qualificarsi nel metodo e nei contenuti.
7. Le associazioni curino in modo particolare la celebrazione del sacramento del matrimonio degli associati, così da farle diventare celebrazioni esemplari, per la sobrietà, per la preparazione, per la fede esplicitata nella celebrazione, per il coinvolgimento della associazione e della comunità.
8. Nell’era delle immagini ogni famiglia ricostruisca un album di famiglia entro un dialogo tra genitori e figli tra nonni, figli e nipoti, per aiutare ad apprezzare il passato, vivere bene il presente e preparare il futuro.
9. Contestualmente all’attuazione di tutto quanto viene proposto, come conclusione operativa, si dà vita a un gruppo di laici, presbiteri, giovani e adulti che avranno il compito di dare omogeneità alle celebrazioni del matrimonio per tutta la diocesi, seguendo le indicazioni del codice di diritto canonico e le indicazioni delle chiese che sono in Italia.
8 settembre 2010, Natività Beata Vergine Maria
La gioia della vita e dell’amore
Siamo entusiasti della vita, siamo grati a Dio di questo grande dono che fa all’umanità, siamo contenti del creato in cui ci ha collocato come essere unici e irripetibili, responsabili della sua conservazione e del suo sviluppo, intelligenti per capirne i segreti e entusiasti di collaborare con Lui. Non loderemo mai abbastanza Dio del dono della vita, della terra, dei fiori, delle piante, degli animali, del cielo e degli oceani. Siamo contenti di essere stati immersi in un sogno grandioso e di aver gioito con Dio della creazione e di essere stati aperti alla vita nel culmine della bellezza dell’universo.
Ci sentiamo ancora oggi quell’Adamo che guarda con stupore la natura, le cose, le stelle, il mondo creato e avvertiamo dentro di noi che un passo decisivo verso la nostra felicità è solo possibile in una assoluta novità: la relazione con una persona all’altezza della attesa dell’uomo. Maschio e femmina li creò e Adamo disse: questa è carne della mia carne e ossa delle mie ossa.
Nel grande progetto di Dio sta immediatamente una relazione, sta un mettersi l’uno nelle mani dell’altro, nel guardarsi e uscire dall’isolamento e dalla autosufficienza, dal calcolo e dallo sfruttamento, dall’egoismo e dalla solitudine. Dio ci ha dedicati l’uno all’altra nell’amore. Lui ne è la sorgente. L’amore decide per tutti la qualità della vita, porta dentro i nostri passi, i progetti di Dio; l’amore ci rende simili a Lui, l’amore è una luce che nei nostri occhi fa brillare il sorriso di Dio. Il creato per l’amore che Dio ha messo nell’umanità assume il suo volto.
Abbiamo davanti agli occhi la storia d’amore di due ragazzi che si vogliono bene, che scoprono nella vita che c’è una potenza, una energia indistruttibile, una forza che costringe alla mobilitazione di corporeità, sentimenti, atteggiamenti, intelligenza, dialoghi, emozioni.
Non si tratta solo di ragazzini curiosi e innamorati persi, ma anche di adulti, di uomini maturi che riscoprono ogni giorno come nel proprio esistere è scritto uno slancio incoercibile che è quello dell’amore. Nel nostro mondo tecnologico, spesso troppo materiale, sempre motivato da interessi e utilitarismi, da commercio e guadagno, da programmazione e risultati ci sono ancora ragazzi ingenui che sfidano la gravità, le leggi, le solitudini, gli utilitarismi e scrivono sui muri, sugli asfalti delle nostre strade: ti amo, sei la mia vita, ogni giorno ti penso, non posso vivere senza di te….
Non ringrazieremo mai a sufficienza Dio di aver scritto nelle nostre vite questi slanci, questi sogni, questo fuoco che fa esplodere le nostre esistenze e semina in noi la forza della vita.
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La scelta di Dio: vita e amore hanno casa nella famiglia
In una storia d’amore c’è in piccolo la storia dell’uomo e dell’universo: la gioia, il dolore, il tradimento, il peccato, il cammino di ritorno e di conversione, la tenuta di un legame, la crescita e le crisi, i progetti, le fatiche, le soddisfazioni, l’appagamento egoistico, la dedizione generosa e gratuita. È un vasto mondo di esperienze che concentra tutto il bene e il male dell’uomo. Noi sappiamo però che ogni storia dell’uomo, è storia di Dio con Lui, è storia di salvezza, di alleanza, di morte e risurrezione, un concentrato del senso dell’esistenza e in essa del rapporto con Dio.
L’esperienza dell’innamoramento e dell’amore nel piano di Dio trova il luogo indispensabile del suo svilupparsi in una comunione di vita e di sentimenti, di progetti e di sogni, di accoglienza e di dono che è la famiglia. È un cantiere del regno di Dio, cioè un luogo, uno spazio in cui Dio e l’uomo-donna, perché così siamo stati creati, fanno un patto di acciaio (alleanza) e realizzano la pienezza della creazione.
Il regalo e il fondamento di Cristo per la famiglia: il matrimonio
In questa alleanza primordiale che ci riporta alla creazione, all’ordine naturale inscritto nella natura dell’uomo e della donna, Dio colloca un grande regalo: il sacramento del matrimonio, lo spazio di un dono vicendevole senza riserve, che ha Gesù Cristo come centro, forza, grazia e dono.
Il sacramento del matrimonio è la luce che illumina e la porta che apre l’uomo e la donna a un amore stabile, forte nelle avversità, sicuro nel fine, necessario per il bene di ambedue e culla della nuova umanità. Il sacramento dà la grazia per giungere al culmine dell’amore, vivendo senza riserve l’uno per l’altra per sempre, donando vita, generando figli, trasmettendo quel dono della vita che ha Dio come autore. Il dono del sacramento è la collocazione dell’amore umano tra uomo e donna nella tenacia del cammino della croce e nella forza invincibile della risurrezione, nella gratuità più assoluta dell’amore di ciascuno per l’altra, perché questo amore è quello di Gesù per la sua chiesa, per l’umanità, un amore che non è mai venuto meno. E come Cristo non ha mai abbandonato né l’umanità, né la chiesa quando lo inchiodavano alla croce, così anche ogni matrimonio stabilito nel Signore si conserva come definitivo anche quando è diventato una crocifissione: per incompatibilità di carattere, per malattia, per strumentalizzazione, per noia, perché si porta dentro tutta la forza di un riscatto, di una redenzione, di un rinnovamento dei cuori. Nel sacramento Gesù è sempre lì a dare forza, conforto, speranza, a far esplodere risurrezione. Gli sposi per il dono del sacramento hanno in regalo la forza stessa che unisce per sempre Cristo alla Chiesa e diventano segno percepibile da tutti che Dio vuole bene all’umanità.
Tramite il sacramento l’amore e la vita, doni indispensabili per la gioia di vivere, hanno casa allora in un originale tessuto di relazioni, che rimane nella storia dell’uomo come unico e irripetibile, realizzato pure in forme diverse legate alla cultura, che è la famiglia.
La pedagogia dell’amore
Il punto di vista della nostra fede nel Dio di Gesù Cristo deve essere messo a confronto con la situazione concreta della vita dei ragazzi e delle ragazze di oggi, che in questo campo è caratterizzata da un eccesso e distorsione di informazioni e da una grande solitudine nel capire i valori veicolati dalla sessualità umana e quindi ancora più soli nel costruirsi una coscienza retta.
Non solo si è bloccati alla fase dell’istinto, ma lo stesso istinto, che è un grande dono di Dio, viene deviato dalla visione culturale della vita affettiva. Mi riferisco in particolare alle teorie della sessualità di genere che prevede non solo la figura del maschio e della femmina e del loro rapporto, ma di ogni genere di rapporto indipendentemente dal sesso. C’è un dato antropologico da ricostruire nel rispetto di ogni uomo, ma non nella omologazione alle mode o tendenze delle lobby vincenti.
E qui si apre una grande missione della comunità cristiana nel portare a conoscenza e nell’aiutare a capire il progetto di Dio sulla sessualità umana.
1. Il bambino ha bisogno fin dalle sue prime domande di essere aiutato a orientare sentimenti e istinto nelle direzione di una apertura agli altri e all’altro sesso. Il suo cuore e la sua intelligenza devono essere aiutati ad aprirsi. Di fronte alla violenza delle informazioni e dei comportamenti, alle volgarità diffuse i bambini vanno anche custoditi e difesi. L’ educazione sessuale deve poter offrire anche parole come pudore, purezza, rispetto per il proprio corpo e quello degli altri, delicatezza di informazione e di tratto. Il perno di questo momento educativo è la famiglia, assoluta responsabile in prima persona, in collaborazione con la scuola e il mondo associativo ecclesiale.
2. L’età che ha maggiore urgenza di intervento educativo oggi è la preadolescenza, l’età della scuola secondaria inferiore, che si trova nel massimo della solitudine ad affrontare un cumulo di informazioni e di coinvolgimenti anche sessuali, di cui non conosce la portata. È l’età in cui si rischia la banalizzazione della vita affettiva e la assoluta mancanza di aiuto nel cogliere i significati e la grande potenzialità della sessualità. La scoperta di sé deve essere fatta nel massimo della stima delle corporeità, del rispetto delle differenze, della acquisizione di atteggiamenti di relazione differenziati. L’impegno principale è quello di aiutare a dialogare con le differenze, con le vocazioni diverse dell’uomo e della donna, con le emozioni e i coinvolgimenti affettivi, che non sono avventure, ma segni di apertura alla novità e bellezza della vita.
è il tempo delle amicizie, dello stare assieme, del fare gruppo, della solidarietà tra compagni e compagne di scuola, del fare corpo giovanile che si distanzia e talvolta difende dagli adulti.
L’amicizia è una esperienza umana decisiva per molti uomini e donne e non può essere orientata a rapporti sessuali, ma pur connotata come ogni comportamento umano da sessualità, deve essere aiutata a esprimersi con sentimenti di altruismo e di coinvolgimento negli ideali, nelle visioni di mondo, nelle competizioni, nelle piccole grandi solidarietà, nell’aiuto a uscire dalle proprie solitudini. È il tempo dell’educazione alla tenerezza, alla conquista di sentimenti positivi verso la propria e altrui corporeità.
La parole cristiane che forse possono catalizzare meglio l’intervento educativo sono vocazione e amicizia, chiamata di Dio a cose grandi, consapevolezza di stare a cuore a Lui e dono vicendevole.
3. L’adolescenza è oggi una età meno pericolosa, perché la tempesta è avvenuta prima, ma necessita di proposta di grandi ideali.
Il rischio è sempre quello del moralismo o dello spontaneismo dell’isolamento, della solitudine e della disinformazione o di una informazione che va solo al lato igienico. Il discorso del preservativo, della pillola RU, dei rapporti con molti partner è sbandierato dalla moda e tenuto sotto traccia dalla formazione cristiana. Qui occorre fare in modo esplicito, entro un dialogo di fede, un primo grande salto di qualità nell’andare oltre l’informativo, oltre il cosiddetto naturale e politicamente corretto verso la visione teologica dell’amore tra due persone, verso il progetto di Dio e il patto di alleanza tra Cristo e il giovane, il ragazzo, non solo della procreazione naturale, ma della bellezza del piano di salvezza.
Per farmi capire dico che ogni coppia di innamorati devono sapere che: il regalo più grande è quello di proiettare il loro amore e i sentimenti che lo esprimono verso l’alto, il bacio più bello è quello di due che si scambiano la presenza di Dio in loro. Quella cena al lume di candela è la cospirazione di due che stanno trovando l’intesa migliore per offrire a Dio l’abitazione più adatta a continuare la forza della vita. Quel ballo appassionato, forse ormai lontano dal chiasso della discoteca quando si muovevano i primi passi di questa bella avventura, è la danza della vita con gli occhi negli occhi, il cuore sul cuore, la vita abbracciata in una tensione di promessa, di impegno e di attesa di qualcosa di definitivo.
È in gioco la ricerca della felicità e la consapevolezza che Dio investe in questa ricerca tutto se stesso proprio a partire e attraverso l’esperienza di coppia, l’esperienza dell’amore. Giovanni Paolo II ha sempre aiutato i giovani a collocare l’esperienza d’amore dentro il piano grande di Dio di condurre l’uomo alla felicità piena, a quella che Gesù ha innescato nella vita dell’uomo con la sua morte e risurrezione. A Tor Vergata ha avuto il coraggio di dire: “È importante rendersi conto che, tra le tante domande affioranti al vostro spirito, quelle decisive non riguardano il “che cosa”. La domanda di fondo è “ chi”: verso “chi” andare, “chi” seguire, “a chi” affidare la propria vita. Voi pensate alla vostra scelta affettiva, e immagino che siate d’accordo: ciò che veramente conta nella vita è la persona con la quale si decide di condividerla. Attenti, però! Ogni persona umana è inevitabilmente limitata: anche nel matrimonio più riuscito, non si può non mettere in conto una certa misura di delusione.... Solo Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio e di Maria, il Verbo eterno del Padre nato duemila anni orsono a Betlemme di Giudea, è in grado di soddisfare le aspirazioni più profonde del cuore umano.” E questo lo si impara proprio quando si impara ad amare, quando nel proprio originalissimo amore di coppia si sa vedere l’amore di Dio.
4. L’allungarsi dei tempi di decisione per il matrimonio ha allungato enormemente il tempo di questi approcci adolescenziali, il tempo del “non solo amici, ma non ancora fidanzati”, dello stare assieme non decisivo, ma spesso molto coinvolgente. La comunità cristiana può aiutare questo momento con un intervento educativo non ossessivamente portato sul tema della coppia o della sessualità, ma allargato da questo nuovo punto di vista a tutti gli ideali che un giovane deve avere: la solidarietà, l’amore alla giustizia, la voglia di dare il proprio contributo al cambiamento della società. Entra poi in gioco il discorso della responsabilità nei confronti della vita, l’educazione alla bellezza della procreazione come missione umana scritta nella natura, ma prima ancora nel piano di Dio e soprattutto della proposta del matrimonio come piano di Dio, come progetto di salvezza, come valore aggiunto, come vocazione, chiamata esplicita di Dio a dialogare cuore a cuore con Lui, a condividere e partecipare alla creazione del nuovo mondo in Cristo. La sessualità umana non è per la semplice conservazione della specie, come per le altre specie animali. Non è soprattutto l’istinto alla cui soddisfazione è connesso un piacere. È invece l’ambito della libera realizzazione della persona come relazione di amore e appartenenza vicendevole, che fa sì che uno diventi la vita dell’altro e si possa trasmettere una vita sensata ad altri.
La sessualità indica l’insufficienza radicale dell’uomo nei confronti della vita: il limite di un sesso è rimando all’altro, diverso. Questa alterità può essere vissuta come minaccia e aggressione, in difesa o in attacco, o come attrazione e cura, in comunione e dono reciproco.
Nel rapporto con l’altro diverso da sé, si riflette e concretizza il rapporto stesso con il primo Altro e diverso, con Dio.
È impegnativo riuscire a mettersi assieme, far diventare dialogo profondo il sentimento, uscire dalla solitudine in cui si è stati troppo tempo, trovare finalmente un’intesa, aiutati dalla forza insopprimibile della sessualità. È difficile districarsi tra quel mare di immagini, di provocazioni, di esperienze, di fallimenti che ti sbatte davanti la società con i suoi interessi e con le sue TV. È il tempo in cui occorre approfondire la stima per la corporeità.
Tanti ragazzi, rispetto alle relazioni che stabiliscono con gli altri attraverso la loro corporeità, sono preda solo del visto e del reclamizzato. Ho sempre in mente un ragazzo che un giorno si confessa e dice: ho buttato via il primo bacio della mia vita.
Perché? Perché l’ho dato solo per farmi vedere dai miei amici e per la voglia di fare il maschio. Un gesto che si porta dentro l’imprinting di Dio, perché un bacio è gesto d’amore e l’amore nasce e sussiste solo perché c’è Dio, buttato via. La situazione di molti giovani e adulti è purtroppo questa. La sessualità è un linguaggio molto coinvolgente, ma delicatissimo, ci mette un niente a scadere di significato.
Oggi è in atto un passaggio dal genitale al sentimentale, perché molti giovani dopo aver fatto le agognate conquiste ed esperienze che vengono tanto spudoratamente gettonate, hanno il coraggio di dire: tutto qui? Certo che non è tutto qui. Ricordo un romanzo di alcuni anni fa di un ragazzo che aveva come tesi: vogliamo vivere questo promettente tempo di amore senza andare a letto assieme. E per far questo occorre uscire dal gruppo o meglio dalla banda, dalla mentalità corrente, dalla omologazione.
Le aberrazioni diventeranno sempre più assurde, mentre la felicità sta proprio nell’armonia, nel caricare di amore vero i gesti della corporeità.
È mai possibile che due ragazzi vivano il tempo dello scambio di affetto, della scelta dell’amore, della vita di coppia, del fidanzamento chiusi in se stessi, senza altro ideale che quello di implodere su di sé, di annoiarsi appiccicati l’uno sull’altra, di essere sempre vestiti come impone la moda o preoccupati di raccontare conquiste o di farsi vedere? Essere la generazione dei pantaloni bassi, non significa che non si possa inventare un nuovo modo di costruire famiglie fondate sull’amore di Dio espresso dal sacramento del matrimonio, che non si sappia vivere una castità nuova, inusitata, ma tanto delicata e bella, perché è una forza interiore che dona equilibrio di corpo e di spirito, serenità di rapporto, forza di progettazione del futuro e non solo preoccupazione di strappare soddisfazioni al presente. Il divertimento, il tempo libero, la propria bellezza, la propria corporeità, il gusto delle cose, dei contatti, della festa: sono da recuperare, ogni giorno, facendo in modo che diventino espressione della propria persona e, in particolare, della propria disponibilità ad amare.
L a corporeità e tutto quello che è legato ad essa, fa parte della globalità della persona e, quindi, va recuperata dal suo interno come un “segno”; soprattutto deve diventare lo spazio personalissimo e originale per vivere veri rapporti con tutti e veri rapporti di amore. Il primo segno di una fede giovanile che vede in Dio l’unico Signore della vita è smettere di fare del proprio corpo un idolo, con una nuova corporeità..
5. Il tempo del fidanzamento e della preparazione al matrimonio.
Il fidanzamento è tempo di Grazia, è spazio di un particolare incontro con Dio della coppia che è tempo di attesa e di discernimento.
Si ha paura di perdere l’altro, di poter sprecare tempo, energie, sentimenti, slanci, dimensioni di profonda interiorità in qualcosa che potrebbe essere destinato a finire. Occorre guadagnarsi la possibilità di scegliere consapevolmente e con libertà di vivere l’incompiutezza. Questo significa scegliere la gratuità, decidere di giocarsi per un bene ancora non definitivo e quindi scegliere di amare l’altro senza chiuderlo in un progetto di possesso.
Intanto vengono alla luce i tratti di un compimento:
• il bene di ambedue che cresce, si rafforza, si rivela e porta a compiere scelte e ad attuare cambiamenti.
• non solo ci si vuole bene, ma si è anche felici insieme, la vita acquista sapore e profondità.
• la propria identità cambia, si diventa sempre più se stessi e ci si meraviglia di quali energie e qualità nuove si rivelino a se stessi.
• Dio si rivela con un piano assolutamente originale per la coppia e offre se stesso nel figlio Gesù come centro di un amore indistruttibile e crocifisso.
I percorsi di preparazione al matrimonio
È il tempo dei corsi di preparazione immediata al matrimonio, che spesso vede i fidanzati già convivere, con tutte le problematiche di una riscoperta del mondo della fede e della novità del matrimonio cristiano. Non sono certo sufficienti, ma sono necessari, perché in essi giunge a conclusione, per chi è stato seguito, tutta la preparazione.
Molti giovani invece che ritornano alla comunità cristiana dopo anni di abbandono della pratica cristiana compiono un percorso minimo di risveglio della vita di fede entro il quale sono aiutati in coppia ad approfondire gli elementi fondamentali del sacramento del matrimonio e il significato della celebrazione. Spesso si prende coscienza più diretta e profonda dl senso della decisione di sposarsi.
Ci si confronta con gli altri, si sperimenta un senso nuovo della vita della comunità cristiana. È occasione di corresponsabilità, di comunione, di collaborazione per tutta la comunità cristiana che li prepara, li propone e li svolge con un massimo di coinvolgimento dei laici e soprattutto delle famiglie, delle coppie di sposi cristiani, che possono serenamente comunicare le loro esperienze di fatica, ma anche di grande dono di Dio.
6. I primi anni di matrimonio meritano una particolare cura della comunità cristiana sia per continuare sicuramente in forme differenziate quel cammino di preparazione che ha risvegliato la vita di fede, sia per aiutarsi assieme ad affrontare le inevitabili difficoltà della vita a due. È il tempo di una grande fragilità e di una certa solitudine a due nell’affrontare le normali difficoltà della vita. È l’avvio di un lungo tempo della riscoperta della continua novità dell’amore nella gioia della fedeltà, nella vita di famiglia, nella tenuta dei sentimenti e degli impegni, della vita quotidiana. I tempi di incontro diventano certo più difficili, ma se vengono preparati buoni animatori si possono fare belle esperienze, soprattutto se vi si impegnano associazioni ecclesiali, come l’Azione Cattolica.
La famiglia soggetto nella vita della chiesa e del mondo
Basata sulla salda roccia del sacramento del matrimonio la famiglia diventa l’esperienza fondamentale di vita umana, personale, sociale, ecclesiale e parrocchiale. È soggetto che per volontà di Dio, proprio in virtù del sacramento del matrimonio concorre a costruire la comunità cristiana come del resto il presbitero, costituito soggetto della comunità cristiana dal sacramento dell’Ordine. Con evidenti responsabilità differenti da vivere in comunione con tutti i ministeri.
Dalla bibbia abbiamo insegnamenti molto espliciti al riguardo.
Dice C. Ostinelli: “Il Cantico dei cantici ha stretto un nesso profondo tra il mistero nuziale umano e quello divino più ampio in cui esso è iscritto, affermando da una parte che la forza dell’amore umano di coppia trae origine dall’amore di Dio che si è manifestato proprio come amore nuziale; e dall’altra che, in forza del mistero della creazione, la coppia è l’immagine concreta, scelta da Dio stesso per rendere visibile nel mondo il suo amore nuziale.
Già quando volle creare l’umanità, Dio la pensò come la sua sposa, come unica partner del suo amore. Perché potesse comprendere e sperimentare questa vocazione sponsale, la creò in una forma nuziale: plasmando non un uomo solo, ma una coppia. Ogni singola coppia, che risponde alla chiamata del Signore a diventare “una sola carne” con Lui e in Lui, illumina e dà volto concreto al mistero della umanità-sposa e della Chiesa-sposa; certo si tratta di un volto non “esaustivo”, ma comunque reale e quotidiano. Senza nozze e famiglia umana la realtà della Chiesa sarebbe inesprimibile e inqualificabile.
C’è, dunque, un rapporto ontologico, costitutivo tra la Chiesa e la coppia/famiglia umana, rapporto che deve prendere volto nel feriale, nel mondo e nella società. La coppia e la famiglia, allora, non possono essere considerate nella pastorale solo “oggetto di cura”, ma devono sempre più diventare “soggetto attivo della pastorale”, perché dalla loro presenza e testimonianza dipende il volto della Chiesa-sposa! Questo ci dice che tra la parrocchia e le famiglie si deve stabilire non un rapporto funzionale-organizzativo, ma una stretta relazione di vita: nessuna delle due può prescindere dall’altra. Le relazioni pastorali devono dunque passare attraverso le coppie/famiglie della comunità, come in un crocevia obbligato.
Vivendo e testimoniando nella propria casa e dentro la comunità l’amore sponsale e fecondo di Dio, la coppia/famiglia edifica la Chiesa-sposa e veicola l’immagine del destino ultimo della Chiesa-umanità.
Essa, vivendo e operando dentro la Chiesa-sposa, le dà concretezza relazionale: per prima cosa aiuta tutta la comunità ad essere una realtà personale e dialogale, dove la relazione umana ha il primato su tutto; inoltre, l’aiuta, a vivere l’amore nella concretezza della realtà, nello spessore del vissuto ordinario. Infine l’aiuta anche a dare un volto sponsale e familiare, un volto umano alla socialità, alla politica, alla storia, alla natura; ben diverso da quello strategico e più diffuso del potere e del dominio. La parrocchia ha molto da imparare dalla vita di casa e di famiglia; e la famiglia trova nella parrocchia la sua sorgente continua di vita e anche l’ambito normale del suo espandersi vitale.” Nell’esperienza delle prime comunità cristiane la famiglia ospitava altre famiglie ed era quindi del tutto naturale che la vita comunitaria ruotasse attorno ai ritmi familiari e le famiglie ne fossero il perno. In seguito purtroppo prenderà avvio uno stile di chiesa che non solo prescinde dalla “casa-famiglia” come luogo di formazione cristiana, ma rischia di prescindere persino dalla “famiglia” come soggetto ecclesiale. Oggi spesso per noi la famiglia appare piuttosto come l’ambito dal quale “pescare” volta per volta i diversi soggetti della pastorale parrocchiale: i bambini da battezzare, i fanciulli da catechizzare, i giovani da sposare e – almeno i migliori – da impiegare come catechisti e collaboratori, gli uomini a cui chiedere i vari servizi più adatti ai maschi e le donne quelli più adatti alle femmine, e malati e gli anziani da assistere, i morti da seppellire. Non è tutto sbagliato quello che si fa, perché occorre pure una attenzione particolare a tutte le fasce d’età e alle diverse condizioni, ma si corre il rischio di “vivisezionare” la famiglia, trattandola da “insieme di battezzati” e in questo modo ignorare le potenzialità del sacramento del matrimonio e della testimonianza della famiglia in quanto tale.
Questa emarginazione della famiglia dalla parrocchia ha comportato un corrispondente accantonamento dello stile familiare, per fare spazio all’organizzazione. In realtà, più la famiglia diventa soggetto della vita parrocchiale, più la parrocchia è aiutata a diventare come una famiglia.
La valorizzazione della famiglia come soggetto è ancora più necessaria oggi perché siamo di fronte al fatto che molte persone hanno vissuto esperienze negative di famiglia: o per l’inadeguatezza della loro famiglia d’origine o per il fallimento della famiglia che essi stessi avevano costituito. Ma proprio per queste persone “ferite”, che sono sempre più numerose, il volto accogliente della comunità può essere costituito specialmente dalle famiglie.
Dire che la comunità cristiana è soggetto significa almeno che:
1. La corresponsabilità che si deve stabilire in ogni comunità cristiana deve coinvolgere la famiglia e non i singoli suoi componenti, considerati sempre come isolati in se stessi e presi singolarmente.
Si tratta della coppia e dei figli, dei nonni e dei nipoti, della stessa parentela stretta che si presenta come unità di vita, di fede, con responsabilità educative e formative, di annuncio e di responsabilità sociale.
2. I genitori devono essere aiutati a prendersi le loro responsabilità formative riguardo alla vita di fede nei confronti dei figli e in questo aiutati dalla comunità cristiana, che non lesina corsi di formazione esperienziali, coinvolgimento nella vita parrocchiale o interparrocchiale, sostegno e corresponsabilità. Diventa così il luogo privilegiato in cui si impara a pregare ogni giorno il Signore della vita, si venera nella tenerezza di un rapporto intimo e delicato la Vergine Maria, si imparano i primi atteggiamenti di amore verso Dio.
3. L ’iniziazione cristiana che porta alla celebrazione del battesimo, cresima e Eucaristia, deve poter sperimentare la risorsa famiglia nel suo lungo cammino dai primissimi anni in cui il bambino apprende in casa l’amore a Dio Creatore, la sorprendente certezza di essere amato da Lui e la storia di salvezza che lo Spirito realizza nella vita di Gesù.
4. La cura dei poveri è stimolata nella vita di ogni cristiano dalla Caritas, che non può non coinvolgere nuclei familiari, tanto più che oggi la carità più vera è quella di offrire famiglie sane a tanti ragazzi e giovani abbandonati e stirati da genitori mancanti, a persone sole, ad ammalati senza cure, a povertà quasi invincibili per il degrado umano che hanno scavato. Se la Caritas, che ha come vocazione di far crescere il volto d’amore della comunità parrocchiale e diocesana, potesse fare conto su famiglie aperte e generose, come già in tante chiese avviene, avremmo più speranza di vivere pace e giustizia.
5. La cura degli adolescenti e dei giovani non può più essere affidata solo a giovani volonterosi o al solo presbitero: la famiglia anche qui è il perno di una nuova convergenza educativa. La nostra famiglia laziale così ben coesa e legata ai figli, non li può abbandonare alla strada per tutto il loro tempo libero. È soggetto di progetti formativi, di sana educazione all’impegno, di formazione cristiana. La famiglia stessa aiutata dalla comunità cristiana deve farsi carico anche della bontà di tutti i percorsi di divertimento dei ragazzi e dei giovani, della eticità degli spazi ludici, pub, discoteche, sale giochi…
6. La famiglia come tale è invitata a partecipare alla esperienza scolastica e in essa a promuovere una sana laicità che non solo rispetta la domanda religiosa dei figli, ma li aiuta a dare risposte libere, ragionate, studiate e attente alla dimensione religiosa della vita.
7. La famiglia è soggetto di attenzione ai malati, creando una rete di condivisione e di aiuto vicendevole verso le famiglie che devono portarsi il peso di familiari non autosufficienti, spesso assistiti solo sporadicamente, dimenticati o abbandonati dalle strutture di assistenza.
8. La famiglia è soggetto nella celebrazione eucaristica domenicale, con i propri figli, con i nonni. La domenica prima di essere una festa a tavola dove tutta la famiglia si trova a condividere la gioia di un pasto, è festa in parrocchia ad ascoltare la Parola, ad accogliere il Corpo e il Sangue di Cristo, a vivere momenti di condivisione della fede, di formazione dei figli, di collaborazione con altre famiglie.
9. La famiglia è invitata periodicamente a vivere con tutte le altre famiglie della parrocchia momenti di formazione particolare o feste parrocchiali dove si celebra assieme e assieme si consuma il pasto e si passa tempo per conoscersi, esprimersi con gioia il dono della fede, scambiarsi soddisfazioni e preoccupazioni, conquiste e difficoltà, desiderio di vita e tensioni verso il bene.
10. La famiglia è il luogo dove ogni figlio viene aiutato a rispondere alla sua vocazione, a capire che cosa Dio gli chiede di essere, a percepire la voce di Dio che lo chiama all’amore, vissuto sempre con grande generosità sia nel matrimonio che nella verginità consacrata, nel presbiterato o in forme di dono totale di sé nella vita di contemplazione.
11. La famiglia è soggetto pubblico. È soggetto di doveri, ma anche di diritti inalienabili che vanno rispettati e promossi in tutti i campi: nell’accesso alla cultura di base, alla assistenza, al sostegno economico, alla libertà di educazione dei figli, a leggi che favoriscono la vita e che tengono conto della cura dei figli, soprattutto nelle famiglie numerose, al rispetto stesso dello statuto di una famiglia secondo natura.
12. In momenti di crisi economica molte famiglie sono tentate di disperazione, di sfiducia. La comunità cristiana deve fare di tutto per esprimere solidarietà, favorire iniziative di appoggio e di aiuto, coinvolgendo le istituzione a fare il proprio dovere, offrendo condivisione di spazi abitativi, tempi per la cura dei bambini, superando l’isolamento in cui le nostre famiglie si sono collocate per un senso sbagliato di autosufficienza.
Le famiglie in difficoltà
Non ci possiamo negare che la famiglia in questi tempi è stata caricata di tante responsabilità e spesso poco sostenuta nel portarne il peso. Essa stessa nella coppia conosce crisi laceranti e esiti ancor più problematici e delicati. In essa si scatenano tensioni affettive, difficoltà economiche, problemi complessi di rispetto alla vita nascente, di accompagnamento alla morte, di educazione e accompagnamento dei figli, di cura della salute, di devianze e grosse fragilità.
Abbiamo un buon gruppo di adulti che si interessano quotidianamente di queste realtà e che in questi anni ha dato vita a un ufficio per la pastorale familiare, al servizio delle parrocchie. Lo stato stesso mette a disposizione strutture di appoggio. La diocesi ritiene giunto il momento di costituire un consultorio familiare di ispirazione cristiana che si affianca a quello statale per aiutare le famiglie a superare le difficoltà, a mettere in comune soluzioni, a creare nuova mentalità cristiana su tutte le scelte, spesso drammatiche, che la famiglia deve fare.
Le situazioni delicate di famiglie divise, separate, ricostruite in altre con divorzi, devono poter sperimentare sempre la bontà di Dio. La consapevolezza di essere sempre figli di Dio, amati da Gesù, appartenenti alla chiesa deve poter essere vissuta in ogni comunità cristiana entro percorsi appositi di ascolto della Parola, di preghiera e di esercizio della solidarietà nella carità.
Indicazioni concrete.
Per far diventare esperienza quotidiana quanto esposto è necessario che vengano valorizzate e aiutate a vivere in comunione tutte le risorse della comunità, dai piccoli ai grandi, dai presbiteri ai laici, dai singoli a tutte le associazioni, dall’Azione Cattolica alle aggregazioni professionali, dalle parrocchie agli uffici pastorali diocesani, a tutte le vocazioni e ministeri che Dio ha regalato alla sua Chiesa.
In particolare verranno interessati a cammini formativi per creare comunione, conversione e competenza:
1. Tutto il popolo di Dio che celebrerà il convegno pastorale nei modi consueti sulle tematiche di fondo del programma pastorale e i cui contenuti verranno ripresi nelle singole parrocchie.
2. Tutti i collaboratori della parrocchia a vario titolo collegati agli uffici pastorali per mettere ciascuno in condizioni di donare alla comunità la ricchezza della propria vita di fede e per apprendere a lavorare assieme e a lavorare bene.
3. I presbiteri, che seguiranno corsi di aggiornamento non solo sulla teologia del matrimonio, ma anche sulla preparazione immediata, la celebrazione e i vari aspetti giuridici, così da giungere anche a una omogenea prassi preparatoria e celebrativa del matrimonio in tutte le parrocchie.
4. La celebrazione del matrimonio dovrà perdere il fasto di una festa mondana, dove l’Eucaristia, la preghiera, la tensione spirituale sono solo fatti secondari rispetto alla messa in scena, per vivere il matrimonio come vero sacramento della fede cristiana, dare vita a una vera partecipazione della comunità, avendo il coraggio di sfrondare eccessi che non danno esempio di sobrietà e di condivisione. Che molte coppie non si sposino in chiesa e convivano per anni perché mancano i soldi per una celebrazione sfarzosa è inaccettabile per un cristiano, ma è anche responsabilità della vanità e della costosa e insostenibile superficialità con cui tante volte si celebra il matrimonio.
5. La preparazione remota al matrimonio deve poter iniziare in ogni parrocchia o gruppi di parrocchie. A tale scopo si avviano corsi di formazione specifici per animatori, creando collaborazioni anche con la scuola e con le forze vive del territorio.
6. L’ufficio della pastorale familiare continua il suo sforzo nel qualificare, coordinare, programmare, portare a conoscenza i corsi di preparazione che senza fretta, ma anche senza troppa lentezza devono diventare più consistenti e qualificarsi nel metodo e nei contenuti.
7. Le associazioni curino in modo particolare la celebrazione del sacramento del matrimonio degli associati, così da farle diventare celebrazioni esemplari, per la sobrietà, per la preparazione, per la fede esplicitata nella celebrazione, per il coinvolgimento della associazione e della comunità.
8. Nell’era delle immagini ogni famiglia ricostruisca un album di famiglia entro un dialogo tra genitori e figli tra nonni, figli e nipoti, per aiutare ad apprezzare il passato, vivere bene il presente e preparare il futuro.
9. Contestualmente all’attuazione di tutto quanto viene proposto, come conclusione operativa, si dà vita a un gruppo di laici, presbiteri, giovani e adulti che avranno il compito di dare omogeneità alle celebrazioni del matrimonio per tutta la diocesi, seguendo le indicazioni del codice di diritto canonico e le indicazioni delle chiese che sono in Italia.
8 settembre 2010, Natività Beata Vergine Maria
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