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lunedì 13 luglio 2015

Quanti equivoci nel rapporto tra Chiesa e mondo

di Giacomo Biffi                 13-07-2015
Il cardinale Giacomo BiffiRicordando la figura del cardinale Giacomo Biffi, pubblichiamo alcuni brevi passaggi tratti dal suo libro "La bella, la bestia e il cavaliere" (Jaca Book 1984), per la loro profetica attualità. Non si vuole con questo avere la pretesa di esaurire o ridurre il pensiero di Biffi, ma piuttosto vuole essere un invito a riprendere in mano la sua abbondante produzione letteraria e teologica che è più che mai attuale. In questo caso, il cardinale Biffi esamina alcuni idoli derivati dal post-concilio, ovvero da una lettura distorta e tendenziosa del Concilio Vaticano II.
Ricordiamo che i solenni funerali del cardinale Biffi si terranno martedì 14 luglio nella cattedrale di Bologna alle 10.30.

LA CRONOLATRIA
Senza affermarsi mai espressamente, la cronolatrìa trapela in modo spesso involontario e quindi tanto più significativo dal linguaggio d’uso corrente, nel quale l’aggettivazione del biasimo teorico non è: falso, errato, illogico, cattivo, aberrante; ma piuttosto: superato, sorpassato, attardato, vecchio. Non conta tanto la verità quanto la formulazione recente. Le idee, come le uova, devono essere «di giornata».
(…) Veniamo spesso esortati a pregare per gli «uomini del nostro tempo», come se qualcuno fosse mai tentato di ricordare nelle sue orazioni gli assiro-babilonesi; o a vivere nel «mondo di oggi», contro il pericolo di sconfinare inavvertitamente nell’epoca carolingia; o a impegnarci a «essere moderni», che è un po’ come se una mucca si impegnasse ad avere la coda.
Non ci si meraviglia allora di notare che il tema della «vita eterna» si faccia sempre più raro nei discorsi ecclesiastici,
dove invece hanno sempre più larga parte le questioni del «tempo presente». Queste è giusto e doveroso affrontare senza evasioni alienanti, ma non «invece di quella», bensì «alla luce di quella»: solo con la coscienza sempre pungente della «vita eterna» e della sua impareggiabile rilevanza è possibile «redimere il tempo presente», ridonandogli senso e spessore.
LA COSMOLATRIA
Di tutte le idolatrìe che ci affliggono, l’adorazione del mondo è senza dubbio la più clamorosa. Oggi uno può impunemente parlar male della Sposa di Cristo senza avere il minimo fastidio ecclesiale; ma se azzarda a scrivere due righe contro il «mondo», deve aspettarsi almeno qualche tiratina di orecchie anche da parte dei recensori più benevoli e pii.
Questa «cosmolatrìa» fa tanto più spicco in quanto stride con tutta la consuetudine linguistica dell’ascetica tradizionale: la «fuga dal mondo», la «rinuncia al mondo», il «disprezzo del mondo» dai primordi del cristianesimo fino a pochi anni fa sono stati temi classici della riflessione e della predicazione; ebbene, di essi nelle comunità cristiane di oggi non si trova più traccia. Al loro posto si propone l’«inserimento nel mondo» e perfino il «servizio del mondo».
A esaminare con attenzione alcuni testi ecclesiastici recenti (per esempio, alcuni formulari suggeriti da qualche parte per le preghiere dei fedeli) si ha l’impressione che i due vocaboli «mondo» e «Chiesa» rispetto all’uso di prima si siano semplicemente scambiati di senso. Si implora sempre infatti che la Chiesa capisca, riconosca, si converta, abbandoni il suo egoismo e la sua volontà di potenza ecc.; e per conto si prega perché il mondo venga riconosciuto e appagato nelle sue aspirazioni, aiutato nelle sue necessità, esaltato nei suoi valori. Ad ascoltare certe celebrazioni del mondo viene da domandarci perché mai a Gesù Cristo sia venuto in mente di fondare la Chiesa, peggiorando notevolmente le cose. (…)
(…) Occorre ripartire dal dato rivelato preso nella sua integrità, senza operarvi nessuna aprioristica selezione.
Una frase del vangelo di Giovanni ci ricorda da sola tutta la multiformità della parola di Dio a proposito di «mondo» «Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe» (Gv 1,10). In due righe il vocabolo compare tre volte e sempre con sfumature diverse.
«Era nel mondo»: si riferisce al fatto della incarnazione e alla presenza del Verbo nella realtà creaturale. È una indicazione che non implica alcuna valutazione. (…)
«Il mondo fu fatto per mezzo di lui»: qui è implicitamente affermata l’originaria bontà del mondo, e quindi la presumibile disposizione di accoglienza verso il Figlio di Dio. Allo stesso modo è detto che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3, 16).
«Eppure il mondo non lo riconobbe»: qui la parola «mondo» esprime il grande enigma della opposizione sistematica, permanente, ineliminabile, nella quale si è imbattuta e si imbatterà sempre l’iniziativa salvifica. E il discepolo di Gesù è ripetutamente ammonito di non perdere mai di vista e non sottovalutare questa tragica realtà.
Il mondo è dunque o un semplice spazio o una realtà nativamente buona ma da redimere o una forza malvagia che resiste alla redenzione e cerca di vanificarla. Nessuna di queste tre verità va trascurata.    
IL «SERVIZIO DEL MONDO»
L’affermazione (il «servizio del mondo») è carica di ambiguità e, se non è chiarita, può alla lunga provocare una visione distorta dell’impegno cristiano. Gli equivoci possibili sono due: sul concetto di «mondo» e sul dovere del «servizio».
Per «mondo» qui si può intendere solo l’umanità che – dolorante, sviata, senza luce – è in attesa della salvezza. Non certo il «mondo» per il quale il Signore non ha pregato e che noi dalla parola di Dio siamo invitati a odiare; della cui oscura esistenza non dobbiamo mai dimenticarci.
E il «servizio» più urgente e necessario che può essere reso agli uomini decaduti e infelici è l’annuncio del Salvatore e del progetto d’amore che il Padre ha pensato per noi: questa è la vera «promozione umana», che poi diventa la molla propulsiva di ogni altro «progresso» nel benessere, nella pace sociale, nella giustizia terrena.
Va anche detto che l’unico a dover essere propriamente servito da noi è il Figlio di Dio , Gesù Cristo. «Ci sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore» (1 Cor 12,5). Nessun altro può essere riconosciuto come padrone.
Vero è che l’unico nostro Signore si è fatto «servo» di tutti: e noi, se vogliamo veramente e concretamente servirlo, dobbiamo servirlo anche associandoci a lui in questo servizio degli altri e attendendo dunque alle necessità reali di tutti.
(…) Noi, servi di Cristo, diventiamo in lui servi degli uomini; ma non per questo siamo tenuti a dare agli uomini sempre ciò che a loro piace o che da noi essi si aspettano. Noi abbiamo il dovere di servirli secondo la volontà e le decisioni dell’unico vero Signore, che si è fatto loro servo, cioè si è posto al servizio della loro vera felicità. A lui e a nessun altro renderemo conto un giorno di tutte le nostre azioni.

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