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lunedì 13 luglio 2015

Chiamati ad essere i Leviti per la salvezza di questa generazione


I Leviti trasportano l'Arca



αποφθεγμα Apoftegma

In qualsiasi momento l'Arca, ossia la Torà, deve essere pronta ad essere trasportata, trasmessa.
La trasmissione però è compito nostro.
Siamo noi che ci dobbiamo preoccupare di portare fuori la Torà.
Ed a quel punto scopriremo una cosa straordinaria.
Non siamo noi a portare la Torà. È la Torà che porta noi.
I Maestri si sono cimentati sui calcoli circa il peso delle Tavole e dell'Arca nel loro complesso.
I Leviti addetti non avrebbero mai potuto sollevarla,
nemmeno raccogliendo tutte le loro forze.
Il midrash ci spiega che quando essi si apprestavano a sollevare l'Arca
degli angeli li affiancavano e li aiutavano.
Nonostante ciò essi non potevano esimersi dal partecipare allo sforzo.
Noi abbiamo l'obbligo di diffondere e portare la Torà
e di trasmetterla garantendo la sua esistenza.
Se faremo ciò, scopriremo presto che è la Torà che porta noi.
È lei che ci mantiene in vita come popolo e che ci garantisce continuità.




Nelle parole di Gesù si legge in filigrana la vocazione dei Leviti, profezia di quella di ogni cristiano: «Il Signore disse a Mosè: Ecco, io ho scelto i leviti tra gli Israeliti al posto di ogni primogenito che nasce per primo dal seno materno tra gli Israeliti; i leviti saranno miei» (Nm 3,11). Come loro, infatti, anche noi siamo chiamati a portare il peso della nostra responsabilità. E non è facile, è un combattimento a volte aspro e cruento. Altro che sentimentalismi e buonismi... Se Dio ci ha scelti, e ci ha accolti nella Chiesa dove ha lavato le nostre colpe e ci sta rigenerando in una vita nuova, non è certo per fare di noi un'élite religiosa. Per comprendere per quale servizio il Signore ci sta formando vediamo quale era la missione dei Leviti. Scelti da Dio, lo avevano messo al di sopra dei loro stessi fratelli, della famiglia, di tutto; essi dissero dei propri genitori: "Non li abbiamo mai visti; non portarono riguardo ai fratelli e non conobbero i figli perché osservarono i Tuoi detti e preservarono il Tuo patto, essi insegneranno i Tuoi statuti a Giacobbe e la Tua legge ad Israele; portarono il profumo dinanzi a Te e l'olocausto sul Tuo altare" (Dt 33, 9-10). Proprio per compiere la loro missione, i Leviti non avevano parte con il popolo, perché il Signore era loro parte; ma questo non era una sfortuna, come spesso pensiamo noi, destinati ad una vita più grama degli altri per il fatto di essere cristiani... I Leviti sapevano che la loro eredità era magnifica, e la loro sorte era caduta su luoghi deliziosi, quelli dell'intimità con Dio. Erano, infatti, addetti alla Tenda della Riunione, il luogo ove era conservata l'Arca dell'Alleanza, nucleo di quello che nel Tempio diverrà il Santo dei Santi. I Leviti custodivano così la Presenza di Dio, scelti come primizie del popolo per assicurare assistenza al Signore. La loro vita era tutta per l'Arca, ovvero per Dio stesso; in essa, nel giorno di Yom Kippur, il Sommo Sacerdote gridando il Nome dell'Altissimo, impetrava e otteneva il perdono per tutto il popolo. Nulla potevano amare più dell'Arca che custodiva la Presenza di Dio, difesa e vittoria del Popolo. Erano per Dio e per questo erano per ogni loro fratello. Proprio la "separazione" da ogni legame di carne li donava a
tutti: se cadevano loro cadeva il popolo. Così anche noi siamo stati chiamati ad essere per il mondo i custodi della Presenza di Dio. E questo è infinitamente più importante di ogni legame: la nostra primogenitura è l'assicurazione per il Cielo che Dio offre ad ogni uomo. Per salvare chi ci è accanto e ci è stato affidato, è necessario che la Spada portata da Cristo, la Croce che ci fa Leviti della sua presenza e tabernacolo della misericordia, "separi il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera". Perché siano salvati e accompagnati, ogni giorno, in Cielo, nella comunione con Dio, è necessario che "i nemici dell'uomo siano quelli della sua casa": solo allora sarà svelata quella parte di loro che è nemica di Cristo, e così potranno incontrare in noi le braccia distese ad abbracciarli nell'amore autentico, che offre la vita per il nemico, che prega per lui, che perdona. Altro che "pace" di Nutella, dolce al palato e velenosa per l'anima. Dio non si è fatto carne per vendere placebo; Cristo non inganna, ama a prezzo della propria vita. E' nemico un figlio che rifiuta la fede trasmessa dai genitori; un nemico da amare prendendo il rifiuto e perdonando senza anestetizzare la fede adeguandola alla carne; il compromesso e la paura di soffrire non hanno nulla a che vedere con l'amore"Amare la propria vita", difendere i propri spazi, i criteri, le comodità, rifiutando la precarietà di chi ha le radici solo in Cristo, significa vedersela sfilare e perderla inesorabilmente: "trovare" la vita, infatti, per un apostolo significa "trovare" in Cielo tutti coloro che il "Nome" di Gesù ha iscritto nei Cieli. Se ne mancherà qualcuno significa che avremo difeso la vita in tutte quelle circostanze nelle quali Dio aveva messo sul nostro cammino persone segnate dal suo Nome: ad esempio, quando non avremo perdonato quel collega, o non avremo lasciato che quel parente si porti via il nostro denaro, o avremo mentito al figlio sulla fede.

La Parola di Dio, infatti, come una "spada", penetra sin nelle giunture più profonde di ciascuno di noi, per separare, dividere, vagliare, illuminare e fare verità. Soprattutto, per strappare l'uomo dal dominio della carne e delle passioni, del peccato e della morte. La "Pace" che annuncia il Signore apparendo ai discepoli è il frutto d'un combattimento senza esclusioni di colpi. La "divisione" che ha lacerato le carni del Signore, la "spada" che ha trapassato il cuore di Maria, sono queste la nostra salvezza: la Parola di verità, la Parola crocifissa che scioglie i legami morbosi, costruiti sui compromessi. Essa spezza le catene della dipendenza affettiva, rompe il muro sentimentale che umilia l'orizzonte infinito della vita divina. La sua "spada", la Parola di fuoco, ci conduce all'incontro con la verità e la misericordia che liberano le nostre vite. Perché la vita è seria, e la felicità è un cuore indiviso. Paradossalmente, solo un cuore spezzato dalla spada, crocifisso con Cristo, "diviso" dalla passione sentimentale e carnale, come dal cercare se stesso, quindi capace di sostenere e portare la Croce e il peso della responsabilità, è un cuore indiviso. Da esso fluisce l'amore al Signore, libero, e, in Lui, l'amore alle creature, anche le più prossime. La libertà di vivere seriamente nelle croci di ogni giorno, di portare sempre nel proprio corpo il morire di Gesù, perché nelle nostre esistenze appaia anche la sua resurrezione. Coraggio fratelli, il Signore è vivo in noi, novelli Leviti del Terzo Millennio. Siamo chiamati a portare l'Arca dell'Alleanza Nuova ed Eterna che Gesù ha stabilito con l'umanità: piccoli, deboli, incompresi, rifiutati. Umiliati. Cristiani. Offrendo a chiunque ci incontri di amare e servire Cristo in noi, nell'Arca che custodisce Cristo che è la nostra vita; le nostre storie custodiscono la Presenza misteriosa di Dio. Solo se saremo assetati, bisognosi di tutto, come Gesù sulla Croce, potremo offrire, dalla nostra Croce, la ricompensa eterna a chi ci è vicino. Guarda che è quando sei "piccolo" che sei "suo discepolo"; quando sei debole che Cristo si fa pienamente presente in te. Quando davanti alla moglie sei indifeso, e ti umili, Lui in te sta allungando la sua mano perché lei, attraverso di te, gli dia "un bicchiere di acqua". Le umiliazioni ci fanno "piccoli" e per questo "discepoli"; e solo nei "piccoli" il mondo può accogliere Dio. E' tutto rovesciato, anche nel ministero presbiterale, la missione comincia quando la storia rimpicciolisce e indebolisce. E' questa l'unica vera preoccupazione di un sacerdote: essere piccolo, cioè esattamente quello che è e che gli eventi plasmano giorno dopo giorno. Altro che messe piene di gente, catechesi applaudite, fedeli che si impegnano per fare una parrocchia modello. Allo stesso modo si è padre e madre quando si è "piccoli", indifesi, deboli, e i figli ci possono conoscere per ciò che veramente siamo. Con un carattere terribile, che litighiamo sempre tra noi, fragili: allora i figli avranno compassione di noi e, magari con un gesto solo, accoglieranno Cristo, e il Padre nella propria vita. Molto più che in virtù di sermoni e moralismi. La conversione degli altri parte sempre dalla nostra, che significa accettare si essere quel che siamo, e di scendere i gradini dell'umiltà. Solo così, anche oggi, la nostra vita, libera e unita al Signore, sarà un segno per ogni uomo. Un segno di Cristo crocifisso, amore puro del Padre; e anche un segno del Cielo, che ha i colori e la fragranza della Pace che regna nei nostri cuori. Ecco, il segreto della vita è essere così piccoli da contenere l'infinitamente grande, come Gesù che si è fatto bambino e poi servo e poi crocifisso, l'ultimo, il più piccolo, per fare spazio nella sua carne all'infinito amore del Padre. Solo assumendo ogni giorno la nostra storia compiremo la missione che ci è stata affidata, quella di portare l'Arca, la nostra carne nella storia che custodisce la Presenza divina. Senza dimenticare mai che "è la Torà che porta noi. È lei che ci mantiene in vita come popolo e che ci garantisce continuità".

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