È stato un maestro nella fede fino alla fine. Per amore di sinteticità – che lo stesso cardinale apprezzava – riduco a due punti il patrimonio inestimabile che ci ha lasciato in eredità.
1) La convinzione che il cristianesimo primariamente e per sé non è una religione – cioè un insieme di riti e di precetti che ci mettono in relazione con Dio – ma è piuttosto un fatto, il fatto di Gesù Cristo, che è il Verbo incarnato che ha vissuto in
mezzo a noi, è morto, è risorto e ora vive nella gloria. Questo è un evento che è accaduto storicamente duemila anni fa e che accade tuttora grazie alla mediazione della Chiesa e dei sacramenti. Perciò essendo un fatto, il cristianesimo non può essere paragonato a nessun tipo di religione. Ed essendo un fatto, chiede a noi di prenderne atto e di comportarci di conseguenza, cioè seguire Cristo che è l’autore e il principe della vita e della gloria.
2) A proposito dell’articolato tema dell’immigrazione il cardinale era intervenuto più volte pubblicamente e aveva sempre distinto vari livelli di analisi. Alla Chiesa e ai credenti compete la pratica della carità e dell’apostolato verso tutti, credenti e non credenti: da ciò deriva l’impegno della Caritas e dell’annuncio di Gesù. Alla Repubblica Italiana compete il discernimento sulle persone degli immigrati e la gestione dei cosiddetti flussi tenendo conto di un semplice dato fattuale: l’Italia non è una landa deserta e desolata, ma ha una sua identità, una sua precisa e invidiabile cultura e quindi è ragionevole sostenere che se chi ci governa avesse a cuore la futura pacifica convivenza delle genti nella nostra penisola dovrebbe sempre considerare la volontà reale e concreta dell’immigrato di integrarsi nella cultura italiana. E infine agli immigrati competono tutti i diritti umani, ma mai il diritto di invasione.
Il Cardinal Biffi nella sua schietta concretezza meneghina ha ricondotto tutto ai fatti, perché come lui stesso diceva i fatti una volta accaduti nessuno li può più cambiare, neanche Dio, che è Amore onnipotente.
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