Card. Ratzinger: Per me bontà implica anche la capacità di dire “no”
Un’intervista al cardinale Ratzinger. Antonella Palermo per la Radio Vaticana, 2001
R. – E’ impossibile un autoritratto; ed è difficile giudicare se stessi. Io posso soltanto dire che vengo da una famiglia molto semplice, molto umile, e perciò non mi sento tanto cardinale, mi sento un uomo semplice. In Germania vivo in un piccolo paese con persone che lavorano nell’agricoltura, nell’artigianato e lì mi sento nel mio ambiente. Nello stesso tempo cerco di essere così anche nel mio ufficio, se riesco: non oso io giudicare.Io ricordo sempre con grande affetto la profonda bontà di mio padre e di mia madre e naturalmente per me bontà implica anche la capacità di dire “no”, perché una bontà che lascia correre tutto non fa bene all’altro, qualche volta la forma della bontà può essere anche dire “no” e rischiare così anche la contraddizione.
Ma anche questo deve essere realmente nutrito non da senso di potere, di rivendicazione, ma deve provenire da un’ultima bontà, dal desiderio di fare bene all’altro. Questi sono i miei criteri, questa la mia origine, altro dovrebbero dire altri.
D. – Lei ha paura di Dio?
R. – Non ho paura di Dio perché Dio è buono. Naturalmente sono consapevole della mia debolezza, dei miei peccati. In questo senso c’è un timore di Dio che è altra cosa dalla paura intesa nel senso umano. Sant’Ilario ha detto: “Tutta la nostra paura è nell’amore”.
Quindi l’amore implica non paura ma, diciamo, la preoccupazione di non contrastare il dono dell’amore, di non far nulla che potrebbe distruggere l’amore. In questo senso, c’è qualcosa d’altro, che non è paura: è riverenza, tanta, in modo che ci si sente obbligati realmente a rispondere bene a questo amore e di non far nulla che potrebbe distruggerlo.
D. – Tanti anni nella Congregazione per la Dottrina della Fede, a stretto contatto con Giovanni Paolo II: i suoi ricordi più forti …
R. – I ricordi più forti sono legati agli incontri col Papa nei grandi viaggi; poi al grande dramma della teologia della liberazione, dove abbiamo cercato la strada giusta; e poi tutto l’impegno ecumenico del Santo Padre, questa ricerca di una grande apertura della Chiesa nella quale allo stesso tempo non perda la sua identità. Gli incontri normali con il Papa sono forse l’esperienza più bella perché qui si parla cuore a cuore e vediamo la comune intenzione di servire il Signore, e vediamo come il Signore ci aiuta anche a trovare compagnia nel nostro cammino: perché niente va fatto solo da me, ecco questo è molto importante, non prendere solo decisioni personali ma in una grande collaborazione. Questo sempre in un cammino di comunione con il Papa che ha una grande visione del futuro. Lui mi conferma e mi guida nella mia strada.
D. – Ma come è il Papa, qualche aggettivo da parte sua che potesse rendercelo anche più familiare…
R. – Il Papa è soprattutto molto buono. E’ un uomo che ha un cuore aperto, anche un uomo scherzoso con il quale si può parlare allegramente e in modo disteso. Non siamo sempre sulle grandi nuvole, siamo in questa vita… Questa bontà personale del Papa mi convince sempre di nuovo, non dimenticando la sua grande cultura, la sua normalità e il fatto che sta con tutti e due i piedi sulla terra.
D. – Lei afferma che la Chiesa “non ha ancora effettuato il balzo nel presente”: cosa intende?
R. – C’è ancora un grande lavoro di traduzione da fare dei grandi doni della fede nel linguaggio di oggi, nel pensiero di oggi. Le grandi verità sono le stesse: il peccato originale, la creazione, la redenzione, la vita eterna… ma molte di queste cose si esprimono ancora con un pensiero che non è più il nostro e bisogna farle arrivare nel pensiero del nostro tempo e renderle accessibili per l’uomo perché veda davvero la logica della fede. E’ un lavoro ancora da fare.
D. – Cosa dice oggi alle nuove generazioni?
R. – Che devono aver fiducia, che la Chiesa è sempre giovane ed il futuro sempre appartiene alla Chiesa. Tutti gli altri regimi che sembravano molto più forti sono caduti, non esistono più, sopravvive la Chiesa; sempre una nuova nascita appartiene alle generazioni. Fiducia, questa è realmente la nave che conduce al porto.
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