A Gerusalemme Gesù è sotto indagine, come spesso nella nostra vita. Ieri la questione politica del "tributo a Cesare", oggi quella religiosa della "risurrezione". E in entrambi i casi Gesù risponde invitando i suoi interlocutori a guardare a Dio. E' Dio, infatti, che gli rende testimonianza. Ma i sadducei non “vanno” a Gesù per “credere e avere in Lui la vita”, perché “non conoscono le Scritture, né la potenza di Dio”. Infatti, non riscontrando nella Torah passi che affermino esplicitamente l'esistenza dell'uomo dopo la morte, negavano la resurrezione. Costituivano la classe nobile di Israele e appartenevano alla casta sacerdotale; alcuni loro membri avevano scritto la Torah, e per questo accettavano come ispirati solo i primi cinque libri della Legge. Ovvio che non accettassero i profeti che li richiamavano allo Spirito che dà vita alla Legge; avrebbe significato accettare di convertirsi… Ma proprio per questo rifiutavano “il potere di Dio” che, con la sua fedeltà e la sua misericordia infinita, si manifesta pienamente nella debolezza. E chi non ne ha l’esperienza “non conosce le Scritture”. Come appunto i sadducei che “non avevano letto
nel libro di Mosè” ciò che lo Spirito Santo vi aveva scritto “a proposito del roveto” nel quale “Dio” stesso “parlò a Mosè” rivelandosi come “il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”. Ma per i sadducei Abramo, Isacco e Giacobbe erano morti e sepolti sotto terra, come purtroppo anche loro. Si, perché essendo ricchi proprietari terrieri, per loro la loro vita era la terra, e si sa, “la terra è bassa e non vede cielo”… Non avevano tempo per “pensare alle cose di lassù” ma solo alla Legge, perché regolasse bene “le cose di quaggiù”, della terra appunto, che era il loro unico orizzonte. Avevano chiuso gli occhi sul Cielo, e ciò appare anche nel modo di “avvicinarsi a Gesù per interrogarlo” che evidenzia il loro “grande errore” nel discernere. “Non conoscendo il potere di Dio” nella loro vita pongono a Gesù una domanda che esprime tutta la loro disperazione di fronte alla morte, che nascondono dietro l’ironia. Prendono infatti spunto dal precetto del levirato registrato in Dt. 25,5-10 secondo il quale l’israelita era obbligato a sposare la moglie di un suo fratello morto senza nessun erede maschio, perché il suo nome “non si estingua in Israele” e non se ne perdesse l’eredità… Il denaro dunque, e quindi il “possesso”: “Nella risurrezione, quando risorgeranno, a chi di loro apparterrà la donna? Poiché in sette l'hanno avuta come moglie”. Eccolo il “grande errore”! Se non c’è resurrezione, ogni relazione con le persone e le cose sarà solo di possesso. Ma se esiste la vita eterna allora cambia la prospettiva della vita terrena: se essa è orientata al Cielo in ogni relazione vi risplenderà un suo riverbero. Per questo Gesù pone davanti ai sadducei suo Padre, ovvero un Dio che è Padre, che ha una relazione con gli uomini che ha creato, nonostante i loro peccati. Il Dio che Israele ha imparato a conoscere proprio attraverso l’esperienza della sua Parola con la quale si è rivelato comunicando con loro, come accadde anche nell’episodio del “roveto”: proprio da quel roveto, che pur bruciando non si consuma, Dio rivela il suo Nome. Egli cioè lega la sua identità, il suo essere a quel roveto che persiste vivo nonostante lo avvolgano le fiamme.
nel libro di Mosè” ciò che lo Spirito Santo vi aveva scritto “a proposito del roveto” nel quale “Dio” stesso “parlò a Mosè” rivelandosi come “il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”. Ma per i sadducei Abramo, Isacco e Giacobbe erano morti e sepolti sotto terra, come purtroppo anche loro. Si, perché essendo ricchi proprietari terrieri, per loro la loro vita era la terra, e si sa, “la terra è bassa e non vede cielo”… Non avevano tempo per “pensare alle cose di lassù” ma solo alla Legge, perché regolasse bene “le cose di quaggiù”, della terra appunto, che era il loro unico orizzonte. Avevano chiuso gli occhi sul Cielo, e ciò appare anche nel modo di “avvicinarsi a Gesù per interrogarlo” che evidenzia il loro “grande errore” nel discernere. “Non conoscendo il potere di Dio” nella loro vita pongono a Gesù una domanda che esprime tutta la loro disperazione di fronte alla morte, che nascondono dietro l’ironia. Prendono infatti spunto dal precetto del levirato registrato in Dt. 25,5-10 secondo il quale l’israelita era obbligato a sposare la moglie di un suo fratello morto senza nessun erede maschio, perché il suo nome “non si estingua in Israele” e non se ne perdesse l’eredità… Il denaro dunque, e quindi il “possesso”: “Nella risurrezione, quando risorgeranno, a chi di loro apparterrà la donna? Poiché in sette l'hanno avuta come moglie”. Eccolo il “grande errore”! Se non c’è resurrezione, ogni relazione con le persone e le cose sarà solo di possesso. Ma se esiste la vita eterna allora cambia la prospettiva della vita terrena: se essa è orientata al Cielo in ogni relazione vi risplenderà un suo riverbero. Per questo Gesù pone davanti ai sadducei suo Padre, ovvero un Dio che è Padre, che ha una relazione con gli uomini che ha creato, nonostante i loro peccati. Il Dio che Israele ha imparato a conoscere proprio attraverso l’esperienza della sua Parola con la quale si è rivelato comunicando con loro, come accadde anche nell’episodio del “roveto”: proprio da quel roveto, che pur bruciando non si consuma, Dio rivela il suo Nome. Egli cioè lega la sua identità, il suo essere a quel roveto che persiste vivo nonostante lo avvolgano le fiamme.
Così è Dio, che si rivela vivo nel suo amore che si fa storia di salvezza tra le fiamme del mondo; vivo nella sua fedeltà che non si esaurisce, e chiama, elegge e trascina con sé nel compimento del suo amore, generazione dopo generazione, “Abramo, Isacco e Giacobbe”. Vivo in Mosè, che da quel “roveto” Dio chiama per liberare, attraverso di lui, il suo Popolo dalla schiavitù dell’Egitto. Dio e Mosè, Dio in Mosè, per compiere la Pasqua, l’esperienza che ha costituito Israele come Popolo, il suo fondamento che persiste nel tempo diventando contemporaneo per ogni generazione di Israel, che proprio a partire da questa esperienza di liberazione ha iniziato a credere nella risurrezione. E solo dopo questa esperienza Mosè è salito sul Sinai per ricevere la Torah. La Legge, dunque, nasce e si fonda proprio sull’esperienza della risurrezione fatta nella Pasqua. Capite dunque perché i sadducei fossero “in grande errore”: fondavano tutto sulla Legge alla quale però avevano tolto il fondamento. Ovvio che la loro domanda crollasse come un castello di sabbia… E proprio per questo il Vangelo di oggi è rivolto a noi che siamo ogni giorno insidiati dai vecchi e nuovi sadducei che vorrebbero indurci a dubitare della risurrezione per vivere spiaccicati sulla terra, seguendo i desideri della carne. Per noi che troppo spesso ci lasciamo sedurre dal demonio e assediamo Gesù e i suoi ministri, cercando con vani ragionamenti mondani la giustificazione per le passioni con cui usiamo il coniuge e la sessualità, e legittimare così la chiusura alla vita. Ma fratelli, Cristo è risorto! Lui è la Verità, cioè la resurrezione, la Via, cioè la Legge, e la Vita, cioè la vita eterna. Ascoltiamo oggi la predicazione della Chiesa, perché per credere e appoggiare la nostra esistenza sul “potere” di Cristo è fondamentale “conoscere le Scritture” nella retta interpretazione della Chiesa! Che cosa ci dicono oggi? Che quel “quando risusciteranno dai morti” riguarda anche noi: Gesù cioè ci sta dicendo che “quando” il suo perdono ci “risusciterà dalla morte” nella quale ci hanno condotto i nostri peccati, “non prenderemo moglie né marito, ma saremo come angeli nei cieli”. Sì, tu ed io , perdonati, saremo liberi dalle passioni e dalle concupiscenze, e potremo amare senza possedere nulla e nessuno, senza cioè chiedere alla moglie, al marito e ai figli la felicità che non ci possono dare. Nella Chiesa, infatti, Cristo ci rialza dalle cadute e sazia il nostro cuore trasfigurando nella sua resurrezione ogni relazione, perché, sapendo che “il tempo si è fatto breve e passa la scena di questo mondo”, possiamo vivere anche il matrimonio e la sessualità “come se non fossimo sposati” secondo la carne, cioè nella libertà e nel dono di se stessi che ne fanno una primizia della vita celeste.
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