Amare i fratelli, solo Cristo può fare il miracolo
di Costanza Miriano
Qualche giorno fa sono capitata in Centrale, la stazione di Milano, alle 5.30 di mattina, quando “Milano dorme ancora”. Ho attraversato il portico in mezzo a un nugolo di giovani uomini dalla pelle scura che scrutavano la gente che passava. Probabilmente non avevano cattive intenzioni, ma di certo non è piacevole essere una donna sola in quella situazione. Sì, lo ammetto, ho provato paura.
Sì, lo ammetto, ho pensato al mio telefono che sporgeva dalla tasca – è vero, ho un telefono costoso, me lo hanno regalato, come praticamente tutte le cose di valore che ho. Sì, lo ammetto, ho provato fastidio, perché non eravamo un gruppo di persone che andavano a prendere il treno, situazione in cui ovviamente non avrei fatto caso al colore della pelle. La situazione era donna bianca sola che va a prendere il treno, decine di uomini neri che non hanno apparentemente niente da fare e stanno in giro con il buio. Sono razzista? Probabilmente per gli standard della Boldrini sì.
Io so che una ostetrica nigeriana al Fatebenefratelli a Roma ha probabilmente salvato la vita di mio figlio, e quando anni dopo l’ho incontrata in un altro ospedale l’ho ringraziata e abbracciata, e sono contenta che quella donna sia venuta dall’Africa in Italia a portare la sua professionalità e la sua capacità. So invece che nugoli di giovani col testosterone alle stelle, senza lavoro né prospettive esistenziali dignitose, con poco da perdere, sono pericolosi.
Credo che provare disagio o paura o fastidio verso un gruppo di persone che, anche perché indotte dalle circostanze, commettono in percentuale un numero più alto di crimini – è statistica – sia assolutamente sano. Credo anche che avvertire una vicinanza verso chi ci somiglia per storia e per cultura sia assolutamente normale. Credo che questa sia una delle forze che ha plasmato la storia degli uomini sulla terra, e che è stata una spinta che ha portato a costruire, difendere, far crescere, conservare. D’altra parte anche Dio per iniziare la sua storia d’amore con l’uomo ha scelto un popolo, un popolo solo, e lo ha custodito e difeso gelosamente dai nemici. Certo, poi Gesù viene a dire che la salvezza è anche per gli altri, ma prima è venuto a portare la salvezza per le pecore perdute della casa di Israele.
Insomma, arrivare a vedere in ogni uomo un fratello è al termine di un cammino, è qualcosa di innaturale per l’uomo, è qualcosa che non ci è dato se non con la grazia, esattamente come amare il nemico. Non per niente stanno venendo fuori a grappoli gli scandali dei ricatti sessuali operati dai “filantropi” delle Ong. Se non vai a portare Cristo non sei capace di amare. L’uomo non è fatto così, e chi lo nega non è più buono di me, è solo che non è cristiano. Solo con Lui siamo capaci, “senza di Me non potete far nulla”.
Dicono che ci sia un’impennata di razzismo tra i giovani. Non so se sia così, della percezione dei giornali mi fido poco. Penso però che la risposta non siano le predichelle sul fatto che gli altri siano sempre e comunque una risorsa, le tirate educative a scuola ai nostri ragazzi con annesse canzoncine, la società liquida e il rinnegamento di ogni identità: non basta, perché l’appartenenza identitaria è scritta in ogni uomo, e il desiderio di una società che sia ordinata, che abbia regole sicure, che offra possibilità di crescere, di trovare un lavoro, di costruire una famiglia è semplicemente normale, e sano.
Solo Dio, non John Lennon, può riuscire ad aprire il nostro cuore, ad allargarlo a una maternità o paternità più grandi. La ricetta della Open Society è fallimentare: tutti i soldi di Soros non ce la faranno a cambiare tutti i cuori del mondo. Non serviranno le lezioni di educazione civica, i progetti multiculturali, i mercatini etnici. Solo Cristo potrà fare il miracolo. Ma non per legge, non imponendosi su un intero popolo, ma salvando e convertendo un cuore per volta.
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