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domenica 18 marzo 2018

V Domenica di Quaresima B

Gesu-nel-campo-di-granodi Don Giovanni Tangorra

Il tema del giorno è nell’apertura del Vangelo. Gesù ha appena compiuto il suo ingresso nel tempio, circondato dai discepoli che lo proclamavano messia. Ecco però giungere alcuni “greci” che lo cercano. Nella mentalità di allora erano i pagani, esclusi dall’alleanza. Loro pure vogliono vedere il maestro, cioè avere fede in lui, e riposare all’ombra della sua presenza. Il racconto si snoda attraverso uno strano passaggio di consegne: Filippo lo dice ad Andrea, poi Andrea e Filippo vanno a dirlo a Gesù. Sembra che la cosa si stia facendo difficile. Alla fine non sappiamo neanche se la richiesta fu esaudita, conta sapere che l’ora è giunta perché tutti diventino un popolo solo. Per far capire il come, Gesù paragona se stesso al chicco di grano.

L’alleanza scritta nel cuore
L’alleanza è un tema fondamentale, che attraversa tutta la Scrittura. È il patto con cui Dio crea un vincolo di amicizia e che, di riflesso, stringe gli uomini tra loro, facendoli sentire un popolo. Nell’Antico Testamento si parla dell’alleanza con Noè, con Abramo e sul Sinai, con Mosè. I profeti, però, si accorgono che la spinta iniziale si è esaurita. L’alleanza è diventata un puro formalismo, il popolo si limita a seguire alcune regole esteriori, ma il suo orecchio interiore è sordo alle richieste della giustizia. Fanno quindi un sogno potente, intravedendo la venuta di un Messia che avrebbe stipulato un’alleanza nuova, eterna, riportandola al centro, che è l’amore.
Il brano di Geremia (31,34-34) ne dà l’annuncio. Il profeta, piuttosto deluso per i propri fallimenti, proclama la sua fiducia in Dio. Trasforma quindi lo sconforto in speranza, predicendo un intervento futuro che descrive in termini appassionati. Se il popolo ha infranto il patto, Dio non ha smarrito la sua amicizia, dimentica le iniquità e stabilisce un’alleanza nuova, non paragonabile a quella del Sinai, perché non scritta su tavole di pietra bensì nel cuore di carne. Non ci sarà nemmeno bisogno di essere istruiti, ma ciascuno saprà trovare da sé il vero e il giusto. Dio e popolo saranno una cosa sola: «Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo».

La seconda lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei (5,7-9), fa eco all’annuncio profetico, dichiarando la fede della Chiesa, che ha riconosciuto in Cristo il Messia promesso. Il brano si sofferma sulla natura sacerdotale del suo messianismo. Il compito del sacerdote è fare da mediatore tra il cielo e la terra, dare voce alla parola di Dio, e offrire la propria vita a salvezza degli altri. Per l’autore della lettera solo Cristo ha potuto assolvere questi compiti, perché lui è il Figlio, e, pur essendo tale, ha accettato di diventare come noi, dando così origine alla nuova umanità. Egli è dunque l’unico vero sacerdote, e nessuno può proclamarsi tale fuori di lui.
Gesù ha raggiunto questo traguardo percorrendo due strade: l’obbedienza e la solidarietà. La prima si intende in riferimento alla volontà del Padre, cui è rimasto fedele anche nella lotta del venerdì santo. La sua vita terrena non è stata una passeggiata e chi pensa che la fede lo sia ha sbagliato l’indirizzo di Dio. Per dire la misura della solidarietà, il testo parla di condivisione dei dolori. Sceglie parole forti, riferendo di “grida e lacrime”, che hanno sullo sfondo la scena del Getsemani. Persino le sue preghiere, che potevano essere esaudite, sono rimaste mute, ma la risposta di Dio non si è fatta attendere: ed è la risurrezione.

Storia di un chicco di grano
Può capitarci di restare incantati dinanzi allo spettacolo estivo di un campo di grano. Le sue spighe senza numero, che si alzano nell’aria e che coprono il terreno dandogli il colore dell’oro. Spighe che si agitano nel vento e che catturano la luce del sole o del tramonto. Dopo il raccolto, il loro frutto sarà macinato per diventare farina, che le mani pazienti dell’uomo trasformeranno in pane. Eccolo sulla nostra tavola: il pane che profuma di terra e di cielo, e che ci riempie l’anima. Il pane che nutre gli affamati e sostiene il nostro viaggio, dandoci il calore necessario per attraversare le strade del tempo. Pane che a volte si paga caro, mentre è il regalo della terra!
Pochi però pensano agli inizi di questa grande storia, a quel piccolo seme, che una mano calda gettò nella terra fredda di un giorno di autunno. Seme troppo piccolo perché sia notato, ma che ha in sé il segreto della vita. Seme che sogna di arricchire la terra, ma che sa attendere, per diventare fiore, poi stelo e poi spiga. Seme che deve attraversare il mistero della morte per generare un intero universo. Questo spettacolo nascosto non sfugge agli occhi attenti di Gesù, che contempla la terra con amore, dando a quel piccolo seme la dignità di metafora cristologica: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto».
Con questa frase il maestro sintetizza il senso della sua missione. Essa è introdotta dalla consapevolezza che è giunta l’ora. «Gesù rispose loro: È venuta l’ora». Si avverte la tensione del momento. La passione è prossima. Nel linguaggio di Giovanni “l’ora” indica il culmine dell’attività messianica. Ma che ora è questa? È l’ora della salvezza, dell’incontro dei popoli, in cui anche quei greci che lo cercano potranno vederlo. È l’ora del chicco di grano che si moltiplica. E tutto non sarà più come prima. Proprio nel momento della sua maggiore sconfitta, che è la croce, Gesù chiamerà tutti a sé: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me».
Il maestro non spinge il nostro sguardo verso i suoi dolori, ma verso l’amore che non rifiuta di diventare dolore. È ciò che contempliamo in un crocefisso. Gesù non parla solo di sé ma di noi. Infatti, dice: «Dove sono io, là sarà anche il mio servitore». Siamo cercatori di vita, se non riusciamo a trovarla forse è perché siamo troppo concentrati su noi stessi. Il piccolo seme ci insegna che c’è un altro modo: donarla. Lo vediamo in un grembo di madre e lo leggiamo sulle mani di un operaio. Piaghe che parlano di amore, storia di un seme di grano che ha sconfitto la solitudine. Sì, «solo l’amore donato rende la vita degna di essere vissuta» (Emmanuel Mounier).
L’ascolto della parola, apertosi con i greci che cercano Gesù, ci ha portati a mescolarci con loro, formando il popolo dei cercatori di Dio. Vogliamo vedere Gesù. Lo chiediamo a Filippo e poi ad Andrea, cioè alla Chiesa, che ha questo solo compito sulla terra: condurci ai piedi di una croce luminosa, per imparare l’avventura del seme di grano.

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