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mercoledì 11 aprile 2018

Macron: il suo discorso ai Vescovi ricordava l’Anticristo di Solov’ëv

French President Emmanuel Macron, delivers a speech during a meeting of the Bishops' Conference of France (CEF) at College des Bernardins in Paris, France, 09 April 2018. EPA/LUDOVIC MARIN / POOL MAXPPP OUT
Quando l’imperatore fece il suo ingresso insieme al gran mago ed al seguito, e l’orchestra attaccò “la marcia dall’umanità unita” che serviva da inno imperiale e internazionale, tutti i membri del concilio si alzarono m piedi e agitando i loro cappelli gridarono tre volte a gran voce: « Vivat! Urrah! Hoch!». L’imperatore, ritto in piedi accanto al trono, tese il braccio con maestosa affabilità e disse con voce sonora e gradevole: «Cristiani di tutte le confessioni! Miei amatissimi sudditi e fratelli! Fin dagli inizi del mio regno, che l’Altissimo ha benedetto con opere così meravigliose e gloriose, non una volta ho avuto motivo di essere scontento di voi; voi avete sempre fatto il vostro dovere secondo fede e coscienza. Ma questo per me non basta. Il sincero amore ch’io provo per voi, fratelli amatissimi, anela di essere ricambiato. Voglio che non per senso di dovere, ma per un sentimento di amore che viene dal cuore, voi mi riconosciate per vostro vero capo, in ogni azione intrapresa per il bene dell’umanità. E così oltre alle cose che faccio per tutti, vorrei darvi un segno di particolare benevolenza. Cristiani, come potrei io rendervi felici? Che posso darvi non come miei sudditi, ma come miei correligionari, miei fratelli? Cristiani! Ditemi ciò che vi sta più a cuore nel cristianesimo affinché io possa dirigere i miei sforzi in questa direzione». Egli si arrestò ed attese. Nel tempio correva un brusio soffocato. I mèmbri del concilio bisbigliavano tra loro. Papa Pietro, gesticolando con calore, spiegava qualcosa a quelli che gli stavano attorno. Il professor Pauli scuoteva la testa e faceva schioccare le labbra con accanimento. Lo starets Giovanni, piegandosi verso un vescovo d’Oriente e un cappuccino, suggeriva loro qualcosa con voce sommessa. Dopo aver atteso qualche minuto, l’imperatore si rivolse di nuovo al concilio con lo stesso tono affabile di prima, ma in cui risonava appena un’impercettibile nota di ironia: «Cari cristiani, disse, comprendo come vi riesca difficile darmi una risposta diretta. Voglio darvi una mano. Disgraziatamente da tempo così immemorabile voi vi siete frazionati in sette e partiti diversi che forse tra voi non c’è nemmeno un argomento che susciti la vostra comune simpatia. Ma se non siete capaci di mettervi d’accordo tra voi, spero di mettere d’accordo io tutte le parti, dimostrando a tutti il medesimo amore e la medesima sollecitudine per soddisfare la vera aspirazione di ciascuno. Cari cristiani! So che molti fra voi, e non gli ultimi, hanno più caro di tutto nel cristianesimo quell’autorità spirituale che esso da ai suoi legittimi rappresentanti e non per loro particolare vantaggio, ma senza dubbio per il bene comune, poiché su questa autorità si basa il giusto ordine spirituale, nonché la disciplina morale, indispensabile per tutti. Cari fratelli cattolici! Oh, come capisco il vostro modo di vedere e come vorrei appoggiare la mia potenza sull’autorità del vostro capo spirituale! E perché non crediate che si tratti di lusinghe e di vane parole, noi dichiariamo solennemente: per nostra autocratica volontà, il vescovo supremo di tutti i cattolici, il papa romano, da questo momento è reintegrato nel suo seggio di Roma, con tutti i diritti e le prerogative di un tempo, inerenti a questa condizione e a questa cattedra e che un giorno gli furono conferiti dai nostri predecessori a cominciare da Costantino il Grande. Ma per questo, fratelli cattolici, voglio soltanto che dall’intimo del cuore riconosciate in me il vostro unico difensore ed unico protettore. Coloro che per coscienza e sentimento mi riconoscono tale vengano qui vicino a me».
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Guardando con sorpresa il papa immobile, l’imperatore alzò di nuovo la voce: «Cari fratelli! So che fra voi ci sono di quelli per i quali le cose più preziose del cristianesimo sono la sua santa tradizione, i vecchi simboli, i cantici e le preghiere antiche, le icone e le cerimonie del culto. E in realtà che cosa vi può essere di più prezioso di questo per un’anima religiosa? Sappiate dunque, miei diletti, che oggi ho firmato lo statuto e fissata la dotazione di larghi mezzi per il museo universale dell’archeologia cristiana che verrà fondato nella nostra gloriosa città imperiale di Costantinopoli, con lo scopo di raccogliere, studiare e conservare tutti i monumenti dell’antichità ecclesiastica, principalmente quelli della Chiesa orientale; vi prego poi che domani eleggiate fra voi una commissione con l’incarico di studiare con me le misure da prendere per riavvicinare, quanto più possibile, i costumi e le usanze della vita attuale, alla tradizione e alle istituzioni della Santa Chiesa Ortodossa! Fratelli ortodossi! quelli che hanno in cuore questa mia volontà, quelli che per intimo sentimento mi possono chiamare loro vero capo e signore vengano qui sopra».
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L’imperatore prese di nuovo a parlare: «Mi sono noti fra voi, cari cristiani, anche coloro che nel cristianesimo apprezzano più di tutto la personale sicurezza in fatto di verità e la libera ricerca riguardo alla Scrittura. Non occorre che mi diffonda su quello che ne penso io. Voi sapete forse che fin dalla mia prima giovinezza ho scritto sulla critica biblica una voluminosa opera, che a quel tempo ha fatto un certo rumore e ha dato inizio alla mia notorietà. Ed ecco che probabilmente in ricordo di questo fatto l’università di Tubinga in questi giorni mi ha rivolto la richiesta di accettare la sua laurea ad honorem di dottore in teologia. Ho ordinato di rispondere che accettavo con gioia e gratitudine. E oggi, insieme al decreto per la fondazione del museo d’archeologia cristiana, ho firmato quello per la creazione di un istituto universale per la libera ricerca sulla Sacra Scrittura in tutte le sue parti e da tutti i punti di vista, nonché per lo studio di tutte le scienze ausiliarie, con un bilancio annuale di un milione e mezzo di marchi. Quelli di voi che hanno a cuore queste mie sincere disposizioni e che con puro sentimento possono riconoscermi per loro capo sovrano, li prego di venire qui, accanto al nuovo dottore in teologia». E le belle labbra del grande uomo si allungarono lievemente in uno strano sorriso.
Vladimir Sergeevič Solov’ëv, Il racconto dell’Anticristopassim
La scrittura del “Racconto dell’Anticristo” è avvolta in un quadro suggestivo: oltre a collocarsi alla fine di tre importanti dialoghi, nei quali l’Autore sovvertiva in extremis e rapidissimamente tutta la propria precedente impostazione “tolstojana”, essa vide la luce in occasione della Pasqua dell’anno 1900, e a distanza di poche settimane dalla morte di Solov’ëv. La sua visione apodittica, liberamente tenuta sulla falsariga di alcuni motivi dell’Apocalisse di san Giovanni, suona perciò tanto più seria e irreplicabile: scorrendo a posteriori le pagine definitive del grande Russo, pare di scorgere in filigrana i profili dei più grandi dittatori che hanno sinistramente costellato il secolo sulla soglia del quale egli morì.
Capovolgendo alcune categorie del messianismo giudaico medievale e moderno, diremmo perciò che anche l’Anticristo non sembri destinato a essere incarnato da un’unica figura storica, ma che piuttosto esso si manifesti a più riprese, e forse con caratteri di ambiguità sempre più accentuati. Senza pretesa di imbastire impossibili canonizzazioni negative, devo dire che questo discorso di Macron mi ha colpito e perfino inquietato per il grado di piacevolezza retorica, di seduzione intellettuale, di afflato spirituale. Empereur non solamente per la grandeur gallicana, ma pure per il déjà-vu costantiniano di un “vescovo di quelli di fuori” che prende la parola in una sinassi episcopale… quasi da pari a pari (e a tratti anche da primus inter pares), Macron mi ha impressionato per la pacata spavalderia con cui ha “spiegato la Chiesa” ai Vescovi di Francia, e facendolo ha di fatto descritto un sublime cristianesimo senza Cristo, al pari del terribile personaggio di Solov’ëv.
Tutto ha disposto, tutto ha concesso, tutto ha richiesto, sempre facendo capo a un martellante pronome di prima persona, di cui (im)modestamente il Presidente predicava “il compito” e “la missione”: questa sarebbe analoga a quella della Chiesa stessa, consistendo nel «carico dell’eredità dell’uomo e del mondo».
Mi ha un poco preoccupato anche leggere le reazioni entusiaste di alcuni cattolici in Francia, ma pure questo aspetto era previsto dalle pagine apocalittiche del Russo. Un piccolo gregge resterà, però, ad aver chiara la vera essenza del cristianesimo.

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