LA NOSTRA DEBOLEZZA ACCOLTA E BENEDETTA DALLE MANI DI CRISTO PER MOLTIPLICARLA NELL'AMORE
LA NOSTRA DEBOLEZZA ACCOLTA E BENEDETTA DALLE MANI DI CRISTO PER MOLTIPLICARLA NELL'AMORE
Gesù, che nel vangelo di oggi appare già risorto perché "passato all'altra riva", "alza gli occhi" e ci "vede" mentre ci avviciniamo a Lui. Con la "gran folla", abbiamo "visto i segni che ha compiuto" su tanti "infermi"; noi stessi abbiamo sperimentato i suoi "miracoli" nella nostra vita. Ci ha saziato mille volte, eppure la fame non ci dà tregua. Cerchiamo sicurezze, materiali e spirituali, per questo stiamo seguendo Gesù. E il capitolo 6 del vangelo di Giovanni, "mettendoci alla prova" con il miracolo e le parole che ne seguono, ci svela il senso più profondo della Pasqua, che non è soltanto "mangiare e saziarsi", ma infinitamente di più, perché l'Eucarestia è "fonte e apice di tutta la vita cristiana". Anche noi, con San Giovanni Paolo II, ci chiediamo se "gli Apostoli che presero parte all'Ultima Cena" avessero capito "il significato delle parole" con cui Gesù istituì il Sacramento dell'Eucarestia. Di certo non compresero immediatamente le parole sul Pane della Vita pronunciate nella sinagoga di Cafarnao. Si trattava di un Mistero troppo grande, inaudito: "come può costui darci la sua carne da mangiare?". Era un "discorso duro" perché inchiodava ogni uomo alla verità: senza l'unione intima e reale con Cristo nessuno ha la vita in sé. Anche se respira e fa molte cose è morto dentro. Per questo San Giovanni Paolo II scriveva nell'Enciclica che tutte le parole di Gesù sull'Eucarestia, "si sarebbero chiarite pienamente soltanto al termine del Triduo sacro. In quei giorni", infatti, "si inscrive il Mistero Pasquale; in essi si inscrive anche il Mistero dell'Eucarestia". Il Mistero decisivo per la salvezza dell'umanità è "come raccolto, anticipato, e «concentrato» per sempre nel dono eucaristico", con il quale "Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l'attualizzazione perenne del Mistero Pasquale. Con esso istituiva una misteriosa «contemporaneità» tra quel Triduum e lo scorrere di tutti i secoli". Ciò significa che, "nell'evento pasquale e nell'Eucaristia che lo attualizza nei secoli", vi è "una «capienza» davvero enorme, nella quale l'intera storia è contenuta, come destinataria della grazia della redenzione" (Ecclesia de Eucarestia). Compresa la storia difficile nella quale siamo chiamati vivere, con i suoi dolori, i dubbi, le ansie e i peccati. Per questo, ogni giorno, anche oggi, è "vicina la Pasqua"; Gesù "sa quello che sta per fare" per noi, estendere cioè la "capienza" della sua Pasqua perché "contenga" anche i nostri passi e le nostre cadute, e così fare di ogni nostro giorno il "destinatario" della sua salvezza. Nella nostra storia sperimentiamo innanzitutto il bisogno reale di nutrirci per poter vivere, non diverso da quello della "grande folla". Ognuno sa di che cosa avrebbe bisogno: un posto di lavoro, uno stipendio o una pensione migliore, la salute, una casa, una macchina nuova che questa ormai è pure pericolosa, qualche giorno di ferie. O forse qualcosa di spirituale: un po' di pazienza e tenerezza, l'umiltà che tenga a bada questa superbia che non riesco a frenare, la carità verso i fratelli, la purezza e la castità, la libertà negli affetti. Insomma abbiamo fame, e Gesù lo sa, perché ci "vede" affannati e stremati "venire" a Lui. Ma, invece di prendere la bacchetta magica e saziarci con ciò di cui abbiamo bisogno, ci rivolge a bruciapelo la stessa domanda fatta quel giorno a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?". La rivolge a Filippo mettendo l'accento sui bisogni della folla, ma è "per mettere alla prova" il suo cuore, e aiutarlo a scoprire che sono gli stessi bisogni che ha anche lui. Ed è una domanda rivolta oggi alla Chiesa, ai pastori e a ogni cristiano, agli sposi e ai genitori, perché imparino a riconoscere i propri bisogni in quelli del mondo. Solo così potremo sperimentare in noi stessi la "contemporaneità" e il potere del Mistero Pasquale del Signore che siamo chiamati ad annunciare al mondo e a chi ci è accanto. Solo così non ci crederemo diversi e migliori, "già ipocritamente sazi"...
Il Messia atteso è Dio, l'infinito fattosi prossimo, l’origine d’ogni vita. Raccogliendo tra le mani quel “cinque” e quel “due”, nel breve istante d’una Parola benedicente, li riconduce alla pienezza originaria, allo splendore del compimento, deponendoli nella successione che li lega all'infinito. Quei due numeri che, a una prima e piatta visione, non dicono altro che un contenuto definito, circoscritto e tragicamente limitato, nelle mani e nelle parole di Gesù, scavalcano il limite imposto dalla ragione carnale e acquistano il loro significato autentico. Sono numeri, segni di una realtà ben visibile, eppure aperta, misteriosamente, all’infinito. "Cinque pani e due pesci" sfamano e saziano una gran moltitudine, e avanzano per sfamare e saziare ancora, da quel pomeriggio sulle rive del Lago di Galilea sino a questo nostro giorno, sino alla fine del mondo, e più in là, sino all’eternità. Così è di ogni numero che descrive e sembra limitare le nostre esistenze, la storia stessa del mondo. L’età, lo stipendio e il conto in banca, l’altezza e il peso, la forza, i metri cubi delle nostre case, gli anni d’una amicizia, di un amore, le distanze, i progetti, le mura che ci stringono e sembrano frustrarci e tenerci schiavi, e la chimica dei sentimenti, degli umori, delle speranze e delle delusioni, i valori alterati che sbucano dalle analisi, le parole che ci diciamo per contraddirle in un minuto, il carattere e i difetti, perfino i peccati! Ogni numero che fa di noi quello che siamo, la matematica che, fredda, sembra sospingere le nostre storie verso destini ineluttabili, attende invece una mano e una Parola, quelle dell’Autore di ogni matematica e di ogni scienza, l'Architetto di ogni vita. "Attualizzando il Mistero Pasquale" che ha distrutto il limite della morte che gravava sulla storia, le mani di Gesù creano e ricreano liberando ogni centimetro della nostra vita, dei nostri pensieri e dei nostri gesti, dalla prigione del peccato che li soffocava nell'egoismo e nell'orgoglio. Quelle mani e quelle parole che hanno compiuto il Miracolo che profetizzava la Pasqua, si fanno prossime a ciascuno di noi attraverso le mani e le parole dei suoi Apostoli. E’ la Chiesa che, da duemila anni, si piega sull’umanità, ne riconosce, nascosto, il seme divino impresso dal Creatore, e, per la Parola e il Sacramento, lo riconduce allo splendore del compimento. Ogni istante, ogni numero della nostra vita, anche quelli negativi, grigi, che sembra ci stiano schiacciando, non sono altro che i segni d’una porta dischiusa nell’attesa della Chiesa che, annunciando e celebrando il Mistero Pasquale del Signore, prende la nostra vita per moltiplicarla nell'amore che sa andare oltre la paura e la sofferenza. Ogni grumo dell'esistenza è gravido d’eterno. Ma solo l’incontro esistenziale, concreto, autentico con il Signore rende possibile quello che tutti speriamo.
Cosa posso fare allora per vedere trasformata in pienezza questa mia fame, il desiderio che mio figlio guarisca e la speranza di compiere comunque la volontà di Dio? Cosa fare perché le mie incoerenze, i difetti, le cadute siano trasfigurate e non mi schiaccino più, e possano diventare invece occasioni e strumenti per dare da mangiare a chi mi è accanto? Tranquillo, non devi fare nulla di speciale, solo obbedire. Come gli apostoli che hanno consegnato a Cristo quel poco che, senza di Lui, non è nulla "per sfamare tanta gente". E obbedire alla Chiesa che vede sotto i tuoi piedi "la molta erba" immagine dei pascoli preparati da Dio per noi nella nostra storia, nei nostri "luoghi". Ascoltare e fare come ci dice la Chiesa, dunque, e "sederci" laddove ci troviamo, perché Dio lo ha già preparato come un giardino dove pregustare le delizie del Paradiso. Ma dai, dovrei sedermi invece di darmi da fare? Sì, obbedisci e "siediti", perché se non sperimenti che Cristo può moltiplicare quello che sei, non vedrai la tua vita compiuta; se non sperimenti che la Vita che sfama e sazia non si "compra" in nessun "dove" ma è Lui stesso che si dona a noi, resterai schiacciato nelle tue meschinità. Solo consegnandoti totalmente a Cristo e umiliandoti rinnegando te stesso, infatti, vedrai moltiplicata in te la vita di Cristo che si fa carne della carne, sangue del tuo sangue. Allora potrai "dare da mangiare" a chi ti è accanto, amando nell'amore che ti nutre e sazia: potrai perdonare e non resistere al male, offrire l'altra guancia del tuo onore e rispettare tua moglie senza esigere che ti sazi con il suo corpo; saprai donarti perché è così che Cristo ha salvato te, e se il suo amore invade il tuo essere, esso ti catapulterà verso l'altro senza neanche accorgertene. Perché solo "chi perde la sua vita la ritroverà" moltiplicata, solo chi sfama gli altri con la sua vita sperimenterà cosa significa la pienezza, la gioia, l'autentica sazietà! Così la Chiesa, e tutti noi in essa, saprà donare se stessa annunciando credibilmente il Vangelo, i genitori sapranno trasmettere la fede ai loro figli, facendo "sedere" tutti alla mensa imbandita da Cristo, dove offrire, in ogni circostanza, il poco, pochissimo che tutti abbiamo alle sue mani. Tuo marito è superficiale, arido, assiduo a poltrona, pantofole e televisione? Bene, prendi su di te questa sua attitudine allo svicolamento dalle responsabilità e consegnala a Cristo, la vedrai moltiplicata in uno zelo mai visto... Tuo figlio è pigro, incapace di studiare e concentrarsi? Bene, prendi su di te questa debolezza e dalla a Cristo, l'unico capace di tirare fuori da ciascuno il meglio, ovvero il seme di vita eterna seminato dal Padre.
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