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sabato 7 aprile 2018


αποφθεγμα Apoftegma

Noi li conosciamo, sono tanti, e sono molto preziosi, 
perché questo voler toccare, voler vedere, 
tutto questo dice la serietà con cui si tratta la realtà, 
la conoscenza della realtà. 
E questi sono pronti, 
se un giorno Gesù viene e si presenta loro, 
se mostra le sue ferite, le sue mani, il suo costato, 
allora sono pronti a dire: Mio Signore e mio Dio!

Giovanni Paolo II

NELLA COMUNITA' CRISTIANA POSSIAMO TOCCARE LE FERITE DI CRISTO E IMPARARE A CREDERE ALLA SUA VITTORIA SULLA MORTE 
E’ passata una settimana dal giorno di Pasqua, ma forse ci troviamo come Tommaso, ancora sconvolti perché, nonostante i fratelli, i pastori e i catechisti ci abbiano annunciato di aver visto il Signore risorto, nel nostro intimo permangono i dubbi.
Bene, è arrivato il momento di affrontarli, senza reticenze. Accettiamo che non siamo ancora giunti alla fede adulta, quella che sa vedere in ogni circostanza della vita l’occasione per fare Pasqua con Cristo, per passare da se stessi agli altri, in un amore senza condizioni.
Accettiamo che siamo perfettamente d’accordo con Tommaso, e oggi, guardando alla nostra vita a una settimana di distanza dal giorno di Pasqua, possiamo ripetere con lui: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. Pensi che non sia così? Vediamo allora che cosa accadde a Tommaso.
Di Gesù egli aveva un’esperienza più viva e familiare delle altre, un ricordo più fresco, tanto intenso e struggente da fargli sanguinare il cuore dal dolore. Aveva l’esperienza delle sue ferite: lo aveva visto mentre lo inchiodavano alla croce; lo aveva contemplato, forse impaurito e da lontano, mentre pendeva agonizzante da quel legno. Probabilmente le aveva anche toccate, accarezzate, baciate; forse aveva intinto il lembo del suo mantello nel loro sangue.
Insomma, per Tommaso Gesù era il suo Maestro crocifisso; per credere aveva bisogno di quel segno concreto, l’unico che poteva riconoscere. Di più: Tommaso era chiamato “Didimo”, che significa “gemello”. Il suo nome infatti deriva dalla radice ebraica ta’am, che significa “appaiato, gemello”: Tommaso appare come il gemello di Gesùimmagine di una relazione particolare, intima, esclusiva.Un gemello nel cui cuore risuona sempre l’eco della presenza del proprio fratello. 
Secondo la scienza quella tra gemelli è una comunicazione stretta, totale, che inizia a livello fetale, con reciproche sollecitazioni e risposte che proseguiranno per tutta la vita. Tommaso era legato a Gesù da un unico destino, un’affinità e un sentire comune che solo i gemelli possono sperimentare. La scomparsa di Gesù per lui era stata devastante, una parte di sé era scesa nel sepolcro con il suo Gemello. In questa prospettiva si comprende l’esigenza carnale di Tommaso, quella condizione posta per poter credere. Doveva toccare le ferite, non solo per incredulità, ma anche e soprattutto per affinità, doveva avere la certezza che colui che gli altri apostoli avevano visto fosse proprio il suo Gemello. Tommaso stava cercando, come tutti i gemelli quando si separano dal fratello, la parte di sé che gli era venuta meno! Cercava un segno nelle piaghe di Gesù, perché cercava un senso alle sue ferite, al dolore della sua vita: infatti, “colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli… Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe ” (cfr. Eb. 2, 11-12). In quelle ferite erano l’uno immagine dell’altro, il dolore dell’uno era stato il dolore dell’altro; Tommaso non poteva riposare, era alla ricerca del suo Gemello, e la notizia che non fosse più nella tomba lo aveva sconvolto.
Forse era andato a cercarlo alla tomba, come la Maddalena; forse non si rassegnava a vedere la carne della propria carne scendere e marcire in un sepolcro; forse Tommaso stava rovistando tra le speranze deluse, i progetti restati in sospeso, le zone oscure del passato dove aveva sbagliato qualcosa; forse cercava la pace tra i sensi di colpa mai sopiti, tra le angosce di quella relazione così importante ma scivolata via senza poterci fare nulla. O forse voleva, semplicemente, restare solo a piangere il suo dolore.
Ma la sua relazione con il Maestro era stata anche qualcosa di più; lo aveva sentito vibrare nell’anima il suo amore soprannaturale, ne aveva percepito la tenerezza, e questa memoria mai sopita, come quella del figlio prodigo, lo ha spinto a tornare nel luogo dove ancora non lo aveva cercato. Qualcosa lo aveva attirato nella stanza dove aveva ricevuto dalle sue mani il suo corpo e il suo sangue; in quell’intimità che solo si sperimenta nella comunione con i fratelli.
Non è la nostra situazione di oggi? Pensiamo e facciamo cose, anche nell'ambito religioso, ma la relazione con Gesù resta sullo sfondo, Lui c’è sì, ma… Ma non è l’Amato del nostro cuore, non lo vediamo, e per questo viviamo proprio come un gemello che non vede suo fratello da decenni, nello struggimento per l’assenza di una parte di noi senza la quale non siamo noi.
Il rapporto unico che li legava faceva risuonare nell'intimo di Tommaso il mistero di quanto accaduto, ma aveva la necessità di riannodare la sua esistenza a quella del suo Gemello. Quella condizione posta sulla soglia della fede costituiva il grido estremo dell’amore che, attraverso la carne, giungeva al cuore; Tommaso non aveva paura di essere attratto nel mistero della Vita nuova che aveva coinvolto Gesù, voleva solo riunirsi a quella carne nella quale era stato creato, riunire quello che la morte aveva separato.

Una fede sperimentabile nella carne, ma che va oltre la carne, come quella imparata da San Paolo. E’ questa la parola del vangelo di oggi: Gesù oltrepassa la porta sprangata delle paure e dei dubbi, il velo ostinato che copre occhi, mente e cuore, e impedisce di riconoscere, oltre le apparenze, nelle pieghe della carne e della storia, la sua presenza certa e amorevole. Dio è. Dio è oltre la morte, oltre il peccato, oltre la contingenza che ci atterrisce. Ma, per riconoscerlo, occorre un supplemento d’anima, uno sguardo diverso, una testimonianza piantata nel cuore.
Occorre una rivelazione celeste, il soffio dello Spirito Santo a sigillare nel cuore ciò che appartiene ad una dimensione che va oltre la semplice umanità. Ecco quello che è mancato a Tommaso, ciò di cui, la sua povera carne piena di esigenza, aveva bisogno, come la nostra oggi. Abbiamo bisogno della fede adulta, che va al di là del sentimento, retta e incorruttibile.
Ma la fede si impara. Per questo Gesù non rimprovera Tommaso, ma lo invita a porsi in cammino, a diventare un “credente”, ad imparare la fede adulta e autentica, su cui radicare la propria vita.
Tommaso è una Parola meravigliosa per tutti noi; il suo cammino approda alla più bella professione di fede – Mio Signore e mio Dio! Riconoscendo il suo Gemello, Tommaso apre gli occhi sulla identità divina di Gesù; in essa scoprirà anche la sua propria identità, gemello di Dio, figlio nel Figlio! La carne ha spalancato a Tommaso la via del Cielo; per questo Gesù gli dice: “E non diventare incredulo, ma diventa credente”: “Quando Gesù sottopone le sue ferite alla “prova empirica” richiesta da Tommaso, accompagna questa offerta con un’esortazione: “E non diventare incredulo, ma diventa (γίνου) credente”. Significa che Tommaso non è ancora né l’uno né l’altro. Non è ancora incredulo, ma non è nemmeno ancora un credente. La versione CEI, come molte altre, traduce invece: “E non essere incredulo, ma credente”. Ora, nel testo originale, il verbo “diventare” suggerisce l’idea di dinamismo, di un cambiamento provocato dall’incontro col Signore vivo.
Senza l’incontro con una realtà vivente non si può cominciare a credere. Solo dopo che ha visto Gesù vivo Tommaso può cominciare a diventare “credente”. Invece la versione inesatta, che va per la maggiore, sostituendo il verbo essere al verbo diventare, elimina la percezione di tale movimento, e sembra quasi sottintendere che la fede consiste in una decisione da prendere a priori, un moto originario dello spirito umano. E’ un totale rovesciamento.
Tommaso, anche lui, vede Gesù e allora, sulla base di questa esperienza, è invitato a rompere gli indugi e a diventare credente. Se al diventare si sostituisce l’essere, sembra quasi che a Tommaso sia richiesta una fede preliminare, che sola gli permetterebbe di “vedere” Gesù e accostarsi alle sue piaghe. Come vuole l’idealismo per cui è la fede a creare la realtà da credere” (Ignace de La Potterie). I segni delle ferite sono quelli offerti da Gesù anche ai discepoli una settimana prima; senza i segni del suo amore non si può credere, sarebbe un salto nel vuoto che non ha nulla a che vedere con la fede cristiana. La Chiesa, infatti, esiste proprio per essere segno e sacramento universale di salvezza. 
Anche noi, spesso, dimentichiamo che l’unico luogo dove ricevere la virtù soprannaturale della fede, dove toccare e vedere Cristo risorto, dove sperimentare il suo amore più forte della morte, è la Chiesa, la comunità cristiana. Perché un cristiano è un gemello nel cui cuore risuona sempre l’eco della presenza del proprio fratello, anch’egli a sua volta gemello di Cristo, come ciascuno di noi. Per questo le sue ferite sono le nostre, e la fede non si ferma ad un evento registrato dai sensi, ma va al di là, alla presenza misteriosa eppure concreta e reale, della sua vittoria sulla morte, della sua vita dentro la nostra vita. 

Nella comunità dove solo possiamo “nascere da Dio”, che significa appunto “credere che Gesù è il Cristo”, sperimentare nella propria vita che Lui è il Salvatore, l’Unto di Dio, il Signore. Gesù, infatti, non dice che la fede è un salto nel buio. Altrimenti, perché avrebbe fondato la Chiesa? Essa è, nel mondo, proprio il suo corpo risorto offerto come segno perché il mondo possa credere. In essa di nuovo Gesù si piega alle esigenze della carne, con un amore che sconvolge aspettando le settimane delle nostre passioni, con la pazienza misericordiosa di chi sa aspettare che le delusioni scavino in noi e ci rendano urgentemente bisognosi di riposo e certezze che superino la carne.
Gesù scende ancora laddove la carne ci schiaccia, e ci cerca, come ha cercato Tommaso, che non ha mai considerato un eretico allontanatosi dalla comunione, proprio nel Cenacolo viene a cercarlo; torna dopo una settimana, come torna ogni giorno nel quale la Chiesa fa memoria del suo Mistero Pasquale, proprio laddove, esausto, aveva esaurito ogni sua ricerca; Gesù scende per incontrarci laddove la carne fallisce e, solo, può aprirsi alla novità assoluta della trascendenza: Gesù scende per portarci il Cielo sulla terra dove siamo caduti, gemelli inconsolabili e affamati d’amore, chiusi nell’egoismo di ogni rapporto che cerca la realizzazione e l’appagamento di se stesso in tutto e in tutti, per liberarci dalle catene della carne e fare di essa il veicolo per amare e aprirsi agli altri, gratuitamente e senza preferenze. 
I segni che Gesù ha mostrato agli altri apostoli una settimana prima, i sacramenti della sua risurrezione, sono ora davanti a Tommaso. Ma, soli, non bastano. E’ necessario ricevere lo Spirito Santo, come lo era stato per i suoi fratelli,  la Rivelazione del Padre che ha fatto beato Pietro, quel supplemento d’anima che libera lo sguardo oltre le ferite nella carne e induce ad oltrepassare le porte della sola ragione, spesso esigente di prove e conferme. E’ l’amore di Dio, l’amore di Cristo sigillato dallo Spirito Santo, lo stesso che ha fatto conoscere Cristo a San Paolo non più secondo la carne, e lo ha colmato della speranza che non delude.
Come gli altri apostoli infatti, Tommaso doveva ricevere il dono celeste dello Spirito Santo che lo introducesse in quella dinamica nuova della comunione, della fede ecclesiale che unisce indissolubilmente tutti i gemelli celesti del Signore risorto. Dall’amore tra i fratelli ogni uomo potrà riconoscere che Dio esiste, che ha mandato il suo Figlio non per condannarlo, ma per salvarlo. L’amore che perdona e si fa carico dei pesi e dei peccati dei fratelli, perché “chi ama Colui che ha generato, ama anche chi da Lui è stato generato”. Nella Chiesa i fratelli “vincono il mondo con la loro fede” che si appoggia ogni istante alla vittoria di Cristo sulla morte: la fede che si esprime in gesti e segni concreti che rendono visibile la vita eterna che ha preso dimora in loro, in virtù della quale i rinati nel Battesimo sono parte del Corpo vivo di Cristo risorto.
Tommaso, amato e attirato nelle pieghe del suo Gemello presenti nella carne dei fratelli, ha visto e toccato in esse le sue stesse piaghe luminose, gloriose, trasfigurate. In Gesù risorto ha visto la sua vita risuscitata, e ha potuto entrare nella comunione della Chiesa, la sua ricerca aveva incontrato il suo gemello. Ora aveva intrapreso il cammino del credente, quello nella notte oscura dei santi, senza consolazioni, senza prove carnali, con la sola certezza sigillata istante dopo istante, quella della fede, di un amore che mai ci abbandona.

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