OMELIA ALLA SANTA MESSA DEL GIORNO DI PASQUA
Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito, Domenica 1° aprile 2018
Carissimi fratelli e sorelle, Buona Pasqua!
Con tutta la Chiesa oggi celebriamo la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte: il nucleo essenziale, centrale della nostra fede!
Da questa notte, dopo aver contemplato la croce nel Venerdì Santo, e aver vissuto ieri il silenzio del Sabato Santo, noi celebriamo come la sconfitta della croce e del sepolcro sigillato non sono state le ultime parole proferite da Dio su Gesù. No, Gesù è risorto e attraverso Lui, il Padre, parla a noi.
Forse vi ricorderete la parabola del ricco epulone che – tutto concentrato in un amore unicamente centrato verso se stesso – non aveva amato e usato carità al povero Lazzaro che ogni giorno mendicava davanti alla sua porta. Vi ricorderete come fossero poi morti entrambi e il ricco fosse finito tra le fiamme e i tormenti mentre il povero Lazzaro – che significa “Dio aiuta” – fosse andato nel seno di Abramo, in Paradiso. Vi ricorderete poi la supplica del ricco epulone: Padre Abramo, manda almeno Lazzaro a dire ai miei fratelli che c’è una vita dopo la morte affinché vivano nell’amore che io non ho sperimentato … e si convertano, cambino vita, cambino atteggiamento verso il prossimo!
Ebbene, in Cristo, il vero Lazzaro è venuto. Oggi noi lo celebriamo. Lui, Risorto e vivo, anche oggi è qui in mezzo a noi e ci dice: questa vita non è tutto. Esiste una eternità. L’anima e il corpo dell’uomo sono destinati all’eternità, noi risorgeremo! Dopo la morte saremo tutti posti immediatamente alla fine della storia e lì risorgeremo. Prima risorgerà l’anima che immortale continuerà a vivere, sarà giudicata su come avremo o non avremo amato e poi anche i nostri corpi risusciteranno ma in una dimensione del tempo, però, dove è difficile distinguere il prima e il poi come facciamo e intendiamo noi. Nella dimensione dell’eternità, là dove spazio e tempo intesi all’umana maniera non esisteranno più.
E questa certezza dell’eternità beata che ci attende grazie a Cristo Risorto non deve farci fuggire dal mondo, ma deve essere proprio lei a dare alla vita serietà, libertà, speranza!
Quella speranza che si è fatta certezza, – la certezza che Cristo non è morto ma è risorto e quindi anche noi, uniti a Lui grazie al Battesimo risorgeremo – la certezza fonte di speranza che ha riempito la mattina di Pasqua.
Il Vangelo di stamane, stranamente, si ferma al versetto nono del ventesimo capitolo di Giovanni. Se avessimo proseguito nella lettura avremmo ascoltato il racconto della prima apparizione del Risorto a Maria di Magdala. E invece no.
Oggi ci viene chiesto di credere alla risurrezione di Cristo ma senza prove, senza apparizioni speciali, solo con la fede.
In fondo a Maria di Magdala è apparso il Signore Risorto, si è sentita chiamare per nome da Lui, ha visto il Signore e lo ha potuto ascoltare così come avverrà per i due discepoli di Emmaus, per i discepoli riuniti nel cenacolo, per Tommaso otto giorni dopo la Pasqua, e così via … Certo le apparizioni del Risorto confermeranno la nostra fede. Ma questa mattina vogliamo guardare al Risorto con gli occhi che guardarono il sepolcro vuoto e con la fede del discepolo amato, di Giovanni, che ha creduto anche se non ha visto; che per credere gli sono bastati dei segni che ha saputo vedere leggendoli alla luce della Parola di Dio, aprendo l’orecchio alla testimonianza delle Scritture, quelle Scritture che fino ad ora, fino all’ingresso nel sepolcro vuoto, dove vedendo i teli posati là, i teli che avevano avvolto il corpo morto del Signore e il sudario avvolto in un luogo a parte, ricordandosi delle Scritture “vide e credette”, cominciò a capire, insieme a Pietro, cosa era avvenuto: il Signore era Risorto come aveva predetto!
Cari amici, anche noi, a Pasqua, in ogni Pasqua, in questa Pasqua dobbiamo proporci di ascoltare per vedere, e per vedere quelli che – per alcuni – sembrerebbero segni di un rapimento del corpo di Cristo dal sepolcro, quali segni della Risurrezione. Occorre imparare – a Pasqua – a guardare la realtà in modo nuovo, diverso. A vedere con gli occhi della fede, con lo sguardo dei personaggi del Vangelo di oggi.
Nel Vangelo di questa mattina di Pasqua tutti i personaggi vedono ma con un modo di vedere assai differente da un modo all’altro.
Maria vede “che la pietra era stata tolta dal sepolcro”. Il suo vedere nella versione greca del Vangelo è descritto con il verbo blepo che indica il vedere degli occhi, il vedere fisico.
Anche Pietro, giunto al sepolcro, vede. Nel Vangelo abbiamo letto: “osservò i teli posati là” (Gv 20,6). Il suo è un vedere più profondo. In greco è descritto con il verbo theoreo, da cui deriva la parola “teoria”. È un vedere più riflessivo, che ragiona, che indaga, che interroga. È un vedere, potremmo dire, con gli occhi e con la testa. Pietro vede, ragiona, ma ancora non capisce.
Per credere, infatti, non basta vedere e ragionare.
Infine è il discepolo amato a vedere: “Vide e credette” (Gv 20,8)! Qui il verbo vedere in greco è scritto orao. È un vedere più profondo di quello degli occhi o della ragione. È il vedere del cuore!
Intendiamoci. Non un sentimentalismo o un vedere emotivo ma di chi ha continuato a dimorare nell’amore del Signore e a lasciarsi penetrare da questo amore; di chi, come ci ha mostrato l’intero racconto della Passione, ha continuato a seguire il Maestro fino ai piedi della croce perché ha continuato ad amare. È il vedere di chi custodisce la parola di Gesù e si lascia da essa custodire, rimanendo così nel Suo amore.
In fondo, sia Maria, sia Pietro sia questo discepolo vedono le stesse cose: vedono dei segni ma è diverso il loro modo di guardare.
Attenzione, però: questi tre verbi non si escludono a vicenda. Tutti sono necessari e ciascuno deve lasciarsi accogliere dal verbo successivo per giungere a un livello più profondo, più maturo di riflessione.
Ciò che si vede con gli occhi deve suscitare una riflessione, deve spingere a ragionare, interrogarsi, indagare. Questa ricerca però non deve rimanere solo teoria, ragionamento ma deve toccare la nostra interiorità, il nostro intimo, le zone più profonde del nostro essere là dove Dio abita, dove il suo Spirito ci offre una percezione diversa della realtà, ci attrae e ci convince. La Sua è una persuasione interiore che non sappiamo bene da dove venga, ma che comunque avvertiamo come più convincente e affidabile di ogni altra verità alla quale possiamo giungere confidando soltanto nei nostri sforzi.
E così, dal congiungersi di questi tre verbi, da questi tre modi di vedere, nasce la fede: si vede e si crede.
Questa mattina, con il discepolo amato – Giovanni – al Signore Risorto rinnovando la nostra professione di fede vogliamo dire che lo amiamo ma, ancor prima, che ci sentiamo amati da un amore smisurato, l’amore che vince il male, il peccato, la morte. Gli diciamo che desideriamo rimanere in questo amore che Lui ci dona e dove tutto diventa segno che ci rimanda all’Amato. E così, la Parola che abbiamo ascoltato, il pane che spezzeremo tra poco in Sua memoria, il nostro essere radunati nella gioia della Pasqua, la nostra amicizia che nasce dal saperci tutti destinati al perdono e alla vita eterna, la luce del cero pasquale che ha rischiarato la notte appena trascorsa, tutto diventa segno della presenza di Cristo vivo e risorto in mezzo a noi.
Di quella presenza affidabile che noi amiamo. Che sentiamo che ci ama e che ci conduce a vedere e a credere. E ci spinge a spargere segni di vita risorta in mezzo al mondo, segni di amore, riflessi terreni dell’amore che non muore, dell’amore di chi non ci abbandona nel male e nella morte, segni che chiediamo possano contagiare il nostro mondo inquieto e non in pace. Amen.
† Mauro Parmeggiani
Amministratore Apostolico
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