4 OTTOBRE SAN FRANCESCO D'ASSISI
Chi, prendendo oggi seriamente in mano la propria vita, proprio quella che abbiamo consegnato al Signore, obbedendo a una chiamata - al presbiterato, al matrimonio o alla vita religiosa, non importa - non si sente impaurito, oppresso e affaticato? Un “pitocco”, come dice la parola greca originale del Vangelo. Chi non si sente un nullatenente, precario, debole, umiliato? Ora che i sogni e le prospettive degli inizi sembrano sfuggite via; e i figli che crescono e le loro sofferenze come una spada trafiggono la tua anima di padre e di madre; e i dubbi, e il timore di averli ingannati trasmettendogli la fede così radicalmente da strappargli di dosso tutto il mondo in un sol colpo; e che forse si è sbagliato tutto, esagerando e puntando troppo in alto da precipitare giù, e le grazie sembrano non valere a compensare le terribili esigenze della sequela di Cristo sine glossa; li guardi i tuoi figli, li hai condotti a seguire le tue proprie orme nell'abbandono totale alla volontà di Dio, ed è deserto, e la gioia sfilata dal cuore da chissà chi; ora che ti guardi indietro e ti sembra di aver buttato gli anni migliori e le energie della giovinezza nell'annuncio di un Vangelo che non interessa nessuno; e il celibato e la sua solitudine, e non è solo il grido della carne e delle sue voglie, è qualcosa di più profondo, la solitudine del rifiuto, e spesso è doloroso quanto mai questo rifiuto, quello impresso nei volti dei fratelli, degli stessi pastori; e la melma degli affetti che cercano di abbrancarti e tirarti dentro come sabbie mobili, il deserto delle intuizioni incomprese e delle tante parole predicate e volate via come foglie secche cadute da un albero. E anni spesi e nessun raccolto, tanti abbozzi e nessuna costruzione, e ti volti e la tua vita e le fatiche della missione sembrano una di quelle case in costruzione che son giunte al tetto, e la bandiera sventola nel cielo, ma son rimaste un povero scheletro di cemento, niente porte e finestre, niente arredi e letti, e tavoli e sedie ad accogliere vita e futuro. La solitudine del fallimento, come una croce piantata fuori dalla città, lontano dalla vita che sembra muoversi e pulsare. Ora che nulla ti interessa più, che gli anni pesano come fardelli, ed ogni giorno a batterti sulla spalla come il ricordo lancinante di una speranza abortita; ora che trema tutto, che tutto è in pericolo, che tenti di gettare lo sguardo più in là e non riesci a vedere a più di pochi centimetri, e quel che vedi è solo nebbia fitta. Ora che tutto è peso, fatica e oppressione sul cuore, la mente, le braccia e le gambe. Ora che è tutto questo, e molto di più, ora sei piccolo, infinitamente piccolo.
E' la notte del Moria, dove riconsegnare a Dio Isacco, per riaverlo purificato da ogni idolatria, ed accoglierlo e custodirlo e amarlo come un dono affidato. E' la notte di Giacobbe al guado di Jabbok, dove ha sperimentato che l'unica forza è la debolezza appoggiata in Dio; è quella di Giobbe condotto per mano da Dio a riconoscere la propria piccolezza, dove tapparsi la bocca per riconoscere che "prima ti conoscevo per sentito dire, ora i miei occhi ti vedono"; è la notte di Pietro, irrorata dalle lacrime del tradimento, la più dura, dove conoscere, come il Popolo nel deserto, la propria totale incapacità, il mare che separa il dire dal fare. E' la notte dove sperimentare il suo amore, l'unico che non delude, non abbandona, non giudica. La notte che ci è data per imparare a non conoscere più nessuno secondo la carne, neanche Cristo, perchè è Lui che viene a conoscere noi, a unirci a Lui, a farci carne della sua carne, a farci suoi sino al fondo più buio della nostra anima; è Lui che imprime il suo giogo, la Croce della sua offerta incondizionata, per portarlo con noi, per noi, in noi.
Non v'è altro riposo che la Terra promessa, la certezza del suo amore, che solo Lui basta davvero; la Terra che è immagine del Regno, le primizie del Cielo qui ed ora, per noi, per i nostri figli, per ogni uomo raggiunto dai nostri stessi passi. La Terra che è Cristo: "Gli ebrei pensano che la terra santa sia il suolo della Giudea, mentre è da intendersi come la carne del Signore, la quale, da ora in poi, è terra santa per coloro che si sono rivestiti di Cristo, veramente santa per l'inabitazione dello Spirito Santo". (Tertulliano, Trattato sulla risurrezione). In Lui la notte oscura è trasformata nella notte del Getsemani, dove, trascinati dalla sua obbedienza, consegnare la nostra vita: le sue stimmate in noi, il segno che ci fa suoi, attirati nella sua volontà che vince la nostra carne e la vincola in un aquedà d'amore. Le stimmate che ci inchiodano la carne, la spada che ci trafigge l'anima, sono puro amore riversato in noi: esse impregnano ogni fibra del nostro essere dell'unica certezza, e, dal ripiegamento affaticato e oppresso su noi stessi, ci spingono ad offrirci, a donarci senza riserve. Caritas Christi urget nos! L'amore di Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti, perchè nessuno viva più per se stesso. In questo amore tutto diviene leggero, sì leggero: "L'amore, in effetti, rende assolutamente facili e riduce quasi a nulla le cose più spaventose ed orrende. Quanto dunque la carità rende più sicuro e più facile il cammino verso l'acquisto della vera felicità, mentre la cupidigia, per quanto lo può, rende facile il cammino alla miseria! le cose che sono aspre per coloro che provano affanno, si addolciscono per quelli che amano" (S. Agostino, Discorso 70).
Ecco il segreto della notte, delle stimmate, della nostra storia, il rovesciamento d'ogni criterio: in questa notte è il suo amore che ci spinge da dentro ad uscire, a consegnarci, a vivere questo istante così doloroso in un'offerta di soave odore. E' questa la missione, è questo il successo e la pienezza della vita, proprio quando e dove essa sembra perduta irrimediabilmente.
E' la notte del Moria, dove riconsegnare a Dio Isacco, per riaverlo purificato da ogni idolatria, ed accoglierlo e custodirlo e amarlo come un dono affidato. E' la notte di Giacobbe al guado di Jabbok, dove ha sperimentato che l'unica forza è la debolezza appoggiata in Dio; è quella di Giobbe condotto per mano da Dio a riconoscere la propria piccolezza, dove tapparsi la bocca per riconoscere che "prima ti conoscevo per sentito dire, ora i miei occhi ti vedono"; è la notte di Pietro, irrorata dalle lacrime del tradimento, la più dura, dove conoscere, come il Popolo nel deserto, la propria totale incapacità, il mare che separa il dire dal fare. E' la notte dove sperimentare il suo amore, l'unico che non delude, non abbandona, non giudica. La notte che ci è data per imparare a non conoscere più nessuno secondo la carne, neanche Cristo, perchè è Lui che viene a conoscere noi, a unirci a Lui, a farci carne della sua carne, a farci suoi sino al fondo più buio della nostra anima; è Lui che imprime il suo giogo, la Croce della sua offerta incondizionata, per portarlo con noi, per noi, in noi.
Non v'è altro riposo che la Terra promessa, la certezza del suo amore, che solo Lui basta davvero; la Terra che è immagine del Regno, le primizie del Cielo qui ed ora, per noi, per i nostri figli, per ogni uomo raggiunto dai nostri stessi passi. La Terra che è Cristo: "Gli ebrei pensano che la terra santa sia il suolo della Giudea, mentre è da intendersi come la carne del Signore, la quale, da ora in poi, è terra santa per coloro che si sono rivestiti di Cristo, veramente santa per l'inabitazione dello Spirito Santo". (Tertulliano, Trattato sulla risurrezione). In Lui la notte oscura è trasformata nella notte del Getsemani, dove, trascinati dalla sua obbedienza, consegnare la nostra vita: le sue stimmate in noi, il segno che ci fa suoi, attirati nella sua volontà che vince la nostra carne e la vincola in un aquedà d'amore. Le stimmate che ci inchiodano la carne, la spada che ci trafigge l'anima, sono puro amore riversato in noi: esse impregnano ogni fibra del nostro essere dell'unica certezza, e, dal ripiegamento affaticato e oppresso su noi stessi, ci spingono ad offrirci, a donarci senza riserve. Caritas Christi urget nos! L'amore di Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti, perchè nessuno viva più per se stesso. In questo amore tutto diviene leggero, sì leggero: "L'amore, in effetti, rende assolutamente facili e riduce quasi a nulla le cose più spaventose ed orrende. Quanto dunque la carità rende più sicuro e più facile il cammino verso l'acquisto della vera felicità, mentre la cupidigia, per quanto lo può, rende facile il cammino alla miseria! le cose che sono aspre per coloro che provano affanno, si addolciscono per quelli che amano" (S. Agostino, Discorso 70).
Ecco il segreto della notte, delle stimmate, della nostra storia, il rovesciamento d'ogni criterio: in questa notte è il suo amore che ci spinge da dentro ad uscire, a consegnarci, a vivere questo istante così doloroso in un'offerta di soave odore. E' questa la missione, è questo il successo e la pienezza della vita, proprio quando e dove essa sembra perduta irrimediabilmente.
Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
dove è odio, fa ch'io porti amore,
dove è offesa, ch'io porti il perdono,
dove è discordia, ch'io porti la fede,
dove è l'errore, ch'io porti la Verità,
dove è la disperazione, ch'io porti la speranza.
Dove è tristezza, ch'io porti la gioia,
dove sono le tenebre, ch'io porti la luce.
Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto:
Ad essere compreso, quanto a comprendere.
Ad essere amato, quanto ad amare
Poichè:
Sì è: Dando, che si riceve:
Perdonando che si è perdonati;
Morendo che si risuscita a Vita Eterna.
Amen.
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