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mercoledì 11 novembre 2020

 


GRATITUDINE
In "dieci" si fanno incontro a Gesù, il numero minimo di adulti necessari per il servizio della sinagoga, immagine di ogni comunità cristiana. Tutti "gridano" a una sola voce riconoscendo in Gesù un "maestro", un "epistatès" - "colui che sta in alto" - nella speranza che si chini su di loro per guarirli. Avendo in comune la stessa lebbra parlano la stessa lingua e desiderano la stessa cosa, perché la comunione nella Chiesa si radica innanzitutto nel riconoscersi tutti deboli, afflitti dalla medesima malattia, bisognosi dello stesso medico. E' il primo passo, molti non fanno neppure questo, ma non basta.
La lebbra è un'infermità evidente che non si può nascondere, marca un'impurità che "fermava a distanza" segregando i lebbrosi dal resto del popolo; altrettanto evidente era la fama di Gesù, che si estendeva in tutto Israele. L'incontro tra il desiderio dei lebbrosi e l'amore e il potere di Gesù era dunque quasi naturale, l'evidenza rivelava che erano fatti gli uni per l'Altro. E' la nostra stessa esperienza.
Così anche noi, quando sono apparse le pustole sulla pelle del matrimonio, dell'amicizia, del lavoro, abbiamo cominciato a frequentare con più assiduità la Chiesa, implorando Gesù di "avere pietà di noi" e di guarirci. E Lui, prontamente, ci ha accolti, senza distinzioni e preferenze. Ma a modo suo, senza guarirci immediatamente; come con i dieci lebbrosi, ci ha messo in cammino con un annuncio che è insieme profezia e compimento: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". Il Levitico, infatti, prescriveva che se il lebbroso fosse stato sanato, doveva andare a mostrarsi ai sacerdoti perché ne certificassero la guarigione riammettendolo così alla vita e al culto del popolo.
Pieni di speranza, abbiamo obbedito alla Buona Notizia che ci annunciava la guarigione, e ci siamo incamminati verso Gerusalemme. Conoscendo l'estrema vulnerabilità e incostanza del cuore dell'uomo, il Signore ha preparato per noi un lungo e serio percorso di conversione, immagine del catecumenato della Chiesa primitiva, l’iniziazione cristiana senza la quale il battesimo resta allo stato infantile: "un cammino di purificazione e di guarigione del desiderio" (Benedetto XVI). In esso possiamo incontrarlo al di là dell'evidenza superficiale, scoprendo nel profondo del cuore la radice delle nostre malattie e lì sperimentarvi il suo potere, per fondare la nostra vita in Lui.
E, come i dieci lebbrosi “furono purificati mentre andavano”, anche noi, proprio durante il cammino di conversione, siamo stati risanati. Il matrimonio ha cominciato a funzionare, ci sono stati donati dei figli, abbiamo imparato ad accettare la suocera e il genero. Anche il rapporto con i soldi è cambiato. Insomma, quelle pustole sono scomparse. Ma può non bastare. Anzi, per nove su dieci – una percentuale altissima – non è bastato. Sicuramente si sono accorti di essere guariti, ma è mancata loro una cosa, fondamentale e decisiva.
Tanti “vanno incontro a Gesù”, tutti lebbrosi. Tanti lo pregano e gli obbediscono, nella speranza di essere guariti. Ma non è ancora la “fede che salva”. Non basta essere "guariti", perché una vita “senza malattie” non è ancora quella che Dio ha pensato per noi! Occorre "vedere" i propri peccati con gli occhi nuovi della “fede”; e scoprire di essere stati “graziati” e sanati all’origine, dove è nato e si è sviluppato il bacillo maligno; solo così si potrà essere "salvati", che significa essere perdonati e strappati alle conseguenze mortali dei peccati e colmati della vita divina.
“Guarigione” e “salvezza”, infatti, non coincidono automaticamente. I nove lebbrosi non hanno compreso l’amore che li aveva raggiunti; come moltissimi di noi, erano così presi da se stessi e dall’ingiustizia che avevano sofferto, da non essere capaci di stupirsi “vedendosi risanati”. Paradossalmente non si sono accorti di essere guariti! non perché non avessero visto scomparire le pustole dalla pelle, ma perché, per loro, non era necessaria la "salvezza" dalla morte causata dal peccato! Come molti di noi, che crediamo di aver bisogno solo di una ritoccatina di chirurgia plastica, più o meno profonda, ma certo non un trapianto di cuore... Non si accorgono di essere stati guariti perché scambiano la misericordia crocifissa con una pomatina. Non credevano di essere morti davvero, dentro, nel cuore corrotto e marcio; erano le situazioni e le persone al loro esterno che gli avevano fatto contrarre la lebbra. Le cause erano fuori di loro. Non si erano mai accettati peccatori; anzi, si sentivano in credito con Dio e gli uomini. Per questo tutto era loro dovuto, anche il miracolo, vissuto probabilmente come un risarcimento che Dio era obbligato a pagare.
La "fede" autentica e adulta, invece, si manifesta nella "gratitudine" dell'unico lebbroso illuminato dalla Grazia. Che cos’aveva di diverso dagli altri? Perché proprio e solo lui? Perché è l’unico che non ha nulla da difendere, neanche lo status di ebreo; era uno “straniero”, un “samaritano”, un eretico. Era doppiamente escluso dalla comunità, come lebbroso e come “samaritano”, non aveva alcuna speranza, non poteva bastargli neanche la “guarigione”: una volta risanato, infatti, sarebbe comunque rimasto emarginato, odiato e giudicato da tutti. Per questo l’esperienza della “pietà” suscita in lui, naturalmente, il bisogno di “ringraziare” Gesù: è come incapace di trattenere la conversione (“ritorno” in ebraico); “torna indietro lodando Dio a gran voce” per incontrare Gesù, l’unico che non l’aveva escluso per essere eretico, oltre che lebbroso. D0altronde, lui, samaritano, che sarebbe andato fare a Gerusalemme? Non era quello che vi si trovava il Tempio nel quale egli credeva si dovesse adorare Dio. Per gli altri nove, al contrario, la “purificazione” era addirittura una possibilità codificata dalla Legge, un passaggio obbligato perché tutto tornasse come prima. Una volta ottenuta non dovevano far altro che quello che aveva detto loro Gesù.
Ecco dunque rivelato che cosa sia la conversione! E’ la traduzione gioiosa della gratitudine per l’amore con il quale il Signore ci ha guardati senza giudicarci, con un amore infinito. Non nasce da noi, ma dalla misericordia sperimentata senza alcun merito. Un uomo che si converte loda Dio con tutto se stesso. Diversamente, si tratterebbe di volgari imitazioni, occhi smorti e pieni di malcelata mormorazione, quella di chi cerca, con sforzi e impegno, di strappare da Dio quanto la carne desidera. La conversione ipocrita dei farisei, che non pensano minimamente di averne bisogno...
LE noi, "dove siamo" oggi? Il Signore ci cerca come ha cercato gli altri "nove" lebbrosi. Siamo andati via sazi dei miracoli con i quali ha sistemato le nostre cose? Ci sentiamo, in fondo, in diritto d'essere guariti, perché abbiamo vissuto i problemi e le difficoltà come un'ingiustizia a cui il Signore doveva porre rimedio? In questo caso, come per gli altri nove lebbrosi, anche se riammessi nella società dai sacerdoti, la "guarigione" non ci servirà a nulla. Per questo il Signore ci invita ad accogliere la "fede" nella quale "vedere" i segni che ha deposto nella nostra vita come una chiamata per consegnarci a Lui, perché ci salvi alzandoci dal peccato e ci faccia "andare" in una vita nuova.

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