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domenica 22 novembre 2020

     


SULLA TERRA CRISTO REGNA NEI SUOI DISCEPOLI CROCIFISSI CON LUI PER ATTIRARE A SE' OGNI UOMO
“Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti”: il Re che celebriamo in quest’ultima domenica dell’anno liturgico è dunque una primizia. Ciò significa che non regna da solo. Che quello che si riferisce a Lui è comune a quanti lo seguono. Proprio come dice nella Parabola del Vangelo: “ogni volta che lo avrete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli lo avrete fatto a me”. Il Re si identifica con i sudditi, il più grande con i più piccoli.
E questo significa che l’intera Scrittura non è altro che una porta dischiusa; che tutta l’opera di Dio compiuta in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito Santo è un inizio che abbraccia il compimento; che l’esistenza e la vita della Chiesa, con i suoi tempi e le sue liturgie, la predicazione e i sacramenti, sono la mano tesa di Dio all’uomo perché varchi la soglia di questo inizio.
Su di essa torna e tornerà il Signore nella sua Gloria per accogliere ogni uomo, oggi nell’annuncio della Chiesa, e definitivamente l’ultimo giorno. Il Re che ha vinto la morte, cancellando per sempre la parola fine dall’esistenza dell’uomo. Forse non riusciamo a cogliere la portata di questo annuncio di San Paolo. Ci sembra scontato, è la fede della Chiesa, è quello che crediamo.
Ma nella vita di ogni giorno che senso ha? Siamo davvero i frutti maturi della risurrezione di Cristo? E’ facile scoprirlo, basta porsi dinanzi a tutto ciò che, nella vita, ci presenta una parete su cui si infrangono i progetti e le speranze.
Il carattere del marito, ad esempio, che, come una barriera insormontabile, si erge ogni mattina e proprio non ce la facciamo a superare la sua superficiale ironia. O la stanchezza della moglie, che è troppo tempo ormai che si rifiuta di concedersi e unirsi, e ci sembra che ci sbatta in faccia una porta blindata ogni sera.
O proprio la sessualità, così importante per il nostro matrimonio, ma che il viverla in pienezza secondo l’insegnamento della Chiesa rivelato nell’Enciclica Humanae Vitae ci si presenta come una montagna impossibile da scalare. O le crisi dei figli, la precarietà economica, le nevrosi e i complessi mai risolti, i punti oscuri della nostra storia che spargono pus velenoso e non riusciamo a guarirne, le malattie e, infine, la morte. Tutte pietre deposte sul sepolcro nel quale siamo discesi.
Perché se non siamo risorti con Cristo e non abbiamo dentro la sua vita, siamo morti, qualunque cosa facciamo. Ma se è così e la Parola ci ha illuminato, allora vuol dire che San Paolo parla proprio di noi! Siamo morti, e lo siamo oggi, perché i fatti e le persone regnano incontrastati su di noi, con il potere di toglierci la pace e la gioia.
Eppure questa morte ci parla di conversione e battesimo. In essa possiamo lasciare l’uomo vecchio perché Cristo vi è entrato a prendere possesso del suo Regno. Nessuno ci era riuscito prima, non i sapienti di questo mondo, non la cultura, neanche i nostri genitori e le persone che ci vogliono bene. Solo Cristo è “andato in cerca” di noi, “pecore smarrite”, scendendo nel sepolcro dove la menzogna del demonio ci aveva gettato.
E di lì ci vuol far risorgere, per “ricondurci all’ovile” attraverso un cammino serio di conversione nella Chiesa, dove “trovare pascolo e riposare”. Così Cristo, la Primizia, dà inizio al suo Regno, radunando i suoi “fratelli più piccoli”, “fasciandoli e curandoli” in ogni loro sofferenza.
Nella nostra situazione di oggi, di nuovo, il Regno di Dio vede il suo principio. Gesù regna sulla Croce, ed estende il suo territorio nei sepolcri dell’umanità, così che si possa ricominciare sempre. Sulla terra, infatti, il Regno comincia di nuovo ogni giorno, perché “bisogna che Gesù regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi”. Il perdono che ci rialza sempre, ecco la resurrezione che ci attende!
Come intorno ad Israele si affacciano anche alla nostra vita nuovi nemici ogni mattina. Non ci abbattiamo e non temiamo! Camminiamo insieme alla comunità cristiana stringendoci a i fratelli e ai pastori, ascoltiamo e obbediamo alla Parola di Dio, uniamoci a Cristo con i sacramenti: sperimenteremo così che nulla più avrà potere di annientarci. Regneremo con Lui, frutti maturi perché fratelli della Primizia che ha vinto il peccato.
Certo, non è facile accettare la precarietà; eppure è proprio essa che definisce il Regno dei Cieli sulla terra. La debolezza che ci fa mendicanti della vittoria di Cristo è parte del disegno di Dio su tutte le Nazioni. La “piccolezza”, infatti, ci rende a nostra volta una <em>primizia di speranza offerta al mondo.
Dio ci ha chiamati nella Chiesa per essere una stirpe santa in mezzo alle nazioni. Piccoli, indifesi, disprezzati, gli ultimi di questa terra. Soffrendo la stessa precarietà, le medesime ingiustizie di tutti gli uomini. Ma come fratelli del Re. Nel nostro DNA è scolpita la sua immagine, quella del Servo di Yahwè, il Giusto che si offre per avere in premio le moltitudini.
“Fratelli più piccoli” di Gesù, il Primogenito della nuova creazione “preparata” per ogni generazione, i cristiani hanno la patria nei Cieli e sono ovunque “forestieri”; senza borsa e denaro seguono il Signore sino agli estremi confini della terra “affamati e assetati”. Amano senza difendersi, “nudi” come Adamo ed Eva prima della caduta, perché la misericordia di Dio li ha liberati dal peccato rivestendoli di gloria.
Crocifissi con Cristo, prendono su di sé i peccati degli altri, sino ad “ammalarsi” e soffrirne le stesse conseguenze. Annunciano il Vangelo con zelo, nei momenti opportuni e in quelli non opportuni, quando per esso sono perseguitati e gettati “in prigione”, in Siria come in Germania.
Non a caso il testo evangelico di oggi descrive quale sarà il giudizio dei popoli al di fuori di Israele; l’espressione greca “panta ta ethné” (tutte le Nazioni), infatti, in Matteo designa sempre i Gentili, i popoli pagani, in contrapposizione a “laos” che indica Israele.
Per essi è “preparato dal Padre un Regno fin dalla fondazione del mondo”, ovvero la benedizione di Dio, l’intimità significata dalla chiamata a stare “alla destra di Gesù”. Per i pagani è pronta la stessa eredità promessa ai cristiani.
Per ogni uomo, infatti, “la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo» (Dei Verbum, n. 82). La grazia che li conduce all’incontro con Cristo attraverso i suoi “fratelli più piccoli.
La salvezza e il Regno dipenderanno così da un incontro, il misterioso “quando” nel quale i pagani – forse il tuo collega, forse tuo figlio che ha abbandonato la Chiesa, forse tuo padre – vedranno Cristo nei cristiani: “I Saggi ci hanno insegnato una grande regola: la misericordia non inizia con il dono ma con la vista” (Siftè Chajm III, 154).
Un piccolo atto d’amore e di misericordia fatto ai piccoli di Gesù proprio quando saranno più deboli, sarà la chiave che schiuderà a chi non fa parte della Chiesa le porte del Cielo. Grande lè a nostra responsabilità! Essa inizia con l’accogliere Cristo perché regni nella nostra vita, accettando umilmente ciò che ci rende i suoi “fratelli più piccoli”.
La missione della Chiesa, infatti, comincia dalla sua debolezza. Come l’educazione, che parte dall’inadeguatezza, e il ministero di un pastore, che sboccia dalla precarietà. Come quella notte a Betlemme, quando il Re bambino fu deposto nella mangiatoia, per essere “visto” e adorato. Il più
piccolo era già cibo dei più poveri, e così in quella grotta il Regno iniziava a vedere la luce nella carne.
Ogni giorno è preparata anche per noi una mangiatoia, un “quando” decisivo per la salvezza nostra e di chi Dio ci pone accanto. Ogni istante della nostra vita è prezioso: non disprezziamo nessuna sofferenza e debolezza che ci crocifigge con Cristo, perché a chi è misteriosamente legato alla nostra vita non sia negato il “quando” nel quale “vedere” Cristo.
Sì, i cristiani regnano quando sono “affamati, assetati, nudi, ammalati, in prigione”. Non può essere diversamente, perché così è stato per Cristo. Così ci ha salvati, così ci invia a salvare il mondo. “Piccoli” dinanzi a tutti, autentici e umili, indifesi e senza arroganza, per suscitare nei cuori un balbettio di misericordia.
Per qualcuno, il più piccolo gesto di accoglienza nei nostri confronti sarà la chiave che schiuderà le porte del Cielo. Forse non andrà mai in Chiesa, perché il Regno di Cristo lo avrà accolto nella nostra carne crocifissa. Per qualcun altro, invece, sarà il primo passo per convertirsi e non abortire, perdonare e non divorziare. A noi è chiesto di essere lì, uniti a Cristo, nulla di più.

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