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domenica 5 febbraio 2017

Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi.
crismalePer la mia generazione che ha visto la conclusione del Concilio proprio alla vigilia dell’ordinazione presbiterale, lo straordinario magistero del concilio sulla Chiesa e sui laici ha dato vita a una stagione ecclesiale intensa ed effervescente. Ai laici che già allora, soprattutto il mondo giovanile, che aveva desiderio di far parte in maniera generosa della vita della chiesa, parve che lo spirito del concilio potesse risolvere la stanchezza del cristianesimo e la crisi della Chiesa che si andavano chiaramente delineando: la secolarizzazione era alle porte, con cambiamenti così profondi da segnare un cambio d’epoca. 
Nelle comunità cristiane sorsero nuove e numerose disponibilità laicali, attive, creative e desiderose di un coinvolgimento corresponsabile nella vita della Chiesa. Un impegno entusiasta e talvolta un po’ acritico fu quello dei laici, che sempre più numerosi parteciparono alle attività pastorali della Chiesa; attività che si andavano via via strutturando in forma articolata e complessa, cercando di far scaturire dall’ecclesiologia del concilio una impostazione pastorale coerente.
Oggi le attività pastorali delle parrocchie e dei diversi contesti ecclesiali vedono la presenza di laici assidui, dedicati, appassionati. Dalla mia visita pastorale emerge che quasi ogni parrocchia può contare non su dei lecchini, ma su gente convinta che ci mette il suo impegno e spesso anche danaro (cfr caritas, genitori che seguono i cresimandi o i gruppi estivi). Non sono più molto numerosi, hanno molto da fare perché le attività sono aumentate e le presenze sono impari alle necessità. Così coinvolti, forse non si rendono sempre conto di essere diventati presenze esecutive, con responsabilità che si limitano agli aspetti operativi. Soprattutto non sempre si rendono conto che l’impostazione della pastorale non chiede conto né a loro né ad altri della loro vita in famiglia, nel lavoro, nella società, … Certo è l’amore alla Chiesa che sostiene il loro impegno, ma è una dedizione che non accresce lo slancio missionario della comunità intera. Che contributo riescono a dare alle grosse problematiche delle loro vite di lavoro, del loro pendolarismo, dei loro sforzi economici, del delicatissimo stato di salute fisica ed etica di famiglia, la loro e quella di coloro che fanno parte delle loro relazioni quotidiane…?.
Tra i catechisti, gli educatori, i responsabili di organizzazioni laicali non manca la consapevolezza che l’attuale impostazione della pastorale ha troppi punti di debolezza, dovuti anche alla difficoltà con cui essa riesce a tener conto della vita di oggi, con le sue caratteristiche, i suoi linguaggi, il suo ritmo… Basti pensare ai percorsi dell’iniziazione cristiana, al termine dei quali la quasi totalità dei ragazzi si allontana dalla Chiesa; la finalità di essi è quella di introdurre le nuove generazioni nella vita cristiana e invece si traduce nella conclusione di ogni contatto con essa. 
In questo ultimo anno vi è stata inserita una nuovo forza di cambiamento con l’anticipo della catechesi, dell’educazione all’incontro con Gesù, al primo anno della primaria; ho visto all’inizio opposizioni, incredulità e poi la forza di trascinamento di questi bambini nei confronti degli stessi genitori, in molti dei quali, giovani, si sono accese luci e entusiasmi impensati.
Un’altra novità sta distribuendosi sulle nuove generazioni di adolescenti, che sono più attenti, meno ideologici e capaci di impegno se aiutati a diventare responsabili di se stessi e se vengono collocati da soggetti nella vita della comunità cristiana, rischiandone l’ascolto vero e la proposta personalizzata. 
I più accorti si pongono domande che non riguardano solo il contesto di oggi e le sue contraddizioni, ma anche l’adeguatezza pastorale delle proposte formative che assorbono una grande quantità di energie, senza raggiungere che in minima parte lo scopo per cui sono state pensate. La frustrazione che questo produce è all’origine di quella stanchezza denunciata da quanti sono impegnati nella pastorale. Molti hanno l’impressione che l’attuale pastorale si ostini a ripetere modelli e impostazioni consacrate da una tradizione che spesso è solo ripetizione rassicurante di abitudini più che espressione della tradizione viva della Chiesa. 
Ci rendiamo conto che i molti cristiani che mancano non sono tutti indifferenti, ma semplicemente non hanno trovato nella comunità cristiana né attenzione né interesse per la loro vita di tutti i giorni, alla sua routine logorante e faticosa e che non lascia spazio a impegni ecclesiali; restano però sensibili  alla testimonianza cristiana e sono impegnati in una vita secolare intensa; ma la comunità cristiana sembra estranea allo scorrere dell’esistenza di queste persone comuni e sembra non accorgersi dei tanti che progressivamente le mancano, perché non si sentono più di casa e si sono prima rassegnati e poi adattati a vivere la loro vita cristiana nella solitudine, senza il riferimento di una comunità che faccia sentire il calore di una casa, l’accoglienza di una fraternità, la solidarietà nel compimento di una missione. 
Il divorzio tra molti laici cristiani e la Chiesa oggi non ha nulla di ideologico, ma è generato da un’estraneità che dà a molti di essi la percezione di essere in «un altro mondo», quando frequentano la Chiesa. 
Parliamo di una sorta di transizione da laici impegnati, coinvolti, col sacco a pelo in parrocchia a laici testimoni. Vorrei che ponessimo attenzione al disagio di questi non pochi cristiani che non sono allontanati dalla chiesa per scelta polemica o per rinuncia alla vita cristiana, ma per estraneità alla vita ecclesiale; non riescono più a dare il proprio apporto alle attività della parrocchia, ma vogliono vivere da testimoni negli ambienti di lavoro o in famiglia con  le grosse difficoltà di figli difficili: per riflettere, rivedere il proprio progetto, per verificare le proprie priorità.
La Chiesa in uscita di cui parla di continuo papa Francesco non si realizza all’interno delle strutture della pastorale, ma chiede che esse siano a servizio di una testimonianza da realizzare nel mondo secondo il linguaggio gioioso e creativo del vangelo. 
Uno dei problemi dei cristiani oggi è quello di trovare forme di sequela del Signore in questo mondo, dunque con linguaggi, forme concrete, stili, scelte che per essere fedeli al vangelo non smettano di essere di oggi e per questo tempo. 
Emblematica da questo punto di vista è la posizione dei giovani insieme a quella delle donne.
I giovani, in particolare, con il loro mondo religioso individualista e solitario, stanno dicendo alla Chiesa che non sono una generazione incredula né una generazione indifferente. Essi portano nella loro coscienza, sepolte sotto la polvere di una vita esteriore esuberante, piena di cose, disorientata e confusa, molti interrogativi troppo pesanti per essere affrontati in solitudine. Anche quelle domande su Dio che affiorano in loro dopo che hanno abbandonato gli ambienti della loro formazione da bambini e hanno tagliato i ponti con tutte le figure educative di un certo significato, vengono affrontate dentro la confusione di chi ha molte opportunità, ma prive di un centro di gravità e che sollecitano a continue e contraddittorie scelte. 
Sentono di avere bisogno di un Dio anonimo, cercato in una preghiera individualistica e avvertito come possibilità di senso e di speranza per la vita. A questo Dio anonimo corrisponde un’esperienza religiosa con regole e stili adattati su misura, «aggiornati», a partire dall’idea che il modo di vivere da cristiani, così come viene proposto, è espressione vecchia e superata.
Sarebbe troppo sbrigativo liquidare gli atteggiamenti dei giovani con un giudizio di incredulità o di indifferenza: le obiezioni che essi fanno alla Chiesa costituiscono per tutta la Chiesa la provocazione per un serio esame di coscienza su un tema cruciale: quello del rapporto  tra i valori perenni del vangelo e le forme culturali con cui nel tempo la Chiesa li interpreta.  
Ci facciamo allora delle domande: 
  • Che cosa si può e si deve cambiare nella Chiesa perché essa sia credibilmente missionaria? 
  • Sa la Chiesa di oggi mostrare, raccontare, insegnare che la prospettiva che essa propone è un modo alto di interpretare la vita? 
  • Sa abbandonare il lessico del sacrificio e della mortificazione per assumere quello del tesoro trovato, della perla preziosa per avere la quale vale la pena vendere tutto? Vendere per avere di più, non vendere per privarsi!

Un punto di vista da cui possiamo partire: la chiesa mistero della vocazione 
La chiesa è il segno della convocazione dell’insieme della umanità e per questo è strutturale nella chiesa l’essere essa stessa con-vocata, cioè caratterizzata da una chiamata come tale e definita come accolta di chiamati. Occorre con questi laici, che sanno fare i testimoni dentro la realtà concreta e non necessariamente nelle nostre strutture, siano consapevoli di una chiamata apposita che Gesù fa a ciascuno. Occorre porre alla base di ogni proposta o prassi pastorale che essere cristiani non è mai essere generici o clonati, non è mai una risulta di tradizioni anche belle, nemmeno è una scelta che mi faccio perché sono convinto, mi trovo bene, ho faticato, e, di conseguenza, ci sono riuscito a tornare nella chiesa, ma è sempre una risposta a una chiamata personale. Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto, chiamato voi. La vocazione, e quindi tutto l’impianto che fa capire, propone, chiarisce la vocazione, il dinamismo vocazionale non è accessorio o attività di qualcuno meno ancora il compito di un ufficio di curia, ma l’anima della vita ecclesiale, parrocchiale, di associazione o di movimento. Il dinamismo vocazionale nemmeno deve essere in questo modo annacquato in un generico vocazionismo, ma esplicitato come esigenza di servizio all’amore. Insomma c’è una unicità della persona  e una unicità del rapporto tra Gesù e ciascuna persona. Tutto questo si deve riscoprire nei vari aspetti della vita della chiesa a partire seriamente dalla liturgia, dove si ascolta Dio che parla, dove si accoglie il dono del Corpo di Gesù, dove nel rito ci si vive una prossimità con Dio e con gli altri, dove non si nutre una devozione intimistica, ma si condivide vita e preghiera, dono e perdono.
La Chiesa deve  evidenziare la chiamata, che Dio, in Cristo, mette in atto per ogni persona. Il primo tratto è che Dio chiama ad essere veramente uomini  e donne in dignità e pienezza creaturale. Questo comporta inoltre di conoscere e proporre il dato biblico della chiamata e le attività ecclesiali che la rivelano e rilevano. 
E’ chiarissimo che Gesù, colui che ha fatto della sua vita la risposta a una chiamata, (perché anche lui ha risposto alla chiamata di Dio nella Trinità: “Chi andrà per noi? Eccomi manda me”), è il cardine non solo perché è Lui che chiama, ma anche perché con la sua vita e le molte chiamate che i vangeli raccontano ce ne dà lo stile, il metodo, l’intensità, la decisione, la fortezza della proposta, la chiarezza, l’autorevolezza e l’autorità, il rapporto personale e, soprattutto, la forza che viene dalla sua passione e morte, che non ci fa spaventare della sofferenza, e dalla sua risurrezione contro ogni infingimento o difficoltà.
La questione della testimonianza cristiana passa dunque attraverso la dimensione culturale e spirituale della Chiesa; ma tale questione non potrà essere affrontata se non attraverso la valorizzazione dell’esperienza dei laici; attraverso il loro ascolto, l’accoglienza delle loro inquietudini, la disponibilità ad accompagnarsi alla loro ricerca che è un processo sempre aperto.
 Le forme mature del credere non  hanno la pretesa, impossibile oggi, di essere ben chiare e definite una volta per tutte, ma sono un processo dinamico di una fede che si rinnova di continuo nello spirito e nelle forme. Ma questa non è la conversione di cui parlano il vangelo e la tradizione cristiana?

Vi sono poi tutte le questioni che sono segnalate dalla presenza inquieta delle donne. Pur essendo la loro disponibilità religiosa superiore a quella dei loro coetanei maschi tuttavia anche la loro non è una fede scontata. Le ragazze, ancor più dei giovani, avvertono la distanza tra il modo con cui la Chiesa si rapporta alla componente femminile e il livello di emancipazione e di responsabilità che esse vivono nella società. Pur con fatica, oggi una donna frequenta le stesse scuole dei ragazzi, raggiunge livelli professionali pari a quelli degli uomini, riceve incarichi sociali e politici di rilievo.
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Le donne, che non sono più disposte a lasciarsi umiliare solo perché donne, anch’esse prendono le distanze dalla comunità. E a lungo andare, distanze nate da motivi non sostanziali si accrescono, e diventano estraneità, diffidenza, impossibilità di comunicare. Ci possiamo domandare come Chiesa: E’ possibile essere madre senza la testimonianza e l’esperienza della maternità della donna, per capire la necessità di valorizzare il suo modo di stabilire relazioni, prendere decisioni, accompagnare le persone nel loro cammino…  
Una Chiesa in uscita ha bisogno di diventare più leggera e più forte, più sciolta e più radicale. Chi ha bisogno di rimettersi in ricerca o ha desiderio di intraprendere un cammino di riscoperta del senso del credere non ha bisogno di tante iniziative o attività pastorali, ma di persone significative, capaci di mettersi in ascolto, di condividere una ricerca, di indicare esperienze vive nelle quali coinvolgersi… comunità dalla vita comunitaria vera, con uno stile di relazioni calde, accoglienti, umane. 
Ai laici la comunità cristiana dovrebbe chiedere oggi di rendersi disponibili a condividere una vita cristiana ed ecclesiale di qualità, di mettere a disposizione la propria vita e la propria casa per accogliere, per ascoltare, per mostrare la serena gioia di una vita cristiana radicale pur nella normalità. 
E poi occorre tornare a interrogarsi sulla necessità di formare figure educative forti,  anche con una novità di impegno: dedicarsi alla cura della fede 
  • di giovani che hanno abbandonato i circuiti ordinari della vita ecclesiale, 
  • di adulti che non frequentano più la comunità cristiana, ma che conservano una nostalgia di Dio che ha bisogno di confronti e di dialoghi per ricondurre all’incontro con lui. 
Educatori che dedicandosi in toto a questi impegni segnalino quanto la comunità è disposta a investire in educazione e a mostrare quanto crede al valore di essa. Educatori che abbiano un profilo diverso da quello assunto quasi esclusivamente nei confronti dei ragazzi e degli adolescenti, ma cristiani adulti, esperti nell’arte del dialogo e dell’accompagnamento del cammino umano e spirituale di altri. L’esempio di papa Francesco dice il bisogno diffuso di persone di riferimento forti, calde, credibili, capaci di parlare il linguaggio della gente comune. Papa Francesco è ritenuto la più importante figura di riferimento, al di fuori della cerchia familiare e affettiva, del mondo giovanile
Se la Chiesa che vive nelle nostre città e nei nostri paesi non riuscirà a capire con profonda convinzione che può essere Chiesa in uscita solo se sa valorizzare i suoi laici e non attraverso il moltiplicarsi di iniziative pastorali dentro il perimetro della comunità, finirà ripiegata su se stessa, inesorabilmente destinata a diventare sempre più vecchia.
La questione della fede oggi si è fatta urgente e grave per la Chiesa dei contesti occidentali e soprattutto quelli del nostro Paese. La Chiesa ha bisogno di un soprassalto di consapevolezza circa la propria situazione, quella del mondo e quella dei cristiani in esso. Ha bisogno del coraggio di una profonda conversione, in primo luogo all’umiltà della propria condizione storica….  Di una conversione al vangelo, di una conversione all’amore per questo tempo e per le persone di oggi, con il loro modo di vivere, con le loro attese… Ha bisogno di rimettersi in dialogo, spalancare porte e finestre a tutte le persone, disposta a fare con loro un tratto di cammino.
Ha bisogno di convincersi che ha necessità dei laici cristiani per questo percorso: non per qualche attività in più da fare, nemmeno per contare di più nella società, ma  per capire il mondo di oggi, per imparare ad amarlo e a capirlo, per ascoltarlo e mettersi in sintonia con le sue domande, soprattutto quelle dei più giovani. Il loro amore alla Chiesa  li porta a chiedere che essa si faccia attenta alla loro esperienza: di questo hanno bisogno per adempiere alla  missione della chiesa. Il Sinodo dei giovani può essere un ottimo primo passo: ascolto, accoglienza, ascolto, coinvolgimento, dare la parola e forgiare educatori.

Conclusioni operative

La prima occasione, o meglio, segno dei tempi è il Sinodo dei Giovani dell’autunno 2018, per il quale ci è richiesto qualche minimo contributo entro questo 2017.
 Creiamo gruppi di ascolto dei giovani; non saranno i nostri, che quasi non ci sono, ma tutti quelli che lo vogliono o sono passati da noi, come si diceva prima.
Creiamo gruppi di ascolto di mamme, di papà, di gestori del tempo libero, di insegnanti e di gente che passa la vita con i giovani.
I giovani preti che si incontrano mensilmente stanno costituendo gruppi di lavoro ad hoc. Vorremmo cominciare  durante la quaresima.

+ Domenico Sigalini

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