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venerdì 3 febbraio 2017

Papa ai consacrati: “Non siate ‘professionisti del sacro’, ma profeti di speranza”
Nella Messa della Presentazione del Signore, nella Giornata Mondiale della Vita Consacrata, Francesco invita a “metterci con Gesù in mezzo al suo popolo”
Papa Francesco
Papa Francesco Presentazione del Signore 2 febbraio 2017 - CTV
È un “canto che nasce dalla speranza”, quello che intonano Simeone e Anna quando vedono Gesù Bambino, portato dai genitori a Gerusalemme per adempiere le prescrizioni della legge.
L’episodio evangelico che la liturgia prevede oggi, nel giorno della Presentazione del Signore, si riflette nella vita di ognuno di noi come un modello di vita a cui aspirare.
Nell’omelia della Messa presieduta nella Basilica Vaticana, davanti a numerosi religiosi e laici arrivati in occasione della XXI Giornata Mondiale della Vita Consacrata, Papa Francesco ricorda che “il canto di Simeone è il canto dell’uomo credente” che ha potuto constatare che la sua speranza non è stata vana.
“La vita merita di essere vissuta con speranza perché il Signore mantiene la sua promessa” è il monito che Simeone e Anna sembrano rivolgere, come fosse – osserva Francesco – una “eredità”.
Ecco allora – prosegue – che “siamo eredi dei sogni dei nostri padri, eredi della speranza che non ha deluso le nostre madri e i nostri padri fondatori, i nostri fratelli maggiori”. Ed anche “siamo eredi dei nostri anziani che hanno avuto il coraggio di sognare”.
Il Pontefice – che prima della Messa ha svolto il rito che si ripete ogni 2 febbraio, di accendere le candele – rammenta che “ci fa bene accogliere il sogno dei nostri padri per poter profetizzare oggi e ritrovare nuovamente ciò che un giorno ha infiammato il nostro cuore”. Parla di “sogno e profezia”, cioè “memoria di come sognarono i nostri anziani, i nostri padri e madri e coraggio per portare avanti, profeticamente, questo sogno”.
Saper amalgamare sogno e profezia è ciò che “ci renderà fecondi”, ha aggiunto il Papa, e “soprattutto” che “ci preserverà dalla tentazione della sopravvivenza”.
Non esita, il Vescovo di Roma, ha definire questo “un male”, che “ci fa diventare reazionari, paurosi”. Un male che “ci proietta all’indietro, verso le gesta gloriose – ma passate – che, invece di suscitare la creatività profetica nata dai sogni dei nostri fondatori, cerca scorciatoie per sfuggire alle sfide che oggi bussano alle nostre porte”.
Cedere alla “tentazione della sopravvivenza” – ha dunque aggiunto – “ci rende professionisti del sacro ma non padri, madri o fratelli della speranza che siamo stati chiamati a profetizzare”. Essa “inaridisce il cuore dei nostri anziani privandoli della capacità di sognare e, in tal modo, sterilizza la profezia che i più giovani sono chiamati ad annunciare e realizzare”.
Secondo il Santo Padre, questo atteggiamento – che “non è proprio soltanto della vita consacrata” – trasforma “in pericolo, in minaccia, in tragedia ciò che il Signore ci presenta come un’opportunità per la missione”.
Tornando al brano evangelico, Papa Bergoglio sottolinea che il canto di Simeone si alza quando Maria gli mette in braccio “il Figlio della Promessa”. “Quando mette Gesù in mezzo al suo popolo, questo trova la gioia”, commenta il Pontefice.
Una presenza, quella del Salvatore in mezzo a noi, che “ci salverà dal vivere in un atteggiamento di sopravvivenza”. L’invito che rivolge ai consacrati, dunque, è a seguire il santo esempio – a “metterci con Gesù in mezzo al suo popolo” – diventando “lievito di questa massa concreta” che è la società odierna, “multiculturale”.
Del resto il Signore “ci ha invitato a lievitare qui e ora, con le sfide che ci si presentano” e “non con atteggiamento difensivo, non mossi dalle nostre paure, ma con le mani all’aratro cercando di far crescere il grano tante volte seminato in mezzo alla zizzania”.
E questo moto dinamico, questo “uscire da se stessi per unirsi agli altri” – riflette Francesco – “non solo fa bene, ma trasforma la nostra vita e la nostra speranza in un canto di lode”.
Di qui l’appello finale del Papa: “Accompagniamo Gesù ad incontrarsi con il suo popolo, ad essere in mezzo al suo popolo, non nel lamento o nell’ansietà di chi si è dimenticato di profetizzare perché non si fa carico dei sogni dei suoi padri, ma nella lode e nella serenità; non nell’agitazione ma nella pazienza di chi confida nello Spirito, Signore dei sogni e della profezia”.

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