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lunedì 8 aprile 2019




Se gli occhi dello spirito sono colpiti dalla nuova luce,
che da Dio promana,
l'incomprensibile opera della sua incarnazione
rende possibile che Dio divenga visibile per l'uomo nel mistero sacramentale.
Questo sguardo che Dio permette,
provoca nell'uomo uno strappo ed estasi;
la visione conduce, grazie all'amore,
al mondo invisibile della fede:
l'uomo della terra viene portato in cielo.

Card. Paul J. Cordes
La luce di Cristo 
per conoscere il "luogo" del Padre




"Dov'è tuo Padre?": è la domanda che ci sentiamo ripetere nell'intimo di fronte alle sofferenze. Essa viene certo dal serpente che ci vuole indurre a dubitare, ma nasconde comunque il bisogno di poter scoprire, oltre la superficie, le tracce del destino eterno per il quale siamo stati creati. Signore, "dov'è tuo Padre?". Tu che ci dici di essere Figlio di Dio, perché sei appeso a una Croce? Signore, "dov'è nostro Padre?". Tu ci dici che in te siamo figli di Dio, perché allora quello che i nostri occhi vedono e la nostra carne sta sentendo è dolore, precarietà e paura? Perché ancora non state seguendo me che "sono la luce del mondo; chi segue me", infatti, "non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita". Certo, qualche passo dietro a Lui lo abbiamo fatto. Come quei farisei che erano di fronte a Gesù; lo avevano cercato e in qualche modo seguito, ma difendendo il proprio "giudizio secondo la carne". Ma così ci si chiude alla luce della vita e si cammina nelle tenebre. Gli eventi e le persone divengono fantasie irreali. La "carne", infatti, non coglie ciò che si cela oltre l'apparenza e stringe gli occhi, schiacciando mente e cuore in una prospettiva angusta che nulla più dell'immediato sa prevedere. Per questo Gesù "non giudica nessuno" secondo la carne, ma "testimonia". Ed è molto diverso. Un conto è giudicare le persone e la storia appoggiandosi a se stessi, un conto è "testimoniare" insieme al Padre che esiste una verità che supera l'evidenza immediata. Gesù, infatti, con il suo Mistero Pasquale, ha "testimoniato" che la morte, il peggio che ci appaia dinanzi, non è la parola fine sulla vita, ma il passaggio che la trasforma in gioia e pienezza eterne. E noi possiamo accogliere e sperimentare l'autenticità della sua "testimonianza" già oggi, camminando dietro a Lui in questo mondo. Chi "segue" il Signore, infatti, vedrà risplendere della sua "luce" tutto ciò che per la superbia della carne e il pensiero del mondo è "tenebra". Lo è una malattia o la morte di una persona cara; è buio pesto il carattere insopportabile della moglie, come il tradimento del marito, la difficoltà ad avere un figlio, la fragilità del carattere e la debolezza psicologica, un licenziamento e la disoccupazione, lo sfratto e qualsiasi ingiustizia subita. E' "tenebra" perché il peccato ci ha gettati tutti fuori dal Paradiso, chiudendo dietro di noi le porte del Cielo; tagliando con Dio abbiamo a poco a poco dimenticato di essere suoi figli, finendo col vivere come orfani che "non conoscono il loro Padre". Lontani da Lui la vita ha perduto la luce che solo il suo amore di Padre fa risplendere, e così ci siamo ritrovati a vagare nella storia "sperduti come un gregge", mentre "ognuno segue la sua strada", schiavi di un soggettivismo che partorisce miliardi di verità per tentare inutilmente di spiegare miliardi di storie avvolte nelle "tenebre". Ma Dio non ci ha creato per marcirci dentro! Nonostante avessimo violentato la libertà opponendoci a Lui, geloso dei suoi figli, ci ha "tanto amato da dare il suo Figlio" per salvarci. E ha fatto come annunciò profeticamente chiamando Abramo perché gli sacrificasse suo figlio: Isacco, infatti, "veniva condotto al sacrificio dal padre  quale simbolo e conferma che non si deve attribuire al potere umano o alla malvagità dei nemici il Fatto che Gesù Cristo nostro Signore sia stato condotto alla Croce, ma alla volontà del Padre, il quale permise, con un disegno preordinato, che Egli subisse la morte per il bene di tutti" (San Cirillo di Alessandria). Come sul monte Moria il Padre e Isacco "testimoniarono" insieme la fede nella provvidenza di Dio, così sul Golgota il Padre e il Figlio hanno "testimoniato" ad ogni uomo i loro amore infinito: "la Croce imposta al nostro Salvatore, ritenuta dagli uomini un semplice legno, era al cospetto del Padre come un grande ed eccelso altare, eretto per la salvezza del mondo e impregnato al profumo di una vittima santa e purissima". 



Ecco dunque "dove è il Padre"! E' nell'obbedienza del Figlio che rivela il suo amore infinito! E' nel suo Mistero Pasquale che illumina le tenebre che avvolgono il mondo"! E' nel Cielo che il Figlio ha riaperto per noi e che anche oggi lascia filtrare la sua "luce della vita" dalla croce sulla quale ci chiama a salire. E' lì che "conosceremo il Padre" perché "conosceremo il Figlio" che ci terrà stretti a Lui facendoci passare illesi attraverso il Mar Rosso della morte, illuminando con la colonna di fuoco della sua risurrezione la notte di cui abbiamo sempre avuto paura. Coraggio allora, uniti a Cristo da oggi potremo vedere la luce nel buio, e camminarci dentro per "sapere", ovvero sperimentare, che Egli è "venuto" da Nazaret con una carne simile alla nostra proprio per rivelarci che "veniva" dal Padre per salvarci e così "andare" di nuovo al Padre con noi. Coraggio, entra nei fatti e nelle relazioni avvolti dalle tenebre che hai sempre sfuggito, e scoprirai che in tutto e in tutti c'è il Padre che ti sta amando. Perché le persone che ci sono accanto e gli eventi della storia sono il cammino che ci è dato per seguire Gesù e non più noi stessi e i nostri giudizi fallaci. La Croce che ci incute terrore e ci fa chiedere "dov'è tuo Padre? Dov'è mio Padre?" è il candelabro sul quale il Padre ha acceso la "luce" del suo amore più forte della morte e che perdona ogni peccato. Per questo, chi vi sale con Cristo seguendo le sue orme avrà la "luce della vita", al cui bagliore vedrà trasfigurata la propria storia. Vedrà l'altro con occhi diversi, e potrà amarlo perché in lui riconoscerà la "testimonianza" del Padre e del Figlio, il segno del loro amore. Accadrà, infatti, come nell'arte iconografica orientale, dove il punto di fuga prospettico è in chi guarda l'opera e, attraverso gli occhi, esso giunge sino al cuore. L'icona ortodossa infatti è "una finestra in quanto attraverso ad essa si diffonde il dominio della luce, e allora la stessa finestra che ci dà luce è luce…” (P. Florenskij). Così la realtà che si pone davanti a noi come un'icona, diviene l'annuncio di una Buona Notizia, un Vangelo che si realizza nello stesso momento in cui la "Luce" giunge in chi lo contempla. Non pensare però che ti saranno risparmiate le sofferenze, perché nessun padre che ami davvero suo figlio ammalato si lascia impietosire dalle sue lacrime e non lo porta all'ospedale. Per guarire e aprire gli occhi alla sua luce dobbiamo entrare con Cristo nella camera operatoria che è la Croce concreta preparata per noi, sulla quale ci sta conducendo il puro amore del Padre. 

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