Ecco l’orientamento escatologico della celebrazione eucaristica, ecco perché al suo cuore cantiamo: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta (donec venias). Ecco perché le antiche eucaristie prevedevano, dopo l’anamnesi dell’istituzione eucaristica, l’invocazione: “Marana tha!” (Didaché 10,6; 1Cor 16,22), “Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22,20), “Vieni presto!”.
Alla fine dei tempi l’eucaristia non sarà più celebrata con pane e vino, ma sarà celebrata da tutta l’umanità, che farà il suo ringraziamento a Dio per averla creata e salvata. L’immagine che noi umani possiamo tenere davanti è sempre quella di un “pane del cielo” (Es 16,4; Sal 78,24; Gv 6,31.32; cf. anche 6,41.50-51), di un “vino nuovo” (cf. Mc 14,25; Mt 26,29).
Ma pane e vino saranno nel Regno la comunione inebriante all’amore di Dio: noi
saremo in Dio l’amore, perché da lui amati all’estremo (cf. Gv 13,1), da lui salvati e resuscitati con Cristo, diventati figli nel Figlio, seduti alla sua destra nel Regno eterno. Ce lo ha promesso Gesù: “Io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia tavola nel mio regno” (Lc 22,29-30).
Questo banchetto del Regno, però, non sarà riservato solo ai discepoli, perché Gesù ha anche profetizzato che “molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli” (Mt 8,11; cf. Lc 13,29). Con questa promessa Gesù rinnova quelle fatte dai profeti, i quali, per descrivere il regno di Dio definitivamente instaurato e per fornire un’immagine del regno messianico, parlano di banchetti che suscitavano desiderio, che facevano sognare i poveri credenti, i quali spesso conoscevano fame, sete, o per lo meno penuria.
Per citare solo uno dei testi più luminosi, a questi poveri che nella loro povertà gridavano al Signore, a questi curvati (‘anawim), a questi miseri (‘anjim) obbligati a dire sempre “sì” ai potenti, Isaia promette: “Il Signore dell’universo imbandirà un banchetto, lo preparerà per tutti i popoli sul monte Sion, un banchetto di vivande scelte e vini eccellenti, di cibi gustosi e vini raffinati” (Is 25,6).
Ecco la nostra grande speranza, la speranza del banchetto del Regno; per questo diciamo: “Beati gli invitati alla cena del Signore”, o anche: “Beato chi mangerà il pane del regno di Dio” (Lc 14,15). Nel frattempo certamente – come ammonisce Qohelet – dobbiamo “gustare le cose buone nel mangiare e nel bere, frutto del nostro lavoro e della mano di Dio “ (cf. Qol 2,24), dobbiamo lodare il Signore per il pane che gli chiediamo e che lui ci dona quotidianamente (cf. Mt 6,11; Lc 11,3).
Ma dobbiamo anche vegliare per sentire gli inviti alla tavola del Signore: “Beati gli invitati al banchetto nuziale dell’Agnello” (Ap 19,9); per rispondere al Signore Gesù che dice: “Io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).
Ascoltiamo questa voce: è la voce di Gesù che ci parla, anche se non lo riconosciamo, nell’affamato, nell’assetato, nello straniero, nell’ignudo, nel malato, nel prigioniero (cf. Mt 25,31-46). Ma nell’ultimo giorno, invitati alla sua tavola, finalmente lo riconosceremo, quando egli ci dirà: “Tutto quello che avete fatto a uno di questi più piccoli, che sono miei fratelli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).
Enzo Bianchi
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