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sabato 16 maggio 2015

X° anniversario dell'ordinazione Episcopale

Deve essere così anche il rapporto che dobbiamo avere con la vita cristiana nella sua quotidianità, nel suo svolgersi lungo la storia. Nel mondo, nella battaglia per la vita sicuramente dovremo affrontare tristezza. In ogni esistenza umana si creano le condizioni di un parto, si prova tristezza per una attesa che sembra infinita, per una speranza che sembra svanire, per un male che sembra sopraffarci, ma, Gesù dice, la gioia che proverete a stare con me, a incontrare di nuovo me, alla mia venuta definitiva non ha paragoni. Siamo chiamati alla gioia. Papa Benedetto continuava a ripeterlo a tutti: siamo fatti per la gioia e Gesù è la nostra gioia.
Per questo diventerà sempre più importante per un cristiano saper attendere, vivere di speranza, avere
dentro la certezza che contro ogni apparenza, o evidenza, la croce si cambierà in gloria. Così è stato di Gesù e così sarà di ogni discepolo.
La mamma non rinfaccerà mai a suo figlio i dolori del parto, ma ne trarrà sempre motivo nuovo di attaccamento e di amore anche contro ogni evidenza e ingratitudine. Siamo mamme dicono quando c’è da lenire un dolore, davanti alle bare dei figli. Non è un dolore disperato, ma la forza di una speranza.
Siamo certi che Dio ci darà la gioia come quella della mamma dopo il parto, la nostra tristezza affrontata per la giustizia e per l’amore, per un mondo nuovo si trasformerà in gioia. Il dolore è di un momento, la gioia è eterna.
Non sto usando il vangelo assolutamente per un riferimento alla mia persona o alla nostra situazione diocesana. La vita è ben altra e le pene e le gioie ancora di più. Non ho voluto dare troppa enfasi a questo decimo anniversario, anche se sono felicemente obbligato a esprimere a Dio e a voi la mia gratitudine. Le date non hanno significato in sé, ma la vita che ci sta dentro sì. Il numero di giri fatti dalla terra attorno al sole in questi anni non fanno importanti o meno i nostri giorni, ma quello che è decisivo è la presenza costante di Dio che ci ama e che ci chiama a riflettere sulle nostre responsabilità e sulla nostra maggiore o minore dedizione alla causa.
E’ giusto tornare a quei moniti severi della ordinazione episcopale: 10 anni fa mi si diceva di compiere in modo irreprensibile la missione del sommo sacerdozio, di servire il Signore notte e giorno, di disporre i ministeri della Chiesa secondo la volontà del Signore, di essere offerta viva a Dio gradita per mansuetudine e purezza di cuore. Sono moniti che in me si fanno domande inquietanti. Mi guardo le mani unte col crisma e mi domando se il ministero è stato fecondo. Ho baciato il vangelo ricordandomi che devo annunciarlo con grandezza d’animo e dottrina. Mi passa davanti l’anello e mi domando se è veramente segno di fedeltà, di integrità della fede, di purezza di vita per custodire la sposa di Cristo che è la Chiesa. Ogni tanto coi bambini faccio battute sulla mitra, che metto non perché sono pelato, ma perché mi ricordi che in me deve risplendere il fulgore della santità, altrimenti non meriterò la corona incorruttibile della felicità eterna; mi sono allenato con cura, dopo la rovinosa caduta, a usare il pastorale perché mi ricorda la cura e l’autorevolezza che devo avere verso tutto il gregge come pastore.
I vescovi in maggioranza compiono il decennio nel pieno del loro incarico e si avviano al ventesimo o al 25 esimo per concludere. Qualcuno invece a stento riesce a celebrare anniversari perché la chiamata non è stata alla prima ora, ma già al crepuscolo.
Più mi allontano da quel 2005, così carico di avvenimenti importanti, mi torna alla mente san Giovanni Paolo II e la sua cura per la nostra diocesi, che per lui era un passaggio spirituale obbligato per andare alla Mentorella, per elevarsi nella preghiera, incontrare la madre di cui era totus tuus.
Ho un dovere di fedeltà alla chiesa e al papa, ad ogni papa, ma soprattutto a san Giovanni Paolo II. Con la statua che ho desiderato collocare davanti alla cattedrale ho voluto ricordare a me e a voi i suoi innumerevoli passaggi e la sua continua protezione sulla nostra chiesa e territorio diocesano. Lui mi ha custodito la vita da presbitero, mi ha segnato con le Giornate mondiali dei giovani, con quei brevi e intensi incontri con i ragazzi di tutto il mondo, lui ha scandito i miei passi di servizio nazionale e internazionale ai giovani.
La sua santità e la luce della sua fede, oggi riconosciuta da tutta la chiesa e solennemente proclamata, la vogliamo custodire come fiaccola che cammina con noi, che, papa Benedetto ieri e papa Francesco oggi, ci dicono di portare con umiltà e convinzione nei meandri di ogni vita a partire dalla nostra chiesa diocesana.
+ Domenico Sigalini

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