Nell’elenco mondiale delle Università più quotate e prestigiose, quella di Genova non figura neppure a volerla cercare in fondo alla lista, cioè tra il 900 e il 1000 posto. Del resto, nessuna italiana compare tra le 150 migliori università al mondo e per trovarne una bisogna arrivare tra il 151° e il 200° posto dove si piazzano Bologna con Milano, Padova, Pisa, Roma, La Sapienza e Torino. Dell’ateneo genovese, insomma, neppur l’ombra. Questo almeno fino a oggi. Tra pochi giorni, infatti, le cose potrebbero cambiare e l’università di Genova balzare inaspettatamente nei primi posti di una speciale lista delle accademie più queer e Lgbt friendly del mondo. Venerdì 22 maggio, alle ore 15, nell’Aula Magna verrà presentato "Il doppio libretto universitario. Riconoscimento delle identità di genere e percorsi di transizione", organizzato dal Comitato per le pari opportunità. Questo consentirà alle studentesse e agli studenti in transizione di genere di ottenere, prima dell’eventuale emanazione della sentenza di rettifica di attribuzione di sesso, il rilascio di un libretto elettronico sostitutivo, recante il nome d’elezione corrispondente alla identità di genere del o della richiedente. Basta l’autocertifcazione del voler cambiare sesso e a Marco sarà rilasciato il suo desiderato trans-badge col nome di Maria, Giovanna o Samantha.
Se è vero che nelle università si prepara il futuro, beh quello che gli emeriti docenti genovesi ci stanno cucinando non è
certo dei più rassicuranti, anzi diciamo pure alquanto pericolosa nei contenuti e capace di scardinare i principi legali del nostro ordinamento. Il “doppio” libretto di iscrizione per gli studenti “in transizione di genere” non è infatti qualcosa di assolutamente inedito da punto di vista anagrafico, ma è la manifestazione più aggressiva finora mai registrata dell’assalto dell’ideologia gender alle norme giuridiche e alle istituzioni del nostro Paese, compresa la citatissima Costituzione. Che verrebbe stracciata senza tanti complimenti da questa stramba e inaccettabile intromissione giuridica. Ma in questa escalation anticostituzionale, l’università di Genova non è certo in splendida solitudine: altri atenei italiani hanno aperto la strada al doppio libretto. Torino l’ha fatto già da dieci anni, seguita dall’Università di Bologna e Napoli. L’ateneo di Pisa, sulla spinta della studentessa Sophia, transessuale, l’ha introdotto lo scorso anno, anche qui . la delibera prevede la ristampa dei diplomi di laurea per gli studenti che, una volta usciti dall’università, hanno cambiato sesso. La questione viene discussa anche in altri atenei: Bari, Napoli, Roma, Ferrara dove l’Università si impegna ad attivare per il richiedente una “carriera alias”, mediante l’assegnazione di un’identità provvisoria e a rilasciare al richiedente un doppio libretto/tessera universitario di riconoscimento, indicante il cognome e il nome scelto dallo stesso e la matricola universitaria. Stessa cosa anche nella prestigiosa università di Padova, fondata nel 1222, sotto l'auspicio di libertà d'espressione, libertà e cultura. Qui il Senato accademico ha deciso di dotare gli studenti transgender e transessuali di un badge che consentirà loro sia il cambio di nome nel libretto sia nei documenti universitari, in completa sintonia con la “nuova” identità.
Uno strappo piuttosto profondo nel già lacero tessuto delle norme e del nostro ordinamento giuridico. Ora anche Genova affonda il suo coltello, ma è solo l’ennesimo colpo. È quando hanno scritto al rettore dell’ateneo genovese un gruppo di giuristi che, pur volendo mantenere l’anonimato, hanno diffuso la loro lettera di protesta ai giornali. «Il concetto di “identità di genere” non è allo stato contemplato da alcun atto normativo nel nostro ordinamento», accusano i giuristi. Tale concetto, a differenza del sesso biologico, sfugge a ogni qualificazione giuridica per ragioni di certezza del diritto. Dunque: «Tutto ciò potrebbe quindi configurarsi come un’iniziativa praeter legem, non del tutto rispettosa dell’attuale normativa vigente, essendo lo spettabile ateneo parte del sistema d’istruzione dello Stato». Insomma, l’università sta agendo fuorilegge. In altre parole, l’iniziativa dell’ateneo genovese è un attacco al sistema dell’istruzione pubblica e, dato che la stessa cosa è già avvenuta in altre nove università italiane, ci troviamo di fronte un’eversione clandestina generalizzata. Non ha nulla da dire il ministro dell’Istruzione e dell’Università?
Strano modo, quello di questi dieci atenei, di interpretare lo spirito di “universitas” o praticare l’autonomia, legalizzando di fatto il pensiero gay gender, nonostante e contro la legge. Quali diritti stanno difendendo queste università, in nome di quale cultura e pensiero operano per garantire diritti inesistenti se non nei fondamenti di un’ideologia irragionevole e irreale? Il badge, la carriera alias e il doppio libretto per studenti trans che i governi accademici di questi atenei hanno inventato, somigliano tanto al registro dei matrimoni gay escogitati da tanti sindaci di sinistra per raccattare voti e favori dei potenti movimenti gay e Lgbt. Nelle università la caccia agli iscritti adotta gli stessi strumenti propagandistici del marketing aziendale, come negli spot gay friendly della Findus. Pur di strappare lo studente incerto, anche dal punto di vista sessuale, all’ateneo concorrente, si concede la “doppia iscrizione”. Qualcuno dovrebbe riportare questi magnifici e incredibili rettori alla legalità.
Se è vero che nelle università si prepara il futuro, beh quello che gli emeriti docenti genovesi ci stanno cucinando non è
certo dei più rassicuranti, anzi diciamo pure alquanto pericolosa nei contenuti e capace di scardinare i principi legali del nostro ordinamento. Il “doppio” libretto di iscrizione per gli studenti “in transizione di genere” non è infatti qualcosa di assolutamente inedito da punto di vista anagrafico, ma è la manifestazione più aggressiva finora mai registrata dell’assalto dell’ideologia gender alle norme giuridiche e alle istituzioni del nostro Paese, compresa la citatissima Costituzione. Che verrebbe stracciata senza tanti complimenti da questa stramba e inaccettabile intromissione giuridica. Ma in questa escalation anticostituzionale, l’università di Genova non è certo in splendida solitudine: altri atenei italiani hanno aperto la strada al doppio libretto. Torino l’ha fatto già da dieci anni, seguita dall’Università di Bologna e Napoli. L’ateneo di Pisa, sulla spinta della studentessa Sophia, transessuale, l’ha introdotto lo scorso anno, anche qui . la delibera prevede la ristampa dei diplomi di laurea per gli studenti che, una volta usciti dall’università, hanno cambiato sesso. La questione viene discussa anche in altri atenei: Bari, Napoli, Roma, Ferrara dove l’Università si impegna ad attivare per il richiedente una “carriera alias”, mediante l’assegnazione di un’identità provvisoria e a rilasciare al richiedente un doppio libretto/tessera universitario di riconoscimento, indicante il cognome e il nome scelto dallo stesso e la matricola universitaria. Stessa cosa anche nella prestigiosa università di Padova, fondata nel 1222, sotto l'auspicio di libertà d'espressione, libertà e cultura. Qui il Senato accademico ha deciso di dotare gli studenti transgender e transessuali di un badge che consentirà loro sia il cambio di nome nel libretto sia nei documenti universitari, in completa sintonia con la “nuova” identità.
Uno strappo piuttosto profondo nel già lacero tessuto delle norme e del nostro ordinamento giuridico. Ora anche Genova affonda il suo coltello, ma è solo l’ennesimo colpo. È quando hanno scritto al rettore dell’ateneo genovese un gruppo di giuristi che, pur volendo mantenere l’anonimato, hanno diffuso la loro lettera di protesta ai giornali. «Il concetto di “identità di genere” non è allo stato contemplato da alcun atto normativo nel nostro ordinamento», accusano i giuristi. Tale concetto, a differenza del sesso biologico, sfugge a ogni qualificazione giuridica per ragioni di certezza del diritto. Dunque: «Tutto ciò potrebbe quindi configurarsi come un’iniziativa praeter legem, non del tutto rispettosa dell’attuale normativa vigente, essendo lo spettabile ateneo parte del sistema d’istruzione dello Stato». Insomma, l’università sta agendo fuorilegge. In altre parole, l’iniziativa dell’ateneo genovese è un attacco al sistema dell’istruzione pubblica e, dato che la stessa cosa è già avvenuta in altre nove università italiane, ci troviamo di fronte un’eversione clandestina generalizzata. Non ha nulla da dire il ministro dell’Istruzione e dell’Università?
Strano modo, quello di questi dieci atenei, di interpretare lo spirito di “universitas” o praticare l’autonomia, legalizzando di fatto il pensiero gay gender, nonostante e contro la legge. Quali diritti stanno difendendo queste università, in nome di quale cultura e pensiero operano per garantire diritti inesistenti se non nei fondamenti di un’ideologia irragionevole e irreale? Il badge, la carriera alias e il doppio libretto per studenti trans che i governi accademici di questi atenei hanno inventato, somigliano tanto al registro dei matrimoni gay escogitati da tanti sindaci di sinistra per raccattare voti e favori dei potenti movimenti gay e Lgbt. Nelle università la caccia agli iscritti adotta gli stessi strumenti propagandistici del marketing aziendale, come negli spot gay friendly della Findus. Pur di strappare lo studente incerto, anche dal punto di vista sessuale, all’ateneo concorrente, si concede la “doppia iscrizione”. Qualcuno dovrebbe riportare questi magnifici e incredibili rettori alla legalità.
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