Omelia all'Olympiastadion di Berlin, 22 settembre 2011
Nella parabola della vite, Gesù non dice: “Voi siete la vite”, ma: “Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15,5). Ciò significa: “Così come i tralci sono legati alla vite, così voi appartenete a me! Ma appartenendo a me, appartenete anche gli uni agli altri”. E questo appartenere l’uno all’altro e a Lui non è una qualsiasi relazione ideale, immaginaria, simbolica, ma – vorrei quasi dire – un appartenere a Gesù Cristo in senso biologico, pienamente vitale. È la Chiesa, questa comunità di vita con Gesù Cristo e dell'uno per l’altro, che è fondata nel Battesimo e approfondita ogni volta di più nell’Eucaristia. “Io sono la vera vite”; questo, però, in realtà significa: “Io sono voi e voi siete me” – un’inaudita identificazione del Signore con noi, con la sua Chiesa. Cristo stesso, quella volta, vicino a Damasco, chiese a Saulo, il persecutore della Chiesa: “Perché mi perseguiti?” (At 9,4). In tal modo il Signore esprime la comunanza di destino che deriva dall’intima comunione di vita della sua Chiesa con Lui, il Risorto. Egli continua a vivere nella sua Chiesa in questo mondo. Egli è con noi, e noi siamo con Lui. – “Perché mi perseguiti?” –In definitiva è Gesù che vogliono colpire i persecutori della sua Chiesa. E, allo stesso tempo, questo significa che noi non siamo soli quando siamo oppressi a causa della nostra fede. Gesù Cristo è da noi e con noi.
Nella parabola, il Signore Gesù dice ancora una volta: “Io sono la vite vera, e il Padre mio è l’agricoltore” (Gv 15,1), e spiega che il vignaiolo prende il coltello, taglia i tralci secchi e pota quelli che portano frutto perché portino più frutto. Per dirlo con l'immagine del profeta Ezechiele, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, Dio vuole togliere dal nostro petto il cuore morto, di pietra, e darci un cuore vivente, di carne (cfr Ez 36,26). Vuole donarci una vita nuova e piena di forza. un cuore di amore, di bontà e di pace. Cristo è venuto a chiamare i peccatori. Sono loro che hanno bisogno del medico, non i sani (cfr Lc 5,31s.). E così, come dice il Concilio Vaticano II, la Chiesa è il “sacramento universale di salvezza” (Lumen gentium, 48) che esiste per i peccatori, per noi, per aprire a noi la via della conversione, della guarigione e della vita. Questa è la continua e grande missione della Chiesa, conferitale da Cristo. Alcuni guardano la Chiesa fermandosi al suo aspetto esteriore. Allora la Chiesa appare solo come una delle tante organizzazioni in una società democratica, secondo le cui norme e leggi, poi, deve essere giudicata e trattata anche una figura così difficile da comprendere come la “Chiesa”. Se poi si aggiunge ancora l'esperienza dolorosa che nella Chiesa ci sono pesci buoni e cattivi, grano e zizzania, e se lo sguardo resta fisso sulle cose negative, allora non si schiude più il mistero grande e bello della Chiesa. Quindi, non sorge più alcuna gioia per il fatto di appartenere a questa vite che è la “Chiesa”. Insoddisfazione e malcontento vanno diffondendosi, se non si vedono realizzate le proprie idee superficiali ed erronee di “Chiesa” e i propri “sogni di Chiesa”! Allora cessa anche il lieto canto “Sono grato al Signore, che per grazia mi ha chiamato nella sua Chiesa”, che generazioni di cattolici hanno cantato con convinzione.
Ma torniamo al Vangelo. Il Signore continua così: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me, … perché senza di me – si potrebbe anche tradurre: fuori di me – non potete far nulla” (Gv 15,4). Ognuno di noi è messo di fronte a tale decisione. Il Signore, nella sua parabola, ci dice di nuovo quanto essa sia seria: “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi raccolgono i tralci buttati via, li gettano nel fuoco e li bruciano” (cfr Gv 15,6). Al riguardo, S. Agostino commenta: “L’uno o l’altro spetta al tralcio, o la vite o il fuoco; se [il tralcio] non è nella vite, sarà nel fuoco; quindi affinché non sia nel fuoco, sia nella vite” (In Joan. Ev. tract. 81,3 [PL 35, 1842]). La scelta qui richiesta ci fa capire, in modo insistente, il significato fondamentale della nostra decisione di vita. Ma, allo stesso tempo, l'immagine della vite è un segno di speranza e di fiducia. Incarnandosi, Cristo stesso è venuto in questo mondo per essere il nostro fondamento. In ogni necessità e aridità, Egli è la sorgente che dona l’acqua della vita che ci nutre e ci fortifica. Egli stesso porta su di sé ogni peccato, paura e sofferenza e, in fine, ci purifica e ci trasforma misteriosamente in tralci buoni che danno vino buono. In questi momenti di bisogno, a volte ci sentiamo come finiti sotto un torchio, come i grappoli d’uva che vengono pigiati completamente. Ma sappiamo che, uniti a Cristo, diventiamo vino maturo. Dio sa trasformare in amore anche le cose pesanti e opprimenti nella nostra vita. Importante è che “rimaniamo” nella vite, in Cristo. In questo breve brano, l’evangelista usa la parola “rimanere” una dozzina di volte. Questo “rimanere-in-Cristo” segna l’intero discorso. Nel nostro tempo di inquietudine e di qualunquismo, in cui così tanta gente perde l’orientamento e il sostegno; in cui la fedeltà dell’amore nel matrimonio e nell’amicizia è diventata così fragile e di breve durata; in cui vogliamo gridare, nel nostro bisogno, come i discepoli di Emmaus: “Signore, resta con noi, perché si fa sera (cfr Lc 24,29), sì, è buio intorno a noi!”; in questo tempo il Signore risorto ci offre un rifugio, un luogo di luce, di speranza e fiducia, di pace e sicurezza. Dove la siccità e la morte minacciano i tralci, là in Cristo c’è futuro, vita e gioia, là c’è sempre perdono e nuovo inizio, trasformazione entrando nel suo amore.
Rimanere in Cristo significa, come abbiamo già visto, rimanere anche nella Chiesa. L’intera comunità dei credenti è saldamente compaginata in Cristo, la vite. In Cristo, tutti noi siamo uniti insieme. In questa comunità Egli ci sostiene e, allo stesso tempo, tutti i membri si sostengono a vicenda. Insieme resistiamo alle tempeste e offriamo protezione gli uni agli altri. Noi non crediamo da soli, crediamo con tutta la Chiesa di ogni luogo e di ogni tempo, con la Chiesa che è in Cielo e sulla terra. La Chiesa quale annunciatrice della Parola di Dio e dispensatrice dei sacramenti ci unisce con Cristo, la vera vite. La Chiesa quale “pienezza e completamento del Redentore” – come la chiamava Pio XII - (Pio XII, Mystici corporis, AAS 35 [1943] p. 230: “plenitudo et complementum Redemptoris”) è per noi pegno della vita divina e mediatrice dei frutti di cui parla la parabola della vite. Così la Chiesa è il dono più bello di Dio. Pertanto, Agostino poteva dire: “Ognuno possiede lo Spirito Santo nella misura in cui ama la Chiesa” (In Ioan. Ev. tract. 32, 8 [PL 35, 1646]). Con la Chiesa e nella Chiesa possiamo annunciare a tutti gli uomini che Cristo è la fonte della vita, che Egli è presente, che Egli è la grande realtà che cerchiamo e a cui aneliamo. Egli dona se stesso e così ci dona Dio, la felicità, l’amore. Chi crede in Cristo, ha un futuro. Perché Dio non vuole ciò che è arido, morto, artificiale, che alla fine è gettato via, ma vuole ciò che è fecondo e vivo, la vita in abbondanza, e Lui ci dà la vita in abbondanza.
Cari fratelli e sorelle! Auguro a tutti voi e a noi tutti di scoprire sempre più profondamente la gioia di essere uniti con Cristo nella Chiesa – con tutti i suoi affanni e le sue oscurità - di poter trovare nelle vostre necessità conforto e redenzione e che tutti noi possiamo diventare il vino delizioso della gioia e dell’amore di Cristo per questo mondo. Amen.
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