di Alessandro Elia
La sesta edizione della Marcia per la Vita quest’anno si terrà domenica 8 maggio in quel di Roma, con appuntamento dalle ore 8. 30 in Piazza Bocca della Verità. Il crimine dell’aborto procurato, conseguenza inevitabile del laicismo, del liberalismo, del democratismo e infine del Sessantotto, è stato legittimato anche in Italia nel 1978 con la legge 194, per colpa della quale il feto può essere ucciso nei primi tre mesi di gravidanza. Le motivazioni per partecipare sono innumerevoli e di seguito ne esporremo solo cinque, entro le quali possono esserne riassunte tante altre.
- I numeri dimostrano che si tratta di un genocidio
Il Novecento, considerato da molti come il secolo del progresso, della libertà, dei diritti e della pace, in realtà è stato il più sanguinario di sempre. Non poteva essere altrimenti, perché Dio è Signore della vita, e chiunque si vuole rendere indipendente dal proprio Creatore, come la Società moderna, può trovare soltanto la morte e nient’altro. Le ideologie del XX secolo, seppur con differenze sostanziali, sono tutte più o meno figlie della modernità. I totalitarismi, i fondamentalismi, le ideologie e i conflitti armati dello scorso secolo hanno fatto una valanga di morti. Si pensi alla Seconda Guerra Mondiale, che da sola è riuscita a mietere circa 50 milioni di vittime nelle maniere più cruenti. Tuttavia, pur sommando le suddette morti, non si riuscirebbe a eguagliare la strage degli aborti, che è tuttora in atto sotto i nostri occhi. Ogni anno nel mondo gli aborti procurati ammazzano circa 53 milioni di bimbi, secondo quanto riferisce l’Organizzazione mondiale della sanità. Ogni singolo giorno, 125mila innocenti muoiono nel grembo materno. In Italia gli aborti procurati sono più di centomila l’anno e in totale oltre 5 milioni dal 1978. Con quale coscienza si può parlare di diritti umani e al tempo stesso ignorare questo interminabile sterminio di innocenti?
- L’aborto sopprime una vita umana
L’embriologia dimostra che la vita di un essere umano inizia esattamente nel momento della fecondazione, ovverosia nella fusione tra lo spermatozoo del maschio e l’ovulo della femmina. In questo processo, l’unione di ventitré cromosomi del gamete maschile con ventitré cromosomi del gamete femminile produce una nuova cellula di quarantasei cromosomi. Questa cellula si chiama zigote e contiene un nuovo codice genetico. Si tratta di un individuo differente dal padre e dalla madre e da ogni altra persona. Il codice genetico (genotipo) dello zigote contiene l’informazione su tutte le caratteristiche del nuovo essere umano. Infatti, le caratteristiche ereditarie di un essere umano, unico e singolare, sono stabilite proprio al momento del concepimento e resteranno valide nel corso di tutta la sua vita. Questa evidenza scientifica non è più in discussione, tant’è che persino i medici abortisti sono costretti ad ammetterla.
- L’embrione è una persona
Un errore molto diffuso è di ritenere che ci sia una reale differenza tra essere umano e persona. Gli abortisti affermano che l’embrione è certamente un essere umano (come dimostra la biologia) però può essere considerato una persona solo “in potenza”. Questa tesi cosiddetta “funzionalista” si fonda sull’idea che l’embrione manca di molte capacità funzionali necessarie per essere qualificato come una persona. Ne consegue che l’aborto può essere giustificato perché i diritti scaturiscono dalla dignità e l’embrione, non essendo ancora una persona, non ha alcuna dignità. In realtà, l’embrione non può essere considerato una “persona in potenza” perché è già vivo (non è potenzialmente vivo) ed è quindi una “persona in atto”; è un essere vivente che “attua” il proprio sviluppo. Ciò che è in potenza non è la persona, la quale invece già esiste (come dimostra la scienza), ma le sue funzioni sono in potenza, ovvero tutte le qualità “potenziali” che sono già insite in lui. Se infatti queste “funzioni in potenza” non fossero già presenti nell’embrione in quanto persona umana, non potrebbero mai svilupparsi.
L’altro enorme equivoco abortista è di confondere la sostanza della persona con gli accidenti. Le capacità funzionali, infatti, non definiscono la persona ma, al contrario, la presuppongono. Le capacità funzionali, come ad esempio quelle non ancora attuate nell’embrione, costituiscono gli accidenti e non la sostanza di una persona. In altre parole, ci sono delle persone che mancano di alcune funzioni normali, come ad esempio i malati, i disabili e ovviamente i neonati, ma questi “deficit” non tolgono in alcuna maniera la natura di “persona”. Se non fosse così, per il solo fatto di non aver già sviluppato tutte le proprie qualità potenziali, i bambini appena nati potrebbero benissimo essere considerati degli esseri umani non ancora persone. Con questo perverso ragionamento si giunge, come hanno fatto diversi abortisti, a giustificare anche l’infanticidio e la soppressione del più debole.
L’essere persona dipende dalla natura ontologica e non dalla presenza di determinate funzioni. Infatti le funzioni dell’essere umano sono, per loro natura, transitorie ed effimere; tutte le qualità devono essere in un primo momento acquisite o quantomeno sviluppate, e in seguito, nel processo di invecchiamento, molte di queste funzioni man mano vengono meno. Ogni singola funzione della persona non è universalmente applicabile, come la capacità di comunicazione e il livello di coscienza o di abilità. Queste possono mancare nell’embrione, ma anche in molte altre persone afflitte da handicap o da malattie. Ciò prova che la tesi “funzionalista” è semplicemente assurda e insenata, perché confonde l’essenza della persona con delle capacità accidentali e non essenziali.
Ciò che qualifica veramente l’essere persona, non è qualcosa di passeggero, ma deve invece essere la Caratteristica universale e sempre valida con la quale si può definire la persona stessa. L’essenza della persona è la seguente: un essere umano individuale. Qualsiasi persona si può identificare perfettamente con un essere umano individuale, indipendentemente dallo stato del suo sviluppo o dagli accidenti che sono presenti in essa: dal concepimento sino alla morte non vi sarà persona alcuna che non sia un “essere umano individuale”. Per questa ragione l’aborto procurato è realmente un crimine, poiché uccide effettivamente una persona, ossia l’embrione o il feto, che è appunto un essere umano individuale.
- La donna non può avere diritto sulla vita del figlio
Nel grembo materno, dalla fecondazione in poi, si forma un essere umano distinto dalla madre, da cui dipende. La legge 194 avvalora il principio di autodeterminazione della donna come avente diritto di vita e di morte sul concepito. Il feto, in quanto essere umano individuale, è una persona e come tale possiede alcuni diritti fondamentali. Ogni aborto volontario è un crimine perché lede il diritto alla vita del feto. Ciò che avviene nell’intimità dell’utero materno non è una faccenda privata della donna; l’aborto interrompe la formazione e lo sviluppo di un essere umano che ha pieno diritto alla protezione legale. Quando questo viene minacciato di morte, si ha non solo il diritto ma anche il dovere d’interferire per evitare l’omicidio del nascituro. La legittimazione dell’aborto nega una legge oggettiva comune di coesistenza e si fonda invece sulla negazione di ogni principio di giustizia, ovvero sull’intenzionalità di un soggetto (la madre) nei confronti di un altro soggetto avente pari dignità (l’embrione). Infine, il diritto per eccellenza è il diritto alla vita; tutti gli altri diritti al di fuori di esso sono in realtà secondari e derivati. Perciò qualsiasi rivendicazione femminista in favore dell’aborto, sarà sempre per richiedere un diritto secondario rispetto a quello fondamentale e inalienabile del feto di avere salva la vita.
- La legge 194 è un’ingiustizia contro le donne
La cultura odierna detesta tutto ciò che rappresenta la femminilità e soprattutto la maternità, perciò non ha più alcun rispetto per la donna. Il processo della cosiddetta “emancipazione femminile” altro non è stato che un piano ben congeniato ed eseguito per strappare la donna a se stessa, rendendola tutto ciò che essa non è: una brutta copia dell’uomo. Il lavoro sfrenato e stressante ha occupato il posto del servizio gratuito e amorevole della casalinga, la sudditanza al capo di lavoro al posto della libera sottomissione al marito, la realizzazione lavorativa al posto della gioia immensa di essere madre. L’ideale astratto dell’indipendenza ha divorato la realtà concreta e straordinaria della famiglia.
Non è una casualità, infatti, se il culmine delle “conquiste” del femminismo è stato il diritto di poter uccidere proprio figlio nel grembo. A ogni aborto muore il feto e la madre con lui. Il feto nasce e si sviluppa nelle viscere della madre, è la sua stessa vita, è parte di lei. Il dolore di un aborto resta per tutta la vita. A parte le ferite esteriori, come l’emorragia, l’infezione, la perforazione dell’intestino ecc., l’aborto può produrre anche gravi traumi emotivi e psicologici come il rimpianto, il sentimento di colpa, la depressione, la perdita di autostima, l’ansia.
È compito dell’autorità politica di una civiltà proteggere gli innocenti e gli indifesi. Se ciò non accade, spetta a ogni cittadino intervenire, secondo le proprie possibilità, con decisione e fermezza per assicurarsi che sia rispettata la sacralità della vita. Chi non accetta di essere complice della congiura abortista, del suicidio di una società, dello sterminio di migliaia di feti, della prevaricazione permeante della cultura della morte, si decida a reagire, aiutando anzitutto con la preghiera, e possibilmente partecipi alla Marcia per la Vita a Roma domenica 8 maggio.
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