Sabato scorso in diverse città del mondo sono scese in piazza migliaia di persone per chiedere alle autorità norvegesi di risolvere il caso della famiglia Bodnariu per il bene dei figli
È ormai diventato un caso internazionale quello dei coniugi Bodnariu, la coppia di origine rumena a cui la Barnevernet, i servizi sociali norvegesi, ha tolto nei mesi scorsi la custodia dei figli per motivi nebulosi.
Sabato scorso, 16 aprile, in città di venti Paesi si sono susseguite proteste affinché le autorità norvegesi intervengano per dirimere una questione che assume contorni gravi. Cinque bambini, la più grande di 10 anni e il più piccolo di pochi mesi, sono stati sottratti ai loro genitori sulla base di una lettera inviata ai servizi sociali dalla direttrice della scuola frequentata dai piccoli.
L’insegnante, riportando il dialogo tra due bambine, annotava che i cinque fratelli avrebbero subito delle punizioni fisiche dai loro genitori. È bastato questo, nonostante i piccoli abbiano sempre negato d’esser stati oggetto di violenze, per far spedire a casa Bodnariu due sconosciuti a bordo di due auto nere che hanno portato via i bambini e hanno tratto in arresto per alcune ore i genitori.
Da quel giorno di novembre il legame familiare è stato reciso, solo a inizio aprile il piccolo di pochi mesi è stato restituito alle cure della mamma che lo stava allattando.
Un gesto minimo di umanità, quest’ultimo, che si perde come un goccio d’acqua in un terreno arido. Sono troppi gli interrogativi che aleggiano intorno alla vicenda. La Norvegia è nota per essere estremamente severa nei confronti dei genitori che alzano le mani ai loro figli: metodo d’educazione considerato illegale e punibile con l’intervento dei servizi sociali.
Ma secondo molti, a cominciare dall’avvocato difensore dei Bodnariu, sulla questione pesa il pregiudizio religioso delle autorità norvegesi. Posto che gli stessi bambini hanno negato d’aver subito abusi (a parte qualche sculacciata) e che nessun segno di violenza sia mai stato trovato sui loro fisici, si suppone che il motivo del contendere siano i principi cristiani con i quali i Bodnariu, famiglia evangelica, stavano educando i propri figli. Alcuni documenti ottenuti dall’avvocato confermerebbero questa tesi.
Con fredda solerzia, secondo i sostenitori delle ragioni dei Bodnairu, le autorità norvegesi hanno agito senza rispettare la procedura legale preliminare e senza un’indagine per accertare lo stato psico-fisico dei piccoli. Di qui la protesta dei due coniugi e di un ampio circuito di sostegno che si è sviluppato in tutto il mondo trovando il suo culmine in Romania.
Sabato scorso, migliaia di voci si sono alzate da piazze d’ogni latitudine. Anche l’Italia si è mobilitata a favore dei Bodnariu. Diverse centinaia di persone, in gran parte immigrati rumeni, si sono radunate sotto il Consolato della Norvegia a Milano e altri numerosi drappelli si sono riuniti a Bologna e Roma.
Il caso è giunto pure Oltreoceano, dove se ne è occupata in un servizio andato in onda mercoledì scorso la Bbc. A una manifestazione di protesta svoltasi a Phoenix, in Arizona, ha partecipato anche Trent Franks, deputato repubblicano al Congresso statunitense.
Ma più della voce della politica, si eleva quella della Chiesa ortodossa rumena. Macarios, vescovo del Nord Europa, ha sottolineato all’agenzia Agerpres che “qualsiasi separazione dei bambini dai loro genitori è di per sé un trauma le cui conseguenze a medio e lungo termine possono essere molto difficili da valutare”.
Il vescovo, ricordando inoltre che “l’amore della famiglia non potrà mai essere sostituito da un inquadramento istituzionale”, fa appello allo Stato affinché possa considerare che la famiglia è il luogo più adatto per formare “un’educazione e un sano equilibrio emotivo del bambino”.
Appello che sembra per ora infrangersi contro i fiordi norvegesi. Le autorità del Paese scandinavo mantengono il punto sulla loro severa e controversa decisione. Lars Andersen, ministro-consigliere dell’Ambasciata norvegese in Spagna, ha difeso il lavoro della Barnevernet lasciando intendere che Oslo non farà alcun passo indietro.
Atteggiamento che suscita la reazione dei sostenitori della famiglia Bodnariu. I quali, a cominciare dal loro legale, annunciano che “la battaglia per i bambini continua”.
Sabato scorso, 16 aprile, in città di venti Paesi si sono susseguite proteste affinché le autorità norvegesi intervengano per dirimere una questione che assume contorni gravi. Cinque bambini, la più grande di 10 anni e il più piccolo di pochi mesi, sono stati sottratti ai loro genitori sulla base di una lettera inviata ai servizi sociali dalla direttrice della scuola frequentata dai piccoli.
L’insegnante, riportando il dialogo tra due bambine, annotava che i cinque fratelli avrebbero subito delle punizioni fisiche dai loro genitori. È bastato questo, nonostante i piccoli abbiano sempre negato d’esser stati oggetto di violenze, per far spedire a casa Bodnariu due sconosciuti a bordo di due auto nere che hanno portato via i bambini e hanno tratto in arresto per alcune ore i genitori.
Da quel giorno di novembre il legame familiare è stato reciso, solo a inizio aprile il piccolo di pochi mesi è stato restituito alle cure della mamma che lo stava allattando.
Un gesto minimo di umanità, quest’ultimo, che si perde come un goccio d’acqua in un terreno arido. Sono troppi gli interrogativi che aleggiano intorno alla vicenda. La Norvegia è nota per essere estremamente severa nei confronti dei genitori che alzano le mani ai loro figli: metodo d’educazione considerato illegale e punibile con l’intervento dei servizi sociali.
Ma secondo molti, a cominciare dall’avvocato difensore dei Bodnariu, sulla questione pesa il pregiudizio religioso delle autorità norvegesi. Posto che gli stessi bambini hanno negato d’aver subito abusi (a parte qualche sculacciata) e che nessun segno di violenza sia mai stato trovato sui loro fisici, si suppone che il motivo del contendere siano i principi cristiani con i quali i Bodnariu, famiglia evangelica, stavano educando i propri figli. Alcuni documenti ottenuti dall’avvocato confermerebbero questa tesi.
Con fredda solerzia, secondo i sostenitori delle ragioni dei Bodnairu, le autorità norvegesi hanno agito senza rispettare la procedura legale preliminare e senza un’indagine per accertare lo stato psico-fisico dei piccoli. Di qui la protesta dei due coniugi e di un ampio circuito di sostegno che si è sviluppato in tutto il mondo trovando il suo culmine in Romania.
Sabato scorso, migliaia di voci si sono alzate da piazze d’ogni latitudine. Anche l’Italia si è mobilitata a favore dei Bodnariu. Diverse centinaia di persone, in gran parte immigrati rumeni, si sono radunate sotto il Consolato della Norvegia a Milano e altri numerosi drappelli si sono riuniti a Bologna e Roma.
Il caso è giunto pure Oltreoceano, dove se ne è occupata in un servizio andato in onda mercoledì scorso la Bbc. A una manifestazione di protesta svoltasi a Phoenix, in Arizona, ha partecipato anche Trent Franks, deputato repubblicano al Congresso statunitense.
Ma più della voce della politica, si eleva quella della Chiesa ortodossa rumena. Macarios, vescovo del Nord Europa, ha sottolineato all’agenzia Agerpres che “qualsiasi separazione dei bambini dai loro genitori è di per sé un trauma le cui conseguenze a medio e lungo termine possono essere molto difficili da valutare”.
Il vescovo, ricordando inoltre che “l’amore della famiglia non potrà mai essere sostituito da un inquadramento istituzionale”, fa appello allo Stato affinché possa considerare che la famiglia è il luogo più adatto per formare “un’educazione e un sano equilibrio emotivo del bambino”.
Appello che sembra per ora infrangersi contro i fiordi norvegesi. Le autorità del Paese scandinavo mantengono il punto sulla loro severa e controversa decisione. Lars Andersen, ministro-consigliere dell’Ambasciata norvegese in Spagna, ha difeso il lavoro della Barnevernet lasciando intendere che Oslo non farà alcun passo indietro.
Atteggiamento che suscita la reazione dei sostenitori della famiglia Bodnariu. I quali, a cominciare dal loro legale, annunciano che “la battaglia per i bambini continua”.
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