Pagine

mercoledì 25 maggio 2016

«Mamma e catechista, ho lasciato il catechismo». Cronaca di un ordinario fallimento parrocchiale

«Mamma e catechista, ho lasciato il catechismo». Cronaca di un ordinario fallimento parrocchiale
 
Sono una mamma e una catechista e ho abbandonato il catechismo, che tanto amavo, due anni fa per due motivi: il disgusto per la diserzione dal catechismo della Chiesa Cattolica e per non trascurare la famiglia (ho tre bimbi molto piccoli). Evidentemente a Nostro Signore non manca la fantasia per richiamare in riga i suoi figli.

Accade che in una mattina come tante, nel tranquillo svolgersi del tran tran quotidiano, suona alla mia porta una mamma della nostra parrocchia; viviamo in un paesino sulle colline della diocesi di Torino, e mi dice che deve parlarmi del catechismo.

La mamma in questione, insieme ad altre, già da qualche mese mi fermava per strada per lamentarsi del catechismo, ma quello che fino a ora era stato improvvisato e oggetto battute da strada, ora stava diventando una formale richiesta di aiuto.

Nella mia parrocchia – e non solo qui – quello che viene chiamato catechismo, negli anni è andato incontro a un degrado imbarazzante: si tratta di quel percorso di “iniziazione cristiana”  – così come si ama chiamarlo nelle diocesi e sui testi della CEI – in cui ci si avvicina ai Sacramenti: confessione in terza elementare, prima Comunione in quarta e Cresima in prima media. Il tutto affidato alla buona volontà di pie signore, perlopiù esse stesse a digiuno di catechetica, la cui formazione è affidata, nella migliore delle ipotesi, a qualche ritiro annuale in cui di tutto si parla fuorché di Catechismo.

Anni e anni avanti così. Poi un giorno ci si accorge che qualcosa non va. Qualcuno in parrocchia si rende conto dell’emergenza: le famiglie sono scristianizzate, i ragazzi arrivano a otto anni a completo digiuno della vita della fede, le catechiste si improvvisano e le lezioni si trasformano in perfette partite di pugilato. Si urla tutta l’ora. I ragazzini ridono sguaiatamente in faccia alla catechista, lei va nel pallone, perde la concentrazione e dimentica persino il Padre Nostro. Quando va bene si riesce a far loro disegnare una pecorella smarrita da appendere in Chiesa nel cartellone dell’ultim’ora. Ci si accorge che in prima media, alle soglie della Cresima, non sanno definire la persona di Dio, non sanno nulla della Trinità e via così.

E così una suora e una laica sono incaricate dal parroco di studiare nuove strategie per porre fine a questa babilonia e riprendere finalmente in mano le redini della formazione dei giovani, anche su invito del Vescovo che invia un lungo documento, un vademecum, rivolto alle parrocchie, in cui dottamente si illustrano scopi, fini,  obiettivi, criticità, consigli, speranze e auspici riguardo la formazione dei ragazzi.

Alla fine viene concepita a tavolino la seguente machinatio: decine di onerosissimi incontri serali con i genitori dei bambini di seconda elementare inermi e perlopiù agnostici, mirati al riavvicinamento. Si ipotizza di suscitare in essi un desiderio di avvicinamento alla fede che possa poi essere importato in famiglia e trasmesso ai figli e, mira assai più ambiziosa, di creare una sorta di “vivaio” in cui allevare possibili futuri catechisti (roba che solo il Santo Curato d’Ars…). Queste serate si svolgono in un tale vuoto di sostanza cristiana che si trasformano sì in un vivaio, ma di rancore e astio misti a noia mortale, che sono ben lontani dall’avvicinare le famiglie alla Grazia di Nostro Signore.

Le povere vittime, dopo aver accettato di partecipare tutto l’anno a questi incontri, in obbedienza ai dettami del parroco,  per una commovente residua fedeltà alle tradizionali tappe dell’iniziazione cristiana, a fine anno tentano di parlare con chi ha tenuto le serate per far presente che questo sistema è fallato in partenza. Che non hanno imparato nulla, che si sono pagate pure la baby sitter e che sono più lontane di prima dalla fede cristiana. Se ne accorgono persino loro, che non vanno in chiesa da anni, che hanno dimenticato quasi tutto della loro fede, che sono magari battezzate e sposate in chiesa  ma, immerse nella mentalità del mondo come la maggior parte delle famiglie moderne, ormai allergiche al “dogma”, guardano con sospetto la Chiesa e la sua dottrina. La tanto vituperata dottrina che qualche illustre teologo e monsignore si preoccupano con solerzia di montare e smontare a piacimento nell’illusione di non urtare la sensibilità dei cattolici ormai adulti. I quali invece, in un paradosso esemplare, tristi e sconsolati di fronte alle macerie di una Chiesa che intuiscono in decadenza, supplicano i loro carnefici di riportali ad essa (alla dottrina) e si trovano di fronte a un rifiuto categorico. E qui il carnefice diventa castigo a se stesso, come dice l’ottimo Alessandro Gnocchi, perché impossibilitato dalle proprie scelte a fare ritorno alla retta via.

Quando le famiglie vengono in contatto con questi salotti dall’aria fritta che sono le parrocchie, avvertono che lì dentro si respira male, che non c’è spazio per la Verità, che qualcuno li sta prendendo in giro. Provano ad abborracciare una protesta ma il sistema li rigetta. La parrocchia risponde nisba, il catechismo (quello vero, tradizionale)  non te lo insegno, nemmeno se mi supplichi in ginocchio. Ne a te, né ai tuoi figli. Punto. Meglio leggere i salmi (?!) e commentarli a braccio per decine di incontri, continuando a tenervi all’oscuro di tutte le più semplici e palesi verità della nostra fede.

Così i genitori si ricordano di me, che sono solo una poveretta che per cinque anni ha tentato di spiegare ai bambini alla “bene e meglio” chi è Dio, perché ci ha creati, cos’è la Creazione, il peccato originale, i dieci Comandamenti, chi è Gesù, perché è morto in croce, cos’è il segno della Croce, i Sacramenti, la S. Messa, la Madonna, gli angeli e i santi. Tutti argomenti tabù, soprattutto se trattati con verità, semplicità e devozione, senza quegli intellettualismi o, peggio, dissacranti banalizzazioni, che invece di avvicinare non fanno che suscitare legittimo scetticismo.

Mi chiedono di fare lezioni di catechismo vero ai loro figli. Fuori dal circuito parrocchiale. Da privatisti. Di insegnare loro ad avere un rapporto vero con Dio, così che poi, parole testuali, “saranno poi loro a portare a messa noi”.

Quasi quasi mi ci butto, penso. In fondo non vedevo l’ora di ricominciare il catechismo e avevo una certa riluttanza però, a pensare di rientrare nel giro vizioso della parrocchia.

Epilogo:

Dopo qualche settimana, le mammine arrabbiate vanno dal parroco, per tentare un ultimo approccio. Gli parlano a cuore aperto e viene fuori che io esisto e che sono disponibile. A quel punto il nemico esce allo scoperto e la mia figura, con tutti i miei metodi (chissà quali poi) vengono messi al bando palesemente dal parroco il quale spiega chiaramente alle mamme che il mio metodo è scaduto, non è più valido, è dogmatico e non viene più utilizzato nelle parrocchie dunque, se non vogliono uscire dal giro e, in poche parole, se vogliono i sacramenti per i loro figli, occorre rimanere nell’alveo della diocesi. Punto.

Apostasia della Chiesa. Un parolone che da giovane non capivo tanto.

Ora so cos’è.

Non credo che finirà qui. Rimango in attesa fiduciosa degli eventi nella preghiera.

A.P.

Nessun commento:

Posta un commento