E poi Gesù si stacca da terra e una nube lo sottrae agli occhi dei suoi Discepoli. È il suo ultimo atto terreno dopo la Risurrezione. Da quell’istante sul Monte degli Ulivi, come vuole la tradizione, Gesù esce fisicamente dalla storia umana per entrare fisicamente nel Regno di suo Padre. Ma tra le due dimensioni del cielo e la terra resta una continuità. Le nubi dalle quali Cristo viene coperto non sono il simbolo di una porta che si è chiusa. La continuità, la porta che rimane aperta tra terra e cielo – spiega Benedetto XVI – è Gesù stesso:
“Nel Cristo asceso al cielo, l’essere umano è entrato in modo inaudito e nuovo nell'intimità di Dio; l'uomo trova ormai per sempre spazio in Dio. Il ‘cielo’ non indica un luogo sopra le stelle, ma qualcosa di molto più ardito e sublime: indica Cristo stesso, la Persona divina che accoglie pienamente e per sempre l’umanità, Colui nel quale Dio e uomo sono per sempre inseparabilmente uniti”. (Messa a Cassino, 24 maggio 2009)
Il dinamismo dell’Ascensione non può che trasportare i pensieri dell’anima al dinamismo inverso, quello dell’Incarnazione, quando il figlio di Dio ha schiuso per la prima volta, con la sua venuta tra gli uomini, la via di comunicazione tra il cielo e la terra. Ma già in quella “discesa”, afferma il Papa, è contenuta l’ascesa che verrà. E lo è in un modo che nessun asceta potrà mai eguagliare, perché è solo di Cristo:
“Egli infatti è venuto nel mondo per riportare l’uomo a Dio, non sul piano ideale – come un filosofo o un maestro di saggezza – ma realmente, quale pastore che vuole ricondurre le pecore all’ovile. Questo ‘esodo’ verso la patria celeste, che Gesù ha vissuto in prima persona, l’ha affrontato totalmente per noi. E’ per noi che è disceso dal Cielo ed è per noi che vi è asceso, dopo essersi fatto in tutto simile agli uomini, umiliato fino alla morte di croce, e dopo avere toccato l’abisso della massima lontananza da Dio”. (Regina Caeli del 4 maggio 2008)
L’Ascensione è, per così dire, la “strada” opposta alla massima lontananza. Con essa Gesù torna al fianco del Padre. E tuttavia, ha detto una volta Benedetto XVI, l’Ascensione non è neanche una “temporanea assenza dal mondo”. Perché Gesù ha promesso che resterà accanto ai suoi per sempre. Dunque, quella elevazione che lascia ammutoliti i pochi privilegiati che vi assistono non è l’inizio di una fine, e nemmeno una straordinaria uscita dalla scena del mondo. È di più: l’indicazione di una direzione, la traiettoria cui sono chiamati coloro che seguiranno il Vangelo. È l’immagine che dà un’altezza e una profondità al mistero del “già e non ancora”:
“Il Signore attira lo sguardo degli Apostoli verso il Cielo per indicare loro come percorrere la strada del bene durante la vita terrena. Egli, tuttavia, rimane nella trama della storia umana, è vicino a ciascuno di noi e guida il nostro cammino cristiano: è compagno dei perseguitati a causa della fede, è nel cuore di quanti sono emarginati, è presente in coloro a cui è negato il diritto alla vita”. (Regina Caeli, 16 maggio 2010)
L’Ascensione rende tangibile anche un’altra realtà: quella della trascendenza della Chiesa. Mentre costruisce il Regno di Dio sulla terra, la Chiesa marcia verso l’altra sua destinazione. La Chiesa, ha osservato il Papa…
“…non è nata e non vive per supplire all’assenza del suo Signore ‘scomparso’, ma al contrario trova la ragione del suo essere e della sua missione nella permanente anche se invisibile presenza di Gesù, una presenza operante mediante la potenza del suo Spirito. In altri termini, potremmo dire che la Chiesa non svolge la funzione di preparare il ritorno di un Gesù ‘assente’, ma, al contrario, vive ed opera per proclamarne la ‘presenza gloriosa’ in maniera storica ed esistenziale
Benedetto XVI
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