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venerdì 20 maggio 2016

PROMESSI ALL'UNICO SPOSO CAPACE DI VINCERE CON L'AMORE LA DUREZZA DEL CUORE  
Vi sono domande che non cercano risposte, domande che sembrano pistole puntate. Gesù ne ha fatto più volte esperienza. E il tema del Vangelo di oggi è di quelli scottanti, duemila anni fa come oggi. I farisei conoscevano perfettamente la Torah. E, di essa, ogni cavillo legislativo. Essi si avvicinano a Gesù per metterlo alla prova, per coglierlo in fallo, per poterlo denunciare come eretico. Loro conoscevano quello che stabiliva Mosè circa il ripudio. Interrogano Gesù per sapere cosa ne pensasse, della Legge e di Mosè, e così, con una domanda trabocchetto, volevano sapere che cosa Lui pensava di loro, paladini della purità e del compimento della Legge. Tante nostre discussioni conservano lo stesso sapore. Sappiamo bene dove sia la verità, e domandiamo, parliamo, ci scaldiamo mossi solo dal desiderio di veder crollare i nostri interlocutori, di tracciare un segno ben marcato a dividere gli "altri" tra amici e nemici, buoni e cattivi, onesti e mascalzoni. Molte, troppe volte, parliamo per poter viaggiare sicuri nelle nostre decisioni e sapere chi è dei nostri e chi non lo è. Ma "Gesù conosceva il cuore" dei farisei, come conosce il nostro. Lui è Dio. E risponde, inaspettatamente, con un'altra domanda, diversa dalla loro, perché piena d'amore. Avrebbe potuto stare lì a discutere, umiliare, deridere, vincere la sua battaglia ideologica, smascherare la perfidia e l'ipocrisia dei farisei. Lo potrebbe fare mille volte con noi. Invece il suo amore colpisce al cuore, incarnato nelle sue parole che, come una lama a doppio taglio, penetrano sino alle giunture più recesse dello spirito. Le sue parole, un bagliore di luce nell'oscurità del cuore indurito, il cuore dei farisei come quello di ciascuno di noi. E' questa la parola chiave del Vangelo di oggi: sklerokardia, la malattia del nostro cuore. E' un termine rarissimo nel Nuovo Testamento, è usato solo qui (e nel parallelo di Mt. 19,8) e nel finale di Marco, quando Gesù risorto, apparendo ai discepoli, li rimprovera per la loro incredulità e durezza di cuore. La malattia del cuore è dunque l'incredulitàSi comprendono allora meglio le parole di Gesù sull'indissolubilità del matrimonio se le poniamo nel loro proprio contesto che è la fede. I farisei sono ciechi, non comprendono nulla di Gesù, esattamente come i discepoli. Non hanno fede. Il cammino sin qui percorso da Gesù, i fatti, i miracoli, le sue parole, ce lo hanno svelato. Pietro stesso, la mente preda di pensieri secondo il mondo, è apostrofato satana dal suo Maestro. E il menzognero sin da principio ispira anche i pensieri e le infide domande dei farisei. Parlando di un "ordine" da parte di Mosè Gesù apre la porta della verità dinnanzi ai farisei. Mosè infatti non ha dato alcun ordine riguardo al ripudio. In Dt. 24, 1-4, l'unico passo della Torah che ne tratta, il divorzio è scontato. In esso si tratta più specificatamente del caso di un uomo che ha ripudiato la moglie e vuole sposarla di nuovo, dopo che ella è stata sposa di un altro uomo. I farisei, che conoscono la Legge, rispondono infatti che non v'è nessun ordine in materia, ma solo un permesso. Si permette qualcosa non solo perchè sia valida, ma, a volte, si permette di fare qualcosa anche per riguardo alla debolezza. O per la durezza del cuore. Non si tratta quindi di liceità o meno. Il matrimonio è qualcosa di molto più grande, riguarda il principio, riguarda Dio, e, in Lui, raggiunge il cuore degli uomini, degli sposi. E' il peccato d'orgoglio di Adamo ed Eva che ha rotto l'equilibrio d'amore pensato da Dio. E' stata la loro incredulità, la durezza del loro cuore dinanzi al potere e all'autorità di Dio a spezzare il progetto di Dio sulla Sua creatura. La durezza di cuore che percorre tutta la storia di Israele è come cristallizzata nelle parole dei farisei del vangelo di oggi. La nostra durezza, la nostra malattia.


Il matrimonio, tale come traspare dalle parole di Gesù, è essenzialmente una Buona Notizia dell'amore di Dio, l'opera che Dio ha pensato creando l'uomo. Infatti la Scrittura, per parlare del rapporto tra Dio e l'uomo, usa immagini nuziali di rara bellezza e di sconosciuta misericordia. Dio ha sempre avuto misericordia del suo Popolo, anche quando ne è stato tradito più vergognosamente. E lo ha sempre amato e perdonato. Non vi era dunque solo un principio davanti agli occhi dei farisei. Vi era anche una storia di secoli, storia di misericordia dalla quale attingere per comprendere il mistero del matrimonio. Ma la storia sino a quel giorno non era bastata, come non basta per noi. Era necessario qualcosa di più, l'amore sino alla fine di Cristo. La croce, il letto d'amore dove Dio, nel suo Figlio, ha sposato tutti noi, il legno dove ci ha fatti carne della sua carne, una sola cosa con Lui. La parola della croce è la luce che promana dalle parole di Gesù. In essa Lui ha compiuto quel che oggi ci annuncia. Il principio nel quale Dio ha creato l'uomo a sua immagine, maschio e femmina, perchè fossero una sola carne e che nessuno avrebbe mai dovuto separare, l'amore che Dio ha pensato per ogni uomo, trova il compimento nella croce del Figlio. La fede nella croce, nel suo amore infinito, è il fondamento di ogni matrimonio. Non si tratta di carattere, affinità, etc. Si tratta di fede dinanzi alla croce, la fede di chi ha sperimentato l'amore di Dio capace di sciogliere un cuore indurito. L'amore che vince l'incredulità, le sue piaghe gloriose nelle quali sono impressi i nomi di tutti noi. Adamo cade in un sonno profondo mentre Dio estrae dal suo petto una costola per formarvi Eva, profetizzando il sonno di Cristo sulla Croce, la ferita del costato, la creazione della sua sposa immacolata, la Chiesa. L'amore nuziale è questa opera divina, e il suo compimento è il risveglio di Adamo e l'incontro pieno di stupore dinanzi a quella parte di sé per la quale era nato, per la quale aveva ricevuto quel corpo, e quella costola, che ha dovuto offrire nel sonno del sacrificio: “Lo stupore è il desiderio di sapere qualcosa. Esso nasce nell’uomo per il fatto che egli vede l’effetto e ignora la causa, per il fatto che la causa di quell’effetto trascende la conoscenza e la capacità dell’uomo. Perciò lo stupore è causa di piacere, in quanto vi è congiunta la speranza di poter giungere a conoscere ciò che desidero sapere” (S. Agostino). Il piacere esultante di Adamo dinanzi a quella donna, a quell'altro io che era quel tu così bello, e unico capace di richiudere la ferita che gli era occorsa nel petto. Solo Eva, solo lei era destinata a quell'anfratto che lo percuoteva e lo faceva sentire mancante, mendicante e incompleto: "Ciò che gli era stato rubato, gli è stato reso, trasfigurato dalla bellezza (Giacomo di Saroug, Hexameron ; Omelia per il sesto giorno). Era lei la sua pienezza, lei e solo lei, e per questo, diveniva gioia, piacere, stupore. Attraverso di lei sorgeva in Adamo la speranza di conoscere la fonte di tutto quello straripamento di pace, quel senso di pienezza e di soddisfazione, la fonte inestinguibile di ogni amore, di quell'amore che, lui lo sentiva, era l'unico che dava senso a tutto, al Paradiso nel quale era stato posto, alla sua esistenza. Eva era la porta che gli dischiudeva il mistero del principio, l'origine ferma e certa della sua stessa vita. Il principio di ogni amore è dentro un sonno fecondo, e nell'incedere sicuro di Dio che accompagna Eva al suo sposo, a quell'unico uomo per il quale e dal quale era stata tratta. Eva era un dono, ecco il segreto, il dono scaturito dal suo sonno, il frutto della Croce e della risurrezione del Signore. Eva, la sposa, l'unico approdo perchè il sonno non torni, malvagio questa volta, a strappare quell'allegria piena: "Amore mio, che altro posso fare? Quale altra occupazione può avere un uomo valido su questa terra, fuorché di sposarvi? Che alternativa c'è al matrimonio, eccetto il sonno?" (Gilbert Keith Chesterton, Le avventure di un uomo vivo). Sempre sussiste, tuttavia, la possibilità di ribellarsi contro quel disegno d'amore: si ripresenta allora quella "durezza del cuore" (cfr Mt 19, 8) per la quale Mosè permise il ripudio, ma che Cristo ha definitivamente vinto. A tali situazioni bisogna rispondere con l'umile coraggio della fede, di una fede che sostiene e corrobora la stessa ragione, per metterla in grado di dialogare con tutti alla ricerca del vero bene della persona umana e della società. Considerare l'indissolubilità non come una norma giuridica naturale, ma come un semplice ideale, svuota il senso dell'inequivocabile dichiarazione di Gesù Cristo, che ha rifiutato assolutamente il divorzio perché "da principio non fu così" (Mt 19,8). Il principio del disegno di Dio ci è consegnato oggi nella Croce del Signore. La sua croce nella nostra, il luogo dove ci dà ogni giorno appuntamento per essere con Lui una sola carne. E, in lui, una sola carne marito e moglie, spesso "croci" gli uni per gli altri, e, quindi, nel Signore, più saldamente uniti. Indissolubilmente. E' nella croce che Dio li ha uniti, per sempre. Il verbo greco synezeuxen che indica "congiunto" infatti, è formato dalla preposizione-prefissos yn ("con") e dalla radice zeug-, che descrive anche due animali uniti dal "giogo" (zeugos). Il giogo che unisce gli sposi è dunque il giogo di Cristo, mite e umile di cuore. Esso è leggero e dolce perchè è l'unico adeguato a ciascuno dei due, l'unico che li fa, giorno dopo giorno, una sola carne. Non può esservi giogo diseguale, pena inciampare, cadere, rompere l'unità. Il giogo di Cristo, le sue braccia distese ad unire gli sposi, il suo amore infinito che ogni giorno perdona, e fa perdonare; ama e dona di amare. Che Dio conceda a tutti noi, "rientrati a casa" con il Signore, nel seno benedetto della Chiesa dove siamo gestati nella verità e nella libertà dei figli, la fede capace di aprire gli occhi sulla croce gloriosa del Signore risorto, e credere all'amore che vince ogni male, la fonte di vita per ogni matrimonio, il giogo soave che conduce gli sposi, indissolubilmente uniti, sino al Cielo.

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