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sabato 29 aprile 2017

“A tavola” con Cristo ogni storia trova il suo senso


La Pasqua è il trionfo della libertà. Il Vangelo di questa Domenica descrive la pedagogia divina, che educa l’uomo accompagnandolo sin dove la sua libertà schiava della carne lo conduce; e qui, trasformarlo nell’amore in un figlio di Dio, libero davvero per convertirsi, ovvero per ritornare “senza indugio” nel cuore della comunione e della Verità. 
E’ il Vangelo dei lontani! In piena Pasqua è il Vangelo di chi non capisce e rifiuta la Pasqua. Perché c’è anche questo, c’era nella Chiesa primitiva, c’è stato durante la storia della Chiesa, c’è oggi. E c’è una Pasqua anche per quelli che, pur avendo ascoltato che “Gesù è vivo”, non hanno celebrato nulla, incamminati in direzione opposta al Cenacolo. 
Il cammino dei due discepoli di Emmaus, infatti, è il cammino di quanti si allontanano dalla Chiesa, forse insoddisfatti perché le promesse e le aspettative sono state deluse: “Noi speravamo che Gesù fosse colui che avrebbe liberato Israele”. Noi speravamo che Dio ascoltasse le nostre preghiere, e invece niente, papà è morto, mio figlio non ha lavoro, di un fidanzato neanche l’ombra. 
Noi speravamo che nella Chiesa ci fosse amore e carità, e invece il parroco pensa solo ai soldi, le persone sono ipocrite, le messe una sentina di giudizi e ostentazione. Noi speravamo che, anche se divorziati, potessimo essere accolti e fare la comunione, e invece qui ci impediscono di ricevere proprio Colui che dicono ami tutti. 
Noi speravamo, ce lo avevano insegnato a catechismo, che esistesse Dio e che Gesù fosse risuscitato, ma erano tutte chiacchiere ingannevoli; a scuola sì che il professore di filosofia ci ha schiarito le idee: crociate, inquisizione, potere temporale, e poi lo Ior e i preti pedofili, e tutte queste leggi omofobe e sessuofobe che sembrano fatte apposta per frustrare i sentimenti e i desideri più diversi. La ragione con la sua scienza accidenti, solo questa può spiegare quello che nessun prete è stato in grado di chiarire.
Noi speravamo, e in questo “noi” ci siamo tutti, tu ed io innanzitutto, e poi i nostri figli che dopo la cresima hanno salutato la Chiesa, i parenti, gli amici, i colleghi. Tutti quelli che abbiamo avuto un contatto con Cristo e la sua Chiesa e, per un motivo o per un altro, ce ne siamo allontanati. 
Chi da molto tempo, ed è ormai preso dai tentacoli del mondo e dai suoi criteri; e chi giusto il tempo per far causa a un vicino di casa, o per chiudere la porta del cuore alla moglie, o per farsi giustizia, visto che “sono passati tre giorni” e da Dio nessuna risposta.
Ed è proprio in tutta questa confusione e ignoranza che risplende la Pasqua; proprio “mentre” siamo “in cammino”, ciascuno diretto al proprio “villaggio di nome Èmmaus”, o Roma, o Tokyo: o le idee e le ideologie, o i giudizi sui preti e su Dio stesso, o il bar dove evaporare la gioventù, o qualsiasi luogo “distante circa undici chilometri da Gerusalemme” che è immagine della Chiesa, dove cerchiamo ragione del dolore, consolazione per i fallimenti, pace per le nevrosi, e senso che ci liberi dai complessi.
Sì, anche ogni cammino che ci allontana da Dio avviene “in quello stesso giorno”, il giorno di Pasqua! La resurrezione di Cristo ci abbraccia proprio “mentre”, come i due discepoli, “conversiamo e discutiamo” cercando di capire ma senza discernimento, nell’impossibilità di accettare il piano di Dio, che la via alla felicità e alla vita piena passa per la Croce.
Quando Papa Francesco ripete di andare alle “periferie dell’esistenza” e di preoccuparsi di annunciare il Vangelo della misericordia prima di affermare i principi, ci sta indicando quanto accaduto sulla strada che conduceva a Emmaus! 
Su di essa transitano – “con il volto triste” perché lontano dalla Verità e dall’amore non c’è felicità – tutti gli “stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti”, ovvero la Chiesa e i suoi pastori, i catechisti, i genitori, e coloro che annunciano il Vangelo. Verso Emmaus camminano tutti quelli che, ingannati dal demonio, son gonfi d’orgoglio e interpretano tutto secondo le leggi dure e senza pietà della carne e del mondo. 
Tutti quelli che l’incontro con Cristo aveva sedotto, innescando speranze, forse infantili, acerbe, sentimentali. Gesù è stato importante fintanto che è stato “profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo”. Ma quando “i capi dei sacerdoti e le autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso”, ci siamo scandalizzati, perché la carne non può accogliere ciò che trascende la ragione; essa è schiava della superbia “originale” che rifiuta l’amore perché è lei a dire cosa e come Dio “deve” operare. 
Abbiamo sperato in Gesù, ma non in Gesù crocifisso. E perché? Perché non ci conosciamo e non ci riconosciamo peccatori; perché chiunque si allontana da Gerusalemme non ha compreso che “bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria”. Bisognava che entrasse nella morte dove il peccato ha spinto ogni uomo, nella tomba dove giace il tuo matrimonio o il rapporto con tuo figlio, altrimenti non avrebbe potuto salvarlo. 
Scappiamo da Gerusalemme perché la Croce non ci riguarda, questo è il punto. E non ci sono moralismi, battaglie ideali, campagne stampa, manifestazioni e referendum che tengano, se la Croce non mi riguarda personalmente anche Gerusalemme diventa un luogo opprimente, come la Chiesa e il suo Magistero. Senza l’incontro con Cristo risorto al fondo dei miei peccati, lì sul cammino verso Emmaus, è inutile ogni sforzo. 
Per questo Gesù dilata il suo Mistero Pasquale sino ai luoghi dove scappiamo delusi. Proprio qui, capito? proprio mentre discutiamo “di tutto quello che era accaduto”, della Croce e dell’annuncio della Chiesa, “Gesù in persona si avvicina e cammina con noi”. 
Gesù avanza accanto a noi proprio mentre ci allontaniamo come Adamo ed Eva – erano due anche loro… – quando si sono separati da Dio e hanno dovuto intraprendere il duro cammino fuori dal Paradiso. Come la nube della presenza di Dio che ha accompagnato il Popolo quando è dovuto andare in esilio. Come lo sguardo del Padre, che non ha mai abbandonato gli sbandamenti del figlio prodigo.
Lì dove si trova tua figlia caduta nel peccato, tuo marito che ti ha lasciato, dove sei tu, incatenato nel rancore, è oggi il Calvario, e il sepolcro dove nessuno è mai stato sepolto, e la pietra rovesciata e Cristo risorto che ci viene incontro.
Oggi e ogni giorno della storia è Pasqua, il primo giorno della settimana! Oggi la croce che mi scandalizza è già avvolta della gloria di Cristo risorto! Gesù era apparso lì in quell’istante con carne e parola, ma non aveva smesso un istante di essere con i due discepoli, a camminargli accanto, il più familiare di tutti. 
No, Gesù non è “così forestiero”, lontano dai nostri problemi, come pensiamo sedotti dalle menzogne che ascoltiamo ogni giorno. Gesù sa bene “quello che è accaduto a Gerusalemme”, era il compimento della sua missione! 
Per questo Lui è dentro ogni avvenimento di croce che insanguina la storia, nelle nostre case, negli uffici e nelle scuole, negli ospedali e negli ingorghi. Gesù è nelle ansie e nelle difficoltà del matrimonio, nella fragilità dei figli, nel timore del fidanzamento, nella fatica del lavoro e dello studio, nella stanchezza della malattia. 
Chiunque è stato anche solo un giorno nella Chiesa, chi ha fatto il catechismo, chi ha pregato con la nonna da bambino, chi è stato a un funerale, ha potuto ascoltare l’annuncio delle “donne che hanno sconvolto” i discepoli di Emmaus: “si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo”. 
E quel grido risuona, all’inizio flebilmente, ma poi imperioso, come un graffio che impedisce la felicità quando si è lontani dalla comunione d’amore con Cristo che si sperimenta nella Chiesa.
Le “donne delle nostre” sono la nostalgia di pienezza e amore che ogni uomo porta nel cuore, anche chi brancola nel buio lontano dalla Chiesa dove non è mai stato. Per questo il Vangelo di oggi è una buona notizia per tutti! 
E una chiamata a conversione per la Chiesa, perché non spenga mai l’annuncio delle donne, il Kerygma che sconvolge e lega indissolubilmente a Cristo la vita di ogni uomo, come brace viva sotto la cenere.
E Cristo è lì, come anche la Chiesa e i suoi apostoli sono chiamati a fare, accanto agli uomini che han visto incenerirsi la speranza. Cammina e ama, senza giudicare. E’ presente nei luoghi di dolore e peccato, anche dove i “discepoli” hanno perduto la fede, e non teme di sporcarsi con lo stessa terra calpestata dagli “stolti”. 
Non importa se, all’inizio, “i loro occhi sono incapaci di riconoscerlo”. Importa che Lui sia lì, a soffiare parole di amore e verità su quella cenere, a “conversare con ciascuno lungo la via, spiegando le Scritture”, sino a che non torni in loro ad “ardere il cuore”.
Discreto e rispettoso della libertà di ciascuno, Gesù dialoga con tutti, non come in un talk show, ma, “cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiega loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”. 
Attraverso gli eventi della storia, i dolori e le gioie di ogni giorno, Gesù parla e rivela a poco a poco come tutto della storia di ciascuno ha avuto, da sempre, relazione con il suo amore. Il suo sangue, infatti, ha raggiunto ogni lembo di terra, ogni sussulto di vita, ogni peccato. 
E’ stupenda la tenerezza di Gesù, l’unico esegeta (Frédéric Manns), l’Agnello immolato capace di aprire i sette sigilli della Scrittura, per rivelarne il senso e illuminare con essa la vita di ogni uomo: Gesù accompagna i passi nella Verità, e cioè che “Egli doveva morire” proprio per te e per me. 
Il suo amore, l’unico, è giunto sin dentro la notte, il crepuscolo di ogni fuga. E Gesù “fa come se dovesse andare più lontano”, ed è il colpo del ko… Proprio la possibilità di perdere quella presenza che aveva riacceso il cuore svela definitivamente la propria indigenza, ed è quando ci si scopre impauriti e soli nel buio della superbia. 
Ma Gesù è lì, pronto ad essere accolto ed “entrare per rimanere con loro” che hanno finalmente capito d’essere peccatori e bisognosi del suo perdono.
Allora, non sappiamo quando, ma sappiamo dove – proprio alla fine del viaggio, “vicini al villaggio dove siamo diretti” – forse attraverso un fatto, di certo per la presenza amorevole e misericordiosa della Chiesa e dei suoi figli, quel cuore tornato a scaldarsi può implorare Cristo come fece Abramo visitato dai tre angeli alla quercia di Mambre, perché non passi senza fermarsi: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”.
In quel crocevia decisivo si fa chiara l’esperienza che, scappando da Gerusalemme, ci si ritrova nella notte, come Giuda; e non vogliamo porre fine alle nostre vite come lui. La parola di Gesù ci ha destato a una speranza che credevamo perduta. La sua presenza, il suo esserci nonostante tutto, ha illuminato il nostro orgoglio: “noi speravamo” male, “discutevamo” ingannati dal demonio. 
Non è come pensavamo irretiti nelle menzogne che ci hanno insegnato nel mondo. “Resta con noi” perché abbiamo capito di non aver capito niente, della nostra storia, della Chiesa, dell’amore e di Te. Abbiamo però imparato che del tuo camminare con noi proprio non possiamo fare a meno.
In questo momento rivive l’incontro di Giuseppe con i fratelli che lo avevano venduto. Dopo tanti dialoghi e prove, nell’intimità, il figlio prediletto di Giacobbe si “fa riconoscere”: “Io sono Giuseppe, il vostro fratello, che voi avete venduto per l’Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perchéDio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nel paese e per salvare in voi la vita di molta gente. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio ed Egli mi ha stabilito padre per il faraone, signore su tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d’Egitto. Affrettatevi a salire da mio padre e ditegli: Dice il tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha stabilito signore di tutto l’Egitto…Ed ecco, i vostri occhi lo vedono e lo vedono gli occhi di mio fratello Beniamino: è la mia bocca che vi parla!” Gen 45, 4 ss.).
Non c’è, dunque, da rattristarsi, perché nelle trame oscure che conducono l’uomo a tradire, scappare e peccare, Dio scrive una storia di misericordia. Ha “mandato” Cristo sulla strada di Emmaus prima dei discepoli, sulla Croce gli ha fatto sperimentare la lontananza prima di ogni lontano, perché possano “aprirsi gli occhi” di tutti sul suo amore. Ha consegnato suo Figlio alla morte per “assicurare” a tutti la vita e la salvezza.
Per questo, proprio dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la Grazia: i discepoli “riconoscono Gesù” perché hanno conosciuto se stessi nel suo corpo crocifisso e “spezzato” per amore. In quell’intimità ritrovata nel punto del cammino più lontano da Gerusalemme, appare la Chiesa, il culmine e la fonte della sua liturgia, il rendimento di grazie per l’amore infinito di Dio, l’Eucarestia. 
“A tavola” con Cristo ogni storia trova il suo senso; in quel “pane preso, spezzato e dato” trova pienezza ogni vita perduta. In Cristo ogni fallimento si trasforma in benedizione: anche i passi che ci hanno separato da Lui e dai fratelli, nella luce del suo amore, si scopre che stavano tracciando il cammino percorso per incontrarlo e non lasciarlo più.
Ora il cammino di purificazione è compiuto: Gesù è entrato per “rimanere” con i discepoli; anche se “sparisce alla vista” della carne, ormai Lui è in loro, come in chiunque abbia fatto questa esperienza, ed è finalmente libero. Libero dal peccato e dall’angoscia, come i fratelli di Giuseppe che, perdonati, si “affrettano” a tornare da Giacobbe a dare la buona notizia del fratello ritrovato. 
Così anche noi, con tutti quelli che si erano allontanati, possiamo convertirci, liberi di invertire la marcia e tornare sui nostri passi; liberi di cambiare modo di pensare e di vivere; liberi di fare “ritorno senza indugio a Gerusalemme”, incontro ai fratelli per “narrare ciò che ci è accaduto lungo la via e come l’abbiamo riconosciuto nello spezzare il pane”; liberi di celebrare, nella comunione, la pienezza della Vita che non muore, perché «davvero il Signore è risorto!»
E da qui, liberi di donarsi e uscire per farci compagni di viaggio dell’infinita schiera dei “tristi” e delusi viandanti che ci sono accanto, per innescare in loro il fuoco della speranza
SULLA BARCA DELLA CHIESA IL CAMMINO CON CRISTO NEL MARE DELLA PRECARIETA' E DELLA DEBOLEZZA VINCE LA PAURA


Gesù cammina sul mare ed abbiamo paura, come i discepoli. Ci spaventa l'incontro con un mistero che supera la nostra stessa speranza. Siamo presi dalle onde della vita, è buio, e ci sentiamo soli; le preoccupazioni, le difficoltà ci schiacciano in una prospettiva limitata, distolgono il nostro sguardo dall'orizzonte verso il quale stiamo navigando. Gli eventi contingenti appesantiscono il nostro cuore sino a pensare che la vita si esaurisca in quel momento che viviamo, che tutto si giochi in quell'istante, ineluttabile. Risolvere quel problema, sospingere la barca un metro più avanti, sfangarla e superare quell'ostacolo. E dimentichiamo il contesto autentico della nostra esistenza; è buio, e Gesù non è ancora con noi, ed è un sentimento che ci coglie spesso, inconscio, subdolo, ma che si manifesta nelle nostre attitudini concrete. Gesù è in ritardo, bisogna sbrigarsela da soli... Abbiamo visto miracoli, ed in essi il nostro povero cuore incapace di sfamare reso fecondo di una vita straripante e abbondante. Abbiamo sperimentato il potere della benedizione del Signore, ma il buio, il vento e le onde ci annebbiano la memoria, siamo ancora così acerbi nella fede... Ci si arrangia, si cercano soluzioni seguendo criteri umani, si briga e ci si affatica. E abbiamo paura quando Lui appare, quando ci si avvicina camminando sulle acque. Temiamo di vedere sbriciolarsi le piccole certezze acquisite, smentito il nostro meschino modo di orientarsi nei problemi, evaporare l'effimera soluzione di compromesso, strapparsi le toppe cucite sul vestito vecchio. Abbiamo paura di un destino più grande, di un orizzonte che relativizza queste nostre giornate, questi nostri affari, sentimenti, lotte, preoccupazioni. Perché la serietà della vita risiede nel destino per la quale ci è data. Non è seria e autentica quando ci afferra e ci schiaccia sul presente. Non è più seria perché stringiamo i pugni e mettiamo ogni sforzo per un colpo di remi in più. Gli eventi non sono atomi isolati, ogni istante che ci è donato è incastonato in una volontà che abbraccia l'eternità. Il buio, il vento e le onde, il mare di morte e solitudine, angoscia e timore che solchiamo ogni giorno è aperto verso il Cielo. Cafarnao è la Patria, l'origine e la meta, immagine della dimora dalla quale siamo stati chiamati e verso la quale siamo diretti. Il Cielo è la nostra Cafarnao: ogni evento reca inscritto il destino celeste cui siamo chiamati. Vivere autenticamente è remare avendo bene presente l'orizzonte verso il quale è orientata la nostra barca. Gesù si avvicina anche oggi a ciascuno di noi, persi nei frammenti disordinati delle nostre esistenze. Appare camminando sul mare, e ci parla, ci illumina, ci desta: sono Io, non temete! Sono Io, e voi siete in me, esistete per me, e con me camminate verso il Cielo. Non temete, proprio nelle avversità, in quelle di oggi, e di domani, splende più vivido e consolante l'orizzonte celeste che dà senso alla vita. Ogni evento indica il Cielo, camminare sulle acque significa scoprire in ogni legame, nel lavoro, nella famiglia, nelle amicizie, nelle sofferenze e nelle gioie, il segno eterno del suo amore. Camminare sul mare significa non esaurirsi nei problemi, non esigere soluzioni e cambiamenti, non intestardirsi e nevrotizzare tutto, come se quel problema, quella difficoltà, quel litigio fossero l'ultima spiaggia. Non cedere alla disperazione, perché tutto guarda oltre, e la pazienza di chi ha gli occhi fissi sul Cielo raggiunge sempre il porto sospirato. "Nada te turbe, nada te espante, quien à Dios tiene nada le falta.Solo Dios basta. Todo se pasa, Dios no se muda, la paciencia todo lo alcanza. Niente ti turbi, niente ti spaventi, chi ha Dio niente gli manca. Solo Dio basta. Tutto passa, Dio non cambia, la pazienza tutto lo raggiunge" (Santa Teresa d'Avila). Perché tutto concorre al bene, anche quello che sembra non avere soluzione. Come disse Gesù a Santa Faustina Kowalska: "Non aver paura di nulla. Io sono sempre con te. Sappi ancora questo, figlia mia. che tutte le creature, sia che lo sappiano, sia che non lo sappiano, sia che vogliano, sia che non lo vogliano, fanno sempre la mia volontà". Camminare sul mare è percorrere ogni centimetro della storia con questa certezza, che tutto obbedisce alla volontà di Dio, che è l'orizzonte più grande in cui tutto si muove. La sua percezione è fonte di pace, quella di chi ha sperimentato che nessun limite è posto a chi vive la vita di Cristo. Camminare sul mare è sperare, sempre, anche contro ogni speranza: "in colui che è morto per tutti si è già realizzato in pieno l'ideale della nostra speranza. Quindi noi non siamo esitanti o dubbiosi,non rimaniamo perplessi nell'incertezza dell'attesa; avendo invece già ricevuto l'anticipo della promessa, siamo in grado di vedere con l'occhio della fede quel che sarà il nostro futuro, e tutti lieti per l'elevazione della nostra natura, possediamo già quel che crediamo" (San Leone Magno)Siamo venuti al mondo per prendere Gesù con noi, nella barca della nostra vita, e far risplendere il Cielo nel buio della terra. E' Lui, è il nostro amato che oggi ci ricorda la sublimità della nostra chiamata, la bellezza e la pienezza della nostra vita, che nulla di noi è chiuso in se stesso, che nulla si perde, che tutto è dischiuso verso un destino più grande, che anche il dolore e il fallimento portano le stigmate di un amore infinito, quello che dà consistenza e pace ad ogni nostro momento. Apriamo, spalanchiamo oggi le porte del nostro cuore per accogliere Cristo, che ci conosce, che ci ama e fa della nostra vita un segno bellissimo del Cielo, speranza per ogni uomo.

venerdì 28 aprile 2017

E se per chiarire AL servisse un anno del Timor di Dio?

   
   
di Ettore Gotti Tedeschi                            28-04-2017
Il convegno di sabato di Bussola e Timone
I dubia dei quattro Cardinali son stati posti  per “Timor di Dio” e la risposta di chiarimento è attesa per “Amor di Dio”. Il lettore della Nuova BQ può immaginare quanti amici stranieri mi abbiano chiesto di spiegare il vero perché dell'indifferenza alla filiale richiesta e dell’utilità del convegno a Roma del 22aprile organizzato dalla Nuova BQ e dal Timone. Per risposta a tutti ho inviato il chiarissimo articolo di Andrea Zambrano affinché sia tradotto e divulgato. In queste poche righe , riferite unicamente al punto “Giustizia e Misericordia” dell’articolo dove Zambrano riprende considerazioni fatte dai relatori, mi propongo di spiegare che non rispondere ai dubia potrebbe esser interpretato come voler ignorare l’insegnamento di “giustizia e misericordia”. E lo farò facendo rispondere a mie considerazioni alcuni santi, quali San Bernardo, il beato Newman, San Agostino, San Tommaso e le sacre Scritture.
Se chiedessi a S.Bernardo se fosse necessario aver amore, ma anche timore di Dio, per avvicinarmisempre più a Lui e capire se un comportamento è o no peccaminoso, mi risponderebbe: certo, ”sono le due braccia con le quali abbracciamo Dio" (S.Bernardo, Sulla considerazione, 5,15). Quindi amore e anche santo timore filiale sono le due ali per sollevarci verso di lui. Tanto che la Sacra Scrittura insegna che “il timore del Signore è principio della saggezza” ( Sal 110.10) e “se uno non si aggrappa in fretta al timore del Signore, la sua casa andrà presto in rovina" ( Sir 27, 3-4).
Ma poiché negli ultimi tempi mi pare si voglia opporre al Timor di Dio, la Misericordia di Dio, come se la Misericordia ignorasse la giustizia, rendendo apparentemente ingiusta la stessa Misericordia, che è giustizia piena, mi rivolgo, quale sommo esperto , al Dottore Angelico, che risponde: “Quando Dio opera con Misericordia ( …) fa qualcosa che supera la Giustizia, ma che presuppone che sia stata prima vissuta pienamente questa virtù" (San Tommaso, Summa I q 21, a3, ad 2) .
San Paolo chiama Dio “Padre misericordioso" (Cor 1,1-7), per la Sua infinita compassione per gli uomini  e la prova della Sua Misericordia è l’Incarnazione del Verbo, che è necessaria per la Redenzione e presuppone il Peccato Originale, senza il quale non sarebbe necessaria la Grazia dei Sacramenti, e il Sacramento con cui il Signore esercita la Sua Misericordia è il perdono dove la Penitenza purifica dal peccato. Ma è perciò necessario il pentimento, e qui ricordo  il Salvatore quando dice “se qualcuno vuol venire dietro di me…” , deve rinnegare le sue passioni, perché o noi le dominiamo o ne saremo dominati e  se l’anima non riconosce le proprie colpe perché le vede scusate senza pentimento e penitenza  confonderà il peccato, fino alla cecità.
C’è bisogno assoluto di questo Timor di Dio, filiale, che non vuole più arrecare dolore al Padre peccando. Chiederei lumi in proposito proprio ad un grande peccatore pentito, Sant’Agostino, che dice : ”Beata l’anima di colui che teme Dio, perché è forte contro le tentazioni del demonio (…). Beato l’uomo al quale è stato dato di aver sempre dinanzi agli occhi il Timor di Dio. Chi teme il Signore si tiene lontano dalla cattiva strada e dirige i suoi passi sulla via della della virtù. Il Timor di Dio fa l’uomo attento e vigilante per non peccare. Dove non c’è timor di Dio regna la vita dissoluta" (S.Agostino, Discorso sull’umiltà e timor di Dio).
Qui già mi verrebbe l’ardire di proporre per il 2018 di indire “L’anno del Timor di Dio”, giusto per correggere qualche illusione pericolosa. Certo questo avverrebbe se venisse data prima una risposta ai dubia, perché la risposta presupporrebbe (nonostante il parere del Card. Maradiaga ) il riconoscimento della eccellente fede, dell’amore per la Chiesa e per il Papa, dei quattro Cardinali.  Ma tornando al tema chiave, le considerazioni sopra riportate confermano che l’amor di Dio e il Timore filiale di Dio son due aspetti di un'unica realtà e perciò non sembrerebbe opportuno, proprio in questi tempi, separare misericordia da giustizia, il rischio è far perdere Dio.
Leggiamo la raccomandazione in proposito del beato J.H.Newman, grande convertito: "Il timore e l’amore devono andare insieme, seguitate a temere, seguitate ad amare fino all’ultimo giorno della vostra vita…” (beato J.H.N. Sermoni cattolici, 24). Ma questo è lo scrupolo dei quattro Cardinali che filialmente han chiesto di chiarire i dubia. Essendo solamente preoccupati che l’uomo peccatore possa pensare di non aver peccato perché il senso del peccato va interpretato poiché evolve, evolvendo la volontà di Dio e la stessa Verità, così, essendoci condizioni per cui è impossibile non peccare, non solo non ci si deve pentire, non solo non si deve lottare, rinunciare, mortificarsi,   ma neppure si deve pensare di farlo creandosi problemi psicologici che possano alterare l’equilibrio psicofisico necessario all’uomo moderno… Se non si chiariscono i dubia si rischia che il timor (filiale) di Dio, che stimola l’anima a vigilare anziché sentirsi beata (ingannevolmente),  possa trasformarsi in leggerezza nel considerare il senso del peccato confidando superficialmente in “comprension di Dio”.
Anticipo una considerazione scontata (normalmente sostenuta dai “peccatori abituali”): è certo che non si deve fuggire il peccato solo per timore (tradotto da loro in “terrore”), perché sarebbe una evidente imperfezione non da figlio di Dio. “Santo è il timor di Dio. Timore che è venerazione del figlio per il Padre. Mai timore servile, perché tuo Padre Dio non è un tiranno", scriveva un  grandissimo santo del secolo passato. Venerare Dio Padre, vigilando e fuggendo le lusinghe delle tentazioni, vuole chiarezza dottrinale non adattabile soggettivamente con la cosiddetta prassi. Aspettiamo con ansia la proclamazione dell’anno del Timor filiale di Dio. E, magari, un opportuno chiarimento ai dubia. 


“LA CHIESA SI SBAGLIA GRAVEMENTE SE RITIENE CHE LA CRISI DEI RIFUGIATI SIA LA SUA MISSIONE PRIMARIA”



La Chiesa dovrebbe ignorare la “vera crisi” cui si trova di fronte oggi, se si concentra su questioni di giustizia sociale, piuttosto che la sulla sua missione fondamentale, che è quella di evangelizzare,avverte il cardinale Robert Sarah in un’intervista pubblicata di recente.
“La Chiesa si è gravemente sbagliata per quanto riguarda la natura della sua vera crisi, se pensa che la sua missione essenziale sia di offrire soluzioni a tutti i problemi politici in materia di giustizia, di pace, di povertà, di accoglienza dei migranti, ecc trascurando l’evangelizzazione” ha detto il cardinale ad Aiuto alla Chiesa che Soffre, il 18 aprile.
Sarah, che è il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, ha detto che mentre la Chiesa “non si può dissociare dai problemi umani”, ha alla fine “fallito nella sua missione” se dimentica il vero scopo della sua esistenza.
Il cardinale ha citato Yahya Pallavicini, un ex cattolico italiano che si è convertito all’Islam, condividendo il suo punto di vista: “Se la Chiesa, con l’ossessione che ha oggi con i valori della giustizia, dei diritti sociali e della lotta contro la povertà, finisce come di conseguenza dimenticando la sua anima contemplativa, lei non riuscirà nella sua missione e lei sarà abbandonata da un gran numero di suoi fedeli, per il fatto che essi non sapranno più riconoscere in lei ciò che costituisce la sua specifica missione “.
La missione della Chiesa è riassunta da Gesù nel Vangelo di Matteo quando ha mandato i suoi seguaci a “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato.”Questa missione, secondo il Catechismo della Chiesa cattolica, significa‘annunziare e instaurare in tutte le genti il Regno di Cristo e di Dio’.
Le osservazioni di Sarah sono interessanti data l’enfasi che Bergoglio ha posto sulla Chiesa che lavora con i migranti e rifugiati. Nei suoi discorsi ai leader mondiali, Bergoglio evidenzia frequentemente problemi politici, come la migrazione, con poca menzione di Cristo o chiamata evangelica della Chiesa.
Enfasi del vescovo di Roma sulla costruzione di ponti, non muri , sui migranti che costituisconoono “ non un pericolo ”, e a chiamare ospitalità ai rifugiati “ il nostro più grande sicurezza contro gli atti odiosi di terrorismo ” ha spinto alcune Conferenze episcopali a spostare le loro priorità.
La Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, per esempio, è stato premuto da incaricati Francesco di riscrivere le sue linee guida delle elezioni del 2016 con particolare attenzione in materia di immigrazione, povertà e ambiente, minimizzando la vita e la famiglia.
Il Vescovo Robert McElroy, nominato capo della diocesi di San Diego da Bergoglio, ha sostenuto in quel momento che l’enfasi della guida sul male dell’aborto era al passo con le priorità di Bergoglio.
“Bergoglio ha, in certi aspetti della dottrina sociale della Chiesa, radicalmente trasformato la priorità della dottrina sociale della Chiesa e dei suoi elementi,” McElroy ha invitato l’assemblea a quel tempo. “Non la loro verità , non la loro sostanza , ma la loro priorità, che ha radicalmente trasformato, nell’articolare rivendicazioni che ricadono sul cittadino come credente e discepolo di Gesù Cristo”, ha aggiunto.
McElroy chiamato “l’immigrazione”, il “tasto [problema] che dobbiamo affrontare ora nella nostra Chiesa locale,” in un discorso fatto a febbraio per l’Incontro mondiale dei movimenti popolari.
Nella sua intervista con Aiuto alla Chiesa che Soffre, il cardinale Sarah ha criticato le organizzazioni caritative, menzionando in particolare “quelle cattoliche”, che si concentrano “unilateralmente ed esclusivamente su come affrontare le situazioni di povertà materiale”, trascurando la povertà spirituale.
“Ma ‘l’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, come Gesù ci dice: “ha detto il cardinale.
Sarah ha detto che coloro che lavorano per rendere il mondo più giusto, menzionando in particolare sacerdoti e vescovi, devono continuamente trarre forza da Dio se il loro lavoro è quello di dare i suoi frutti duraturi.
“Perché è vero che quei vescovi e sacerdoti che non prendono il tempo – almeno per un paio di giorni – per se stessi in presenza di Dio nella solitudine, nel silenzio e nella preghiera, hanno il rischio di morire a livello spirituale, o per lo almeno, di essiccarsi spiritualmente dentro “, ha detto.
“Perché non saranno più in grado di fornire solido nutrimento spirituale ai fedeli affidati a loro, se loro stessi non traggono forza dal Signore in modo regolare e costante”, ha aggiunto.
Pete Baklinski, 25 aprile 2017
LA NOSTRA DEBOLEZZA ACCOLTA E BENEDETTA DALLE MANI DI CRISTO PER MOLTIPLICARLA NELL'AMORE


Gesù risorto, "passato all'altra riva", "alza" anche oggi "gli occhi" e ci "vede" mentre ci avviciniamo a Lui. Con la "gran folla", abbiamo sperimentato i suoi "segni" nella nostra vita, ma i conti non ci tornano ancora. Lui ci conosce, e per questo, con amore, ci "mette alla prova". E' "vicina la Pasqua", è oggi; Lui "sa quello che sta per fare", dare pienezza e compimento a ogni balbettio di vita che ci risuona dentro. Ma non può operare nulla se prima non ci accompagna a fare Pasqua con Lui, a passare dal nostro far di conto al suo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?". Dove e comprare, parole trabocchetto che fotografano alla perfezione i nostri criteri. Cerchiamo luoghi che non esistono e crediamo di poter comprare ciò di cui abbiamo bisogno. Per questo sballiamo i conti, e ci ritroviamo impotenti di fronte a fatti e persone. Filippo siamo tutti noi, spesso incapaci di guardare oltre, con il cuore appesantito dalla ragione imprigionata dall’unica evidenza che balza immediatamente agli occhi: "duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo". Matematica imperfetta perché incapace di contemplare l’infinito che abbraccia e dà senso a ogni numero. Anche se qualcosa abbiamo - "C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci" - come Andrea, non pensiamo che sia sufficiente: "ma che cos'è questo per tanta gente?". Siamo abituati ad altri schemi, seduti ogni giorno nel consiglio di amministrazione che governa famiglia e affetti, lavoro e scuola, amicizie e relazioni. Non possiamo sfamare una moltitudine, fosse anche solo di due persone, coniuge e un figlio, lo sperimentiamo ogni giorno. E precipitiamo nelle delusioni, e silenzi, nervosismo, ira e rancori, insomma tutta la melma che ci afferra i piedi e ci blocca. Ingannati dal demonio che si nasconde nell'educazione e nella cultura, crediamo ciecamente nelle nostre possibilità; ma, una volta sperimentati i limiti, cominciamo a disprezzarci e a disprezzare. Invece, i cinque pani e i due pesci sono molto più di quello che le mani sono capaci di afferrare. La creazione stessa obbedisce a precise formule matematiche, ma i numeri che la definiscono non sorgono dal nulla, da un big-bang riproducibile in laboratorio. Vi è un’evidenza nascosta eppure intuibile, il segreto tracciato di numeri che non hanno fine perché il loro stesso principio è puro mistero. Un computer, un telefono, una pila, tutto ci parla d’infinito. Ma non solo. Anche le persone che ci molestano e non accettiamo, anche questo giorno, con le solite cose da fare, con la macchina che vorresti cambiare, o il letto d'ospedale che non sopporti più, o la fila alla posta per due spiccioli di pensione. Anche te stesso con i tuoi limiti e contraddizioni. Tutto ci parla dell'infinito in cui si vorrebbe tuffare il nostro cuore, dove vorrebbe spaziare la nostra mente, e correre il nostro corpo. E l'infinito a cui aneliamo si svela pienamente nel miracolo compiuto dal Signore. Il Messia atteso è Dio fattosi prossimo, l’origine d’ogni vita. E’ lui l’infinito che, raccogliendo tra le mani quel “cinque” e quel “due”, nel breve istante d’una Parola benedicente, li riconduce alla pienezza originaria, allo splendore del compimento. Quei due numeri che, a una prima e piatta visione, non dicono altro che un contenuto definito e circoscritto, nelle mani e nelle parole di Gesù, scavalcano il limite imposto dalla ragione carnale e acquistano il loro significato autentico. Sono numeri, segni di una realtà ben visibile, eppure aperta, misteriosamente, all’infinito. Cinque pani e due pesci sfamano e saziano una gran moltitudine, e avanzano per sfamare e saziare ancora, da quel pomeriggio sulle rive del Lago di Galilea sino a questo nostro giorno, sino alla fine del mondo, e più in là, sino all’eternità. Così è di ogni numero che descrive e sembra limitare le nostre esistenze, la storia stessa del mondo. L’età, lo stipendio e il conto in banca, l’altezza e il peso, la forza, i metri cubi delle nostre case, gli anni d’una amicizia, di un amore, le distanze, i progetti, le mura che ci stringono e sembrano frustrarci e tenerci schiavi, e la chimica dei sentimenti, degli umori, delle speranze e delle delusioni, i valori alterati che sbucano dalle analisi, le parole che ci diciamo per contraddirle in un minuto, il carattere e i difetti, perfino i peccati! Ogni numero che fa di noi quel che siamo, la matematica che, fredda, sembra sospingere le nostre storie verso destini ineluttabili, attende invece una mano e una Parola, quelle dell’Autore di ogni matematica e di ogni scienza, l'Architetto di ogni vita. Le sue mani creano e ricreano e si fanno prossime a ciascuno di noi attraverso le mani e le parole dei suoi Apostoli. E’ la Chiesa che, da duemila anni, si piega sull’umanità, ne riconosce, nascosto, il seme divino impresso dal Creatore, e, per la Parola e il Sacramento, lo riconduce allo splendore del compimento. Ogni istante, ogni numero della nostra vita, anche quelli negativi, grigi, che sembra ci stiano schiacciando, non sono altro che i segni d’una porta dischiusa nell’attesa dell’infinito. Ogni grumo dell'esistenza è gravido d’eterno. Ma solo l’incontro esistenziale, concreto, autentico con il Signore rende possibile quello che tutti speriamo. Non ci resta che obbedire alla Chiesa che, nel nome del Signore, ci invita a "sederci". Ma dai, dovrei sedermi invece di darmi da fare? Sì, obbedisci e "siediti", perché se non sperimenti che Cristo può moltiplicare quello che sei non vedrai la tua vita compiuta; se non sperimenti che la Vita che sfama e sazia non si "compra" in nessun "dove" ma è Lui la fonte che ce la dona, resterai schiacciato nelle tue meschinità. Solo così, infatti, saprai amare chi ti è accanto e trasmettere la fede ai tuoi figli, facendo "sedere" tutti alla mensa imbandita da Cristo. E offrire, in ogni circostanza, il poco, pochissimo che tutti abbiamo alle sue mani. Tuo marito è superficiale, arido, assiduo a poltrona, pantofole e televisione? Bene, prendi questa sua attitudine allo svicolamento dalle responsabilità e consegnala a Cristo, la vedrai moltiplicata in uno zelo mai visto... Tuo figlio è pigro, incapace di studiare e concentrarsi? Bene, prendi questa debolezza e dalla a Cristo, l'unico capace di tirare fuori da ciascuno il meglio, ovvero il seme di vita eterna seminato dal Padre. Guarda che il miracolo è tutto qui: forse tuo marito sarà ogni giorno propenso a sdraiarsi sul divano, come tuo figlio incapace di star fermo dieci minuti, esattamente come quei cinque pani sono restati tra le mani di Gesù quello che erano; il Vangelo, infatti, a proposito dei pezzi avanzati dice che "li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo", segno che Gesù ha continuato a "distribuire" i frammenti dai pani originari. Non ha prima moltiplicato e poi distribuito, ma ha continuato a prendere tra le mani i cinque pani che gli erano stati dati. Così, come il pane e il vino dell'eucarestia trasformati in corpo e sangue di Cristo, restano, alla vista, quello che sono, Gesù prende, tocca e benedice quello che siamo, compresi i difetti di chi ci è accanto, per farne un cibo capace di sfamare e avanzare per una moltitudine immensa, tutte le persone che incontreremo durante la vita. Non ci cambia magicamente, ma, lasciandoci deboli e poveri, ci colma del suo Spirito. Così anche una malattia, un problema, un dolore, un fallimento, un peccato, toccato da Cristo, si trasforma in una "Eucarestia", una porta spalancata sulla gratitudine per il prossimo che non vede nulla per cui lodare Dio. Questa è la Pasqua, la speranza che illumina il mondo avvolto nelle tenebre dei calcoli che sballano sempre, incapace di essere felice. Il "segno" che svela il Profeta, "il Messia inviato da Dio", è la Vita moltiplicata e capace di saziare, offerta gratuitamente all’umanità. Il segno del Profeta è la Chiesa, povera, debole, bisognosa di penitenza e conversione, eppure ricca della ricchezza che nessun altro nel mondo possiede: la Parola – i "cinque pani", immagine dei cinque libri della Torah – e il potere di Dio nella carne del suo Figlio – i "due pesci", immagine delle due nature del Signore. Il segno dato al mondo sono i "Dodici" apostoli colmi del suo amore come i "dodici canestri" che hanno "raccolto" la sovrabbondanza della Grazia, inviati a sfamare e molto di più, a saziare la vita di ogni uomo. Ovunque e per chiunque vi è speranza, perché oltre ogni pane e ogni pesce v’è un orizzonte infinito di pienezza. Sfamati e saziati siamo chiamati a donare a tutti la sovrabbondanza del suo amore: il tempo e le parole, i gesti e il denaro, gli sguardi e le lacrime, le sofferenze e le gioie, ogni secondo che ci è dato, tutto "raccolto perché nulla vada perduto"; nulla della tua vita è insignificante, perché tutto è, tra le mani di Gesù, una benedizione per chi ti è accanto. Solo abbiamo bisogno di "ritirarci" sempre con Gesù, perché il mondo, coniuge e figli ad esempio, non credano che i miracoli che Lui opera siano frutto della nostra buona volontà; "soli sulla montagna", crocifissi con Cristo per amore, ecco il cuore segreto della nostra vita, da dove nasce la nostra missione.

giovedì 27 aprile 2017

Aspettando il Grande Cocomero

di Costanza Miriano

di Costanza Miriano
Io non so quale Chiesa conoscano quelli che continuano a parlare delle rigidità da contrastare, da abbattere. Di certo non la Chiesa che scrive che Gesù Cristo e il Buddha hanno promosso la via della nonviolenza, come ha appena fatto il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Leggo su wikipedia, confesso di non essermi mai interessata del tema, che il Buddha è uno che raggiunge un certo stato dopo avere trascorso varie vite non ho capito bene come. Ergo, il Buddha non esiste, perché la reincarnazione non esiste. Quindi dire che Gesù e Buddha hanno fatto qualcosa è una stupidaggine. Uno non esiste, l’altro non ha mai promosso la via della nonviolenza. Ma che è, la Justice League tipo quando i supereroi si sono uniti? Superman, Wonder Woman e Batman? Che, Gesù da solo non bastava? Ma ci crediamo almeno noi, almeno i Pontifici Consigli, che Dio è solo uno, Padre, Figlio e Spirito Santo? O ci mettiamo alla finestra ad aspettare, tante volte arrivasse il Grande Cocomero che ci dia una parola definitiva? Gesù e Buddha non hanno proposto nessuna via della nonviolenza semplicemente perché non c’è una via della nonviolenza, che brutta parola. C’è la via di Cristo, che è la Via. Se stiamo attaccati a lui abbiamo una qualche speranza di non essere violenti, falsi, doppi, avidi, vendicativi, dispotici, iracondi, cioè come siamo tutti noi nella nostra parte puramente animale, cioè quella umana senza Dio.
Dio non si è fatto uomo e non è morto in croce per insegnarci l’autocontrollo, tecniche zen di estraniazione dalle passioni. Ci è venuto a dire che ci ama follemente, e che se lo chiediamo davvero se lo mendichiamo, se lo supplichiamo, ci dà lo Spirito Santo, e con quello la grazia trasformante. Di solito lo fa quando abbiamo l’occasione di una croce. Non perché sia sadico, ma perché senza croce la maggior parte di noi pensa di poter fare a meno di lui. Tutto il resto sono balle. Perché c’è il mistero del male, c’è il peccato originale, e le buone intenzioni vanno a lumache inevitabilmente (san Paolo nella lettera ai Romani lo dice un po’ meglio, ma credo che mi capirebbe se leggesse il blog). Se smettiamo di annunciare che l’uomo è ferito dal peccato originale e ha bisogno di redenzione non abbiamo più niente da annunciare. La nostra fede non assomiglia a niente altro, perché noi siamo certi del fatto che Dio è morto in croce a causa del nostro peccato, e se togliamo il sacrificio di Cristo, le altre sono solo pie intenzioni. L’uomo senza redenzione non può fare nulla. A che serve il dialogo interreligioso? Serve a dire che se un islamico o un buddhista hanno bisogno di qualcosa noi ci siamo, senza mettere in mezzo discorsi di fede dobbiamo essere pronti a cedere il mantello o il pranzo. Che con la grazia di Cristo proveremo ad amare tutti gli uomini senza distinzioni preconcette, e a provvedere se serve al loro bisogno corporale prima di far loro la predica. Ma non che smetteremo di credere che Dio è uno solo, e non che smetteremo di dirlo.
Allora, sono come minimo inutili le proposte che il Pontificio Consiglio fa per la festa di Vesakh: “studiare le cause della violenza (te la diciamo noi la causa: il peccato originale); insegnare ai nostri rispettivi seguaci come combattere il male nei loro cuori (preghiera a Dio e digiuno); liberare dal male sia le vittime sia coloro che commettono la violenza; formare i cuori e le menti di tutti, specialmente dei bambini, ad amare e vivere in pace con tutti e con l’ambiente (io farei una netta distinzione tra i due piani, e l’ambiente viene dopo); insegnare che non c’è pace senza giustizia, né vi è vera giustizia senza perdono (non c’è pace né giustizia senza Cristo); invitare tutti a collaborare alla prevenzione dei conflitti nella ricostruzione delle società frantumate; incoraggiare i mezzi di comunicazione sociale ad evitare e combattere il discorso dell’odio, e i rapporti di parte e provocatori; incoraggiare le riforme dell’educazione per prevenire la distorsione e la cattiva interpretazione della storia e dei testi scritturistici; e pregare per la pace nel mondo percorrendo insieme la via della non violenza (che bello, la preghiera è nominata!”. Sono solo pie intenzioni, che possono realizzarsi solo se l’uomo incontra Dio, si converte, fa un’esperienza vera e reale e concreta dell’amore di Dio. E le vie per farla sono la preghiera, i sacramenti, la Parola di Dio, l’ascesi. Tutto il resto è lavoretto dell’asilo, tutto il resto è suonare Imagine col piffero, togliendo riferimenti a Cristo nella poesia di Natale per non offendere nessuno (che ti festeggi il Natale, se non la nascita di Gesù Cristo? Trovati un’altra festa, tu che non ti vuoi scandalizzare, celebra il grande cocomero).
Io credo che chi dice che la Chiesa oggi ha il problema della rigidità non conosca la realtà occidentale, non quella di oggi almeno (io non conosco le altre realtà, ma di rigidità non ne vedo molta in giro). La Chiesa oggi non ha il problema della rigidità, ma della liquidità. Se mi proponi una vita uguale a quella di tutti, solo un po’ più presentabile, io mi diverto di più a fare la mia vita come mi pare. Se tu proponi ai giovani lo spettacolino, lo svago, la proposta culturale solo leggermente ripulita, senza parolacce, io, giovane, me ne vado da un’altra parte, dove trovo sapori più forti. Non servono proposte poco attraenti per giovani uomini e donne che vogliono l’assoluto, vogliono qualcosa di grande per cui spendere la vita, odiano istintivamente la mediocrità, vogliono identità chiare e appassionanti, proposte esigenti, radicali. Non ne ho vista traccia nel documento preparatorio al sinodo, dove la preoccupazione più grande è quella di capire il linguaggio dei giovani. Dobbiamo essere originali, se abbiamo incontrato la Vita, non abbiamo bisogno di imitare il linguaggio del mondo per essere simpatici: la simpatia i ggiovani la trovano ovunque sui social. Parliamo ai ragazzi di morte. Di vita eterna. Della possibilità di risorgere.
Venezuela, inizia la persecuzione della Chiesa Il vero volto del regime populista di Maduro

   
   
di Marinellys Tremamunno                           27-04-2017
Venezuela, minacce ai preti

“Traditore, terroristi, assassini, 666, sacerdote demone”. Queste parole sono state dipinte martedì scorso in una delle pareti laterali della Cattedrale di San Pietro Apostolo a Barinitas. Lo stesso giorno, il parroco don Franklin Rangel Navas ha denunciato aggressioni: “Sacerdote, traditore, sei nel mirino, ti bruceremo vivo, noi non crediamo nella Chiesa cattolica”, con queste parole era stato minacciato da un gruppo di “chavisti”, secondo lui per ordine del consigliere del Municipio Bolivar di Barinas Maritza Vargas. Ora il sacerdote teme per la sua vita.
Ma non si tratta di un caso isolato, la Chiesa venezuelana è sotto attacco. Già il 30 gennaio 2017 aveva annunciato il Presidente della Conferenza Episcopale Venezuelana (CEV), monsignore Diego Padron, durante un’intervista radio: “gli attacchi contro le istituzioni religiose in diversi punti del Paese non sembrano casi isolati; sembrano invece azioni preparate per intimidire la Chiesa cattolica”.
Polizia e gruppi “Colectivos” si sono schierati contro i sacerdoti. Proprio il giorno prima della denuncia del Presidente della CEV, la Chiesa San Pedro Claver del “23 de Enero”, quartiere popolare di Caracas, è stata assediata da gruppi filogovernativi durante la messa arcidiocesana: “Si sono presentati i colectivos, hanno chiuso la chiesa e costretto tutti a sentire il loro discorso aggressivo contro la Chiesa. I fedeli hanno protetto Mon. Jesus Gonzalez de Zarate, vescovo ausiliare di Caracas, che con coraggio è riuscito ad affrontare la situazione”, ha raccontato il giornalista ed ex portavoce della Mud (coalizione di partiti di opposizione) Jesús Torrealba. Una situazione simile era accaduta nella parrocchia Claret di Maracaibo, quando la Polizia Nazionale (PNB) ha interrotto l’omelia di Don Ovidio Duarte e senza spiegazione hanno tentato di cacciare i fedeli dalla Chiesa. Da ricordare in quei giorni gli attacchi contro le residenze dell'Arcivescovo di Barquisimeto, Mons. José Antonio López Castillo, e dell'Arcivescovo Adam Ramirez a Caracas.  
La Via Crucis è continuata anche durante la Pasqua. Il mercoledì santo è stato uno dei giorni più difficili per l’episcopato venezuelano: un gruppo di persone identificate con il “chavismo” hanno fatto irruzione nella Basilica di Santa Teresa, mentre il cardinale Urosa Savino presiedeva l’omelia: costui ha dovuto andare via con la protezione dei fedeli che hanno affrontato la situazione anche con lo scontro fisico pur di garantire la sicurezza dell’alto prelato;  quello stesso giorno, sono apparse scritte sui muri di diverse chiese di San Cristobal (Tachira) con minacce di morte contro i sacerdoti e sotto l’acronimo “PSUV” (Partito Socialista Unito del Venezuela). Ma l’attacco più blasfemo di quei giorni è quello sofferto dall’immagine del Nazareno della Cattedrale di Valencia, trovato la mattina del sabato 8 aprile coperto da escrementi umani.  
Ma cosa ha scatenato l’ira governativa? La CEV è la unica voce autorevole che denuncia la grave situazione del Venezuela. “Di fronte al peggioramento della situazione economica, politica e sociale degli ultimi tre anni, abbiamo elencato alcuni degli errori che fa il Governo, e abbiamo fatto ripetute richieste di un cambiamento di rotta. Questa è la ragione degli attacchi contro di me, contro il cardinale Baltazar Porras e, in generale, contro l'episcopato. Il governo non tollera alcuna critica”, ha detto il cardinale Jorge Urosa Savino in un’intervista pubblicata da Aciprensa il 21 aprile 2017.
L’episcopato venezuelano lotta senza sosta per la difesa dei diritti umani nel Paese. Lo scorso 12 aprile, abbiamo visto il Cardinale Urosa denunciare in conferenza stampa l’azione di gruppi armati, i cosiddetti “colectivos”, contro le manifestazioni pacifiche. “Queste bande armate sono illegali e certamente commettono crimini”, ha detto il secondo Vice Presidente della Conferenza Episcopale Venezuelana. Una dichiarazione che conferma le parole del Presidente della CEV, Mons Diego Padron: “Senza resistenza non c’è speranza, oggi la Chiesa venezuelana si trova in un atteggiamento di resistenza di fronte al potere”, ha affermato durante il suo intervento al VII Congresso Nazionale di Laici, tenutosi i primi di aprile.
Sullo sfondo si delinea il vero volto del governo di Nicolas Maduro. La Nuova BQ ha intervistato il portavoce della Conferenza Episcopale Venezuelana, Don Pedro Pablo Aguilar, per capire quanto sia grave la situazione di rischio che vive l’episcopato. “È davvero difficile la situazione”, ha detto sottolineando che “purtroppo le persone che seguono il governo non hanno scrupoli e qualunque persona che esprima un’opinione contraria viene accusata di essere terrorista o è vittima di minacce, mentre gli stessi aguzzini parlano di pace e di dialogo”.
È davvero sconvolgente l’ondata di violenza contro la Chiesa venezuelana. Ecco il bilancio degli ultimi tre mesi: “le diocesi sono state bersaglio di rapine e distruzione di vari beni, per esempio nelle diocesi di Guarenas e Maracay (le cui curie sono state vittima di razzie), a Maracaibo nella chiesa della Consolazione hanno sottratto le ostie consacrate e nel Convento della stessa città hanno rubato il Santissimo Sacramento; l’Invecapi (istituto venezuelano venezuelano di educazione professionale della chiesa cattolica) presso la sede della CEV hanno portato via condizionatori e materiali didattici, distruggendo parte delle installazioni. A Guayana hanno sequestrato e imbavagliato un sacerdote, prima che la polizia riuscisse a liberarlo; sempre a Guayana molte chiese sono state prese d’assalto, nello stato di Guarico si sono verificati vari furti e sono comparse diverse scritte sulle chiese con messaggi minacciosi a favore del governo”.
Un pesante bollettino di guerra. Si aggiunge il tragico omicidio avvenuto martedì santo di un frate residente nella città La Victoria, stato di Aragua: il francescano della Croce Bianca, Diego Begolla, è stato sgozzato per rubare i computer della casa di accoglienza per anziani che dirigeva. Sono queste scene tristemente note alle cronache europee per i fatti che hanno coinvolto il sacerdote francese Jacques Hamel, barbaramente ucciso da estremisti dell’Isis il 26 luglio 2016. Due mesi dopo il francese è stato dichiarato martire, invece lo sgozzamento del frate venezuelano è passato inosservato.
Ma come vive l’episcopato venezuelano questa atmosfera intimidatoria? “I vescovi sono sbigottiti di fronte a questa ondata di violenza ma mantengono la loro voce profetica, la loro voce energica per denunciare cosa accade in Venezuela. Anzi, queste minacce hanno incoraggiato l’episcopato e, oggi più che mai, la chiesa è presente con i suoi pastori in ogni comunità, accompagnando il popolo nelle sue sofferenze”, ha concluso padre Pedro Pablo Aguilar.
“C’è un gemito segreto nel cuore che non è avvertito da alcuno” (San Agostino). Mentre l’intervista al padre volgeva al termine, avveniva la morte di Juan Pablo Pernalete (20 anni), colpito da una bomba lacrimogena durante la brutale repressione della polizia nazionale bolivariana nel corso di una manifestazione pacifica a Caracas. Da quando sono iniziate le proteste contro l’esautoramento del Parlamento, il 4 aprile scorso, si contano 30 morti, circa duemila arresti e centinaia di feriti. I vescovi venezuelani convocano, insieme alla comunità latinoamericana, una SS. Messa per la pace presso la Parrocchia di San Bonaventura di Roma (Via Marco Calidio 22) sabato 29 aprile alle ore 18.00. 
L'OBBEDIENZA DEL FIGLIO IN NOI CI FA ASCENDERE AL CIELO


Al centro della Pasqua vi è l'obbedienza, perché "credere" significa, in concreto, "obbedire" al Figlioobbedire è ascendere al Cielo, lasciarsi afferrare dal Signore per farsi condurre nel luogo dal quale Egli è "disceso". Obbedire è consegnare noi stessi fatti "di terra" al Figlio di Dio che "viene dall'alto", perché la terra si rivesta di "Cielo" e sia colmata di "Spirito". Credere, infatti, è innanzi tutto accogliere l'annuncio che proprio questi istanti che abbiamo tra le mani, la tela che intreccia le nostre relazioni, i nostri amori, il lavoro, la scuola, la famiglia, che tutto quello che è la "terra" della nostra vita può, miracolosamente, qui e ora, trasformarsi in un anticipo di Cielo. Però, un momento, di che cosa stiamo parlando? Mia moglie non ha neanche quarant'anni, un cancro la sta divorando, e abbiamo tre bambini piccoli! Che significa questo credere e obbedire? La storia è qui che ci sta inghiottendo in un dramma di cui non riusciamo a comprendere la portata e immaginare gli esiti. Che mi vieni a raccontare? Sì fratello, vengo oggi ad annunciarti che "Chi viene dall'alto, dal Cielo, è al di sopra di tutti", e si sta avvicinando a te e a me che "veniamo dalla terra, apparteniamo alla terra e parliamo della terra". E' "terra" ed è reale la tua sofferenza, spezza il cuore la paura del futuro, e che ansia l'attesa delle analisi e della Tac... Così come è "terra", è reale e fa male un marito che tradisce e scappa con una ventenne; o un figlio che, sordo a qualunque parola, continua a frequentare ambienti imbottiti di droga; o l'essere stati licenziati a cinquant'anni e non avere alcuna prospettiva di impiego, la famiglia da mantenere e il mutuo da pagare. Il sudore e il dolore impregnano "la terra" alla quale "apparteniamo", lontana dal Paradiso quanto la superbia ci ha spinto ad allontanarci da Dio. Per questo non sappiamo e non possiamo che "parlare della terra", l'unica che conosciamo. Gli occhi sono piantati su quello che vediamo e tocchiamo, ed è dolore, paura, frustrazione, peccato. Da qui sotto non riusciamo a vedere l'insieme delle cose, lo sguardo è incatenato in una prospettiva limitata, al massimo ci perdiamo in un sogno, un desiderio che si fa alienazione, ed è ancor peggio, e cadiamo in una schizofrenia che ci dilania: da una parte il desiderio indomito di pienezza, di altezze sconosciute, dall'altra la polvere della terra che ci raschia la gola e arrossisce gli occhi... Sulla "terra" il dolore non ha senso, soffoca, acceca, uccide, e basta. Pensa a come "parli" della tua vita, delle persone che ti sono accanto; pensa a come guardi e come discerni i loro gesti e le loro parole. Hai per caso presente che esiste il peccato, e che tu e l'altro siete peccatori? Hai presente che il peccato caccia lo Spirito e lascia l'uomo a combattere inutilmente con la "terra" che gli si sbriciola tra le mani. Che è inutile, senza l'alito di vita celeste siamo tutti una creazione abortita, null'altro che polvere, vana come ogni gloria faticosamente conquistata. Nove volte su dieci non lo abbiamo presente, e siamo generosi... Sappiamo solo che, come me, l'altro è "dalla terra", si muove nel perimetro che delimita con i suoi passi, quando i suoi sbagli cadono sotto i miei occhi non ho che rimproveri, castighi e giudizi. "Nessuno" di noi ha ancora "accettato la testimonianza" di Gesù, non pienamente almeno, altrimenti vedremmo e parleremmo diversamente. "Nessuno" nel mondo lo ha accolto, per questo il mondo è schiavo del demonio e della carne, e non sa "parlare" che della terra. Ma "l'ira di Dio incombe su di lui", su ciascuno di noi. Ed è una Buona Notizia! Sì, oggi incombe su di te e su di me l'ardente gelosia di Dio, che, secondo la terminologia biblica, è insieme ira e zelo. Incombe su di noi l'amore di Dio! Nessun moralismo, non c'entra nulla il Dio castigatore che forse ci è stato presentato, l'immagine terrorizzante che abbiamo di Lui, quella che il nostro cuore giustizialista ha disegnato. No, Dio è un Padre misericordioso che non ci lascia nell'inganno "della terra". Non è questo il destino per il quale ci ha creato! Per questo anche oggi "discende" dal "Cielo" il nostro Fratello maggiore "che è al di sopra di tutti" per "attestare ciò che ha visto e udito" lassù. E che ha "visto"? Ha "visto" noi raminghi ed esuli in "terra straniera"; ha "visto" i nostri peccati e la morte che ci ghermisce, con il male che non risparmia nessuno, neanche gli innocenti; ha "visto" le malattie, le guerre, i terremoti, i divorzi, gli aborti, i tribunali, gli abomini che feriscono la santità del corpo, del matrimonio, dei fidanzamenti, delle amicizie, del lavoro, dell'infanzia e della vecchiaia. E ha "visto" il Padre che freme di compassione perché ci ama, ed è pronto a perdonarci. Ha "udito" dal Cielo il nostro grido d'angoscia come quello del Popolo di Israele schiavo in Egitto; lo ha "udito" tra le mormorazioni, i giudizi, le giustificazioni, anche tra le maledizioni e le bestemmie con cui ci siamo abbandonati al peccato; ha "udito" il tuo dolore di madre ammalata, di padre stordito e preoccupato, di figlio intrappolato nell'inganno. E ha "udito" la voce del Padre che, guardando Lui "disceso" sino alle profondità della terra e da lì risuscitato, diceva di tutti noi "ecco il mio Figlio prediletto, in cui mi sono compiaciuto". Gesù "ha visto e udito" e oggi lo "testimonia" a ciascuno di noi. Ha visto la nostra sofferenza già bagnata dalla Grazia. Ci ha visto lì con Lui accanto alla destra del Padre! Basta "ascoltarlo" e "accogliere" il suo martirio d'amore per "certificare", ovvero sperimentare, che "Dio è veritiero" perché è amore e non smette un istante di amarci. Se è vera la terra, con il cancro e il peccato, è vero anche il Cielo, con il perdono e la vita eterna. E' l'amore che discende sino a noi il riscatto di ogni frammento di terra destinato alla corruzione. E' la "parola di Dio" che ci annuncia il Signore a smentire tutte le "parole della terra" che ci ha detto il demonio trascinandoci fuori dal Paradiso; è la "parola di Dio" che ci annuncia il perdono che ci libera e trasforma il male in un'occasione per amare e gustare le primizie del Paradiso, la libertà, la gratuità e l'innocenza che abbiamo perduto obbligati a mangiare polvere come il serpente che ci ha ingannato. Solo l'amore, infatti, vince il timore e il peccato; solo l'amore trasfigura un cancro in un dono da consegnare al Padre per la salvezza di chi ci è accanto, come l'opera più grande per i propri figli, anche se dovessimo lasciarli di qui a poco. Varrà più questo tempo di sofferenza offerto nella pura gratuità per loro che venti anni di educazione e sacrifici. Quei gesti innocenti d'amore balbettati nella debolezza si pianteranno nel cuore dei figli come un segno indelebile del Cielo, una finestra aperta sul destino che li attende aperta proprio dalle piaghe del genitore ammalato. Allora la malattia devastante, la "terra" più sporca agli occhi di chi non ha mai visto il Cielo, sarà oro purissimo e di valore inestimabile, profumerà della fragranza del Paradiso, e resterà scolpito nel cuore dei figli come un'ancora a cui aggrapparsi nei momenti difficili. Perché è esattamente quello che ha compiuto Cristo sulla Croce, il momento breve ma intenso con cui ci ha salvati agganciandoci al suo Mistero Pasquale. Il momento più fecondo della sua vita. Come ha sperimentato e vissuto Chiara Corbella Petrillo, che così scriveva a suo figlio Francesco in occasione del suo primo compleanno; per lui aveva offerto se stessa, sino alla morte: "Lo scopo della nostra vita è amare ed essere sempre pronti ad imparare ad amare gli altri come solo Dio può insegnarti. […] Qualsiasi cosa farai avrà senso solo se la vedrai in funzione della vita eterna. Se starai amando veramente te ne accorgerai dal fatto che nulla ti appartiene veramente perché tutto è un dono. […] Sappiamo che sei speciale e che hai una missione grande, il Signore ti ha voluto da sempre e ti mostrerà la strada da seguire se gli aprirai il cuore… Fidati, ne vale la pena!" Siamo dunque chiamati a "credere", cioè ad "accogliere" oggi il Signore per "avere la vita eterna" che ci strappa alla "terra" per innalzarci al Cielo, dove guardare e discernere con gli occhi di Dio. Da lassù la prospettiva cambia radicalmente. Come quando sei in aereo e tutto acquisisce una dimensione nuova, si ridimensionano le cose che sembrano enormi agli occhi di cammina per strada. Immagina di trovarti in mezzo al traffico, a duecento metri da un incrocio. Ti sembra di non arrivarci mai, e imprechi, e ti agiti, e perdi la pace, e poi quando arrivi a casa ti sfoghi con la tua famiglia. Ma se guardi la stessa scena dal finestrino di un aereo, scopri che dopo quell'ingorgo la strada è libera, e puoi arrivare in tempo a casa per goderti la partita. Dal Cielo si vedono le cose dentro un ordine che dalla terra non si può percepire. Gli ingorghi della vita durano solo un attimo, non sono l'assoluto capace di ferirti a morte... Allora coraggio, lascia che oggi il Signore ti attiri a sé verso il Cielo attraverso la Croce: da lassù, gli occhi negli di Cristo, potrai vedere nella fede il piano di Dio su di te e sui tuoi cari, i frutti della Grazia oltre la malattia, oltre la crisi che sta anestetizzando nell'accidia tuo figlio, al di là dei fallimenti della missione. Perché "il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa", anche il cancro che porti dentro! Per questo chi appartiene a Cristo vive ogni evento e relazione in Cielo unito a Lui già da ora, pur attraverso le prove e le ferite della vita terrena; sperimenta il potere delle sue "mani" crocifisse su ogni avversità, e non perché mutano le circostanze, ma perché, con Lui, possiamo tutti entrare nella storia senza fughe alienanti, nella certezza che alla fine del tunnel c'è la luce del compimento. il Padre ha consegnato nelle mani del Figlio non un potere secondo la carne, magico e istantaneo, ma ciascun aspetto della vita di ogni uomo; i chiodi hanno piantato nelle mani di Gesù ogni nostro pensiero, sofferenza, angoscia, peccato, e ora, risorto, ha trasfigurato tutto nella gloria delle sue piaghe. Quando le mostra ai suoi discepoli rivela che la vita è stata finalmente redenta, che tutto di noi è stato purificato ed elevato e introdotto nel Cielo, che in tutto risuona l'eternità, l'incorruttibilità, e che l'anelito a non perdere più la pace e la gioia, è stato finalmente appagato in Lui, e lo possiamo sperimentare nella Chiesa. Nelle mani di Cristo è consegnato per amore dal Padre ogni nostro istante: per questo tutto di noi è un frammento del cuore amorevole di Dio che si posa sulla "terra"; ogni relazione, pensiero, impegno di lavoro e di studio, ogni precarietà, tutto è ormai impregnato dello Spirito Santo che Gesù ci dona "senza misura". Non ha infatti misura il nostro desidero di felicità, e lo Spirito deve conquistare, uno ad uno, tutti i territori della nostra esistenza che ancora appartengono alla terra. Lo Spirito Santo è il vento che spira dal Cielo e purifica, e colma di senso rivestendo tutto, anche una malattia, anche il dolore più lancinante, dell'amore infinito di Dio, della vita che non muore. Nulla è più banale, insignificante, disprezzabile; in Cristo risorto tutto è santo, bello e autentico. "Obbedire" a Lui allora, non è altro che lasciarsi toccare e attirare dalla pienezza d'amore che scaturisce dalle sue piaghe gloriose; è obbedire al suo invito e imbarcarci con Lui sull'aereo della Grazia, entrandovi attraverso il portello dell'umiltà. In quell'abitacolo che è la comunità cristiana, potremo aprire gli occhi sul panorama celeste per il quale ci è data anche questa giornata, e le persone con cui viviamo e incontreremo, le difficoltà e le consolazioni. Obbedire al Figlio è l'amore, la chiave che dischiude le porte della Vita eterna nella quale passare da questa "terra". 

mercoledì 26 aprile 2017

Da "hobbit" chiediamo verità sui Sacramenti, non rivolte

   
   
di Lorenzo Bertocchi                  23-04-2017
Il direttore Cascioli con i relatori del mattino

«Non siamo qui per una battaglia ideologica», ha detto il direttore Riccardo Cascioli, «ma perchè ci sentiamo chiamati a una responsabilità». Con questa affermazione si è chiuso ieri il convegno “A un anno da Amoris laetitia. Fare chiarezza”, tenutosi in una sala dell'Hotel Columbus a due passi da piazza S. Pietro organizzato e promosso da La Nuova BQ e il Timone.
Un convegno convocato da laici, con relatori laici da tutto il mondo. Molti i giornalisti presenti, ricordiamo solo alcune grandi firme del vaticanismo italiano come Sandro Magister, Luigi Accattoli, Giuseppe Rusconi e Aldo Maria Valli. Tra gli stranieri Edward Pentin del National Catholic Register. Circa 200 le persone che hanno seguito i lavori di una giornata intensa.
Proprio il ruolo dei laici è la sottolineatura più rilevante dell'evento all'hotel Columbus, come ha giustamente notato Valli in un suo articolo prima del convegno e pubblicato sul suo blog.
«Ben di rado», ha scritto, «si vedono laici cattolici riuniti da soli, senza la guida di un cardinale, un vescovo, un monsignore o almeno un semplice prete, per discutere di questioni che riguardano in prima istanza i contenuti fondamentali della fede. E ancora più raro è vedere laici che decidono di uscire allo scoperto per rivolgersi ai pastori con un ammonimento che suona così: “Scusate tanto, ma guardate che secondo noi in ciò che avete prodotto c’è qualcosa che non funziona e che può diventare pericoloso non solo e non tanto in senso astratto, ma proprio per la salvezza delle anime”».
La relatrice Anna Silvas, professoressa universitaria australiana, nel suo intervento ha scomodato la grande saga di Tolkien per ricordare che i laici sono come gli hobbit della Terra di mezzo. «Poco potenti, ma con un ruolo fondamentale nella battaglia per il trionfo del bene». Proprio il direttore Cascioli ha ricordato nell'introduzione quali sono gli elementi di preoccupazione che hanno animato l'organizzazione del convegno. «Nella diatriba su Amoris Laetitia è implicato il significato di ben tre Sacramenti: matrimonio, penitenza e soprattutto l’Eucarestia. Abbiamo conferenze episcopali, singoli vescovi, sacerdoti che sui temi più delicati danno interpretazioni e indicazioni anche opposte. Siamo all’assurdo che, tanto per fare un esempio, le indicazioni ai fedeli sull’accesso ai Sacramenti cambiano non solo da paese a paese, ma anche da diocesi a diocesi e da parrocchia a parrocchia». Di qui la richiesta di chiarezza che prende le mosse dai cinque dubia che quattro cardinali hanno rivolto al Papa affinché sciolga i nodi su temi fondamentali che riguardano la dottrina morale cattolica e la prassi pastorale che ne consegue.
I relatori intervenuti, ha spiegato Cascioli, «provengono da culture diverse, da esperienze ecclesiali diverse, esprimono anche sensibilità diverse e anche il modo di affrontare la situazione attuale non è identico. Ma in comune tutti noi abbiamo la percezione della gravità della crisi della Chiesa e il desiderio di giocare la nostra responsabilità personale fino in fondo per contribuire al bene della Chiesa stessa, fino a richiamare i pastori al loro dovere».
I lavori si sono aperti con l'intervento di Jurgen Liminski, direttore dell'Institute for Demography, Welfare and Family (Germania), che ha sottolineato il valore sociale dell'indissolubilità del matrimonio. «Il matrimonio durevole», ha detto, «garantisce un clima di fiducia nei legami affettivi e la fiducia è un cemento della società. Per questo le relazioni stabili e non liquide sono un capitale culturale utile alla società e anche all'economia».
Molto articolata la relazione di Douglas Farrow, docente di filosofia cristiana a Montreal. Ha ricordato un certo «rischio gnostico che c'è nel dividere un Dio giudice da un Dio misericordioso. E la sfida per la Chiesa di oggi è quella di alzare gli occhi a un Dio che non ha bisogno di attenuare la giustizia per dare misericordia». Se la tradizione «non può contraddire sé stessa, il paragrafo 303 di Amoris laetitia pone il problema di come si intende la coscienza rispetto a quanto insegna il paragrafo n° 56 dell'enciclica di san Giovanni Paolo II Veritatis splendor».
Anche la relazione del filosofo parigino Thibaud Collin ha osservato che questo tema del rapporto tra coscienza e legge naturale, tra ordine oggettivo e responsabilità soggettiva, è al cuore dei cinque dubia che i cardinali hanno rivolto al pontefice. «La legge di Dio», ha detto Collin, «non può diventare un elemento tra gli altri, da ponderare in base alle situazioni». La relazione di Collin, molto approfondita, sarà pubblicata integralmente in italiano nei prossimi giorni, insieme a quelle di tutti gli altri relatori. Il francese ha anche affrontato la questione del possibile sviluppo che Amoris laetitia avrebbe apportato nella continuità di Familiaris consortio e Veritatis splendor, rilevando una serie di incongruenze affatto risolte.
La Silvas aveva anche accennato ad un certo spirito della modernità che sembra essere inseguito da molti pastori, come per «ottenere facili approvazioni», sembra, ha detto, «aleggiare uno spirito hegeliano, lo spirito profondo della modernità». Ha concluso il suo intervento dicendo che finché i dubia dei quattro cardinali non troveranno risposta «sarà difficile evitare la confusione delle interpretazioni, perchè il testo di Amoris laetitia, oggettivamente, lascia aperture evidenti». Tra l'altro ha ricordato lo strano caso della nota 329 al testo di Amoris laetitia, «richiama Guadium et spes in un passo che riguarda gli sposi, ma lo applica a coppie che sposi non sono. Perchè?».
Il professor Claudio Pierantoni, Cile, ha specificato che, in un certo senso, i dubia sono inediti, perchè «chiedono qualcosa su cui il magistero si era già più volte chiaramente espresso». In Amoris laetitia, secondo Pierantoni, «l'indissolubilità del matrimonio viene affermata, poi vi sono rinnovamenti nella prassi che la contraddicono».
Il contributo di Jean Paul Messina, professore camerunense, si è concentrato soprattutto sul problema della poligamia che in Africa è un vero e proprio rischio per il Vangelo della famiglia e del matrimonio cristiano.
 «Questo convegno», ha ribadito Cascioli, «non è un atto di rivolta contro il Papa, né intende porre ultimatum né ha intenzioni scismatiche. Le critiche a certi passi – contenuti specie nel capitolo VIII – dell’Amoris laetitia, nonché a certe interpretazioni da parte di conferenze episcopali come quelle tedesca e maltese e di singoli cardinali, vescovi, religiosi, sono semplicemente una testimonianza di chiarezza».