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lunedì 10 aprile 2017

Pasqua, annunzio che la vita ha senso in Cristo

    
   
di Luigi Negri*                           09-04-2017
Sepolcro vuoto

Anche in questo momento, attraverso la testimonianza della Chiesa, è riproposto al cuore di ogni uomo l’annunzio grande e pacificante della morte e risurrezione del Signore, l’unica possibilità di salvezza per l’uomo di questo tempo e di ogni tempo.
L’uomo rimane a se stesso un essere incomprensibile - come ci ha insegnato san Giovanni Paolo II - la sua vita è priva di senso se non incontra Gesù Cristo. E lui ci rivela definitivamente il volto del Padre, in lui e mediante lui l’uomo viene rivelato a se stesso e trova il senso profondo della sua esistenza. E così comincia a percorrere un cammino, il cammino buono della vita, unica alternativa al sentiero polveroso del nulla, come ci ha ricordato in un suo signifcativo intervento il grande filosofo tedesco Robert Spaemann.
È questo che con coraggio indomito noi ci sentiamo di dire all'uomo di oggi, pur con il senso di tutta la nostra povertà, di tutti i nostri limiti e di tutte le nostre fatiche. La vita non è inutile, la vita non è senza senso, senza significato; la vita è una possibilità nuova e definitiva di camminare ogni giorno verso il senso profondo dell’esistenza attingendone di giorno in giorno significativi punti di approfondimento e di sviluppo.
Ma l’uomo di oggi come sta di fronte a questo annuncio?L’uomo di oggi sta di fronte a questo annuncio gravemente condizionato, quasi distrutto, da una mentalità dominante e da una antropologia che hanno voluto eliminare Dio dal contesto della vita umana. E perciò hanno reso e rendono la vita così disumana, così incapace di verità, di bellezza, di bene e di giustizia. È un uomo quasi annullato - cito ancora san Giovanni Paolo II -, annichilito ma non distrutto quello che oggi incontra Gesù Cristo salvatore dell’uomo e del mondo.
Dobbiamo aprire il nostro cuore. Mentre annunziamo Cristo risorto dobbiamo aprire il nostro cuore a questa umanità dolente, a questo popolo che ogni giorno è abbandonato senza aiuti alla violenza cieca che distrugge le famiglie, i gruppi sociali, investe le nazioni e caratterizza in qualche modo la stessa realtà del mondo. Una violenza che sembra non conoscere nessuna possibilità di essere non dico eliminata, ma in qualche modo ridotta.
Noi amiamo l’uomo di questo tempo perché la sua vita ci appartiene, il suo valore è nostro, il suo cammino è nostro, le sue fatiche e i suoi dolori sentiamo profondamente inscritti nella nostra coscienza. Ma il fondo più profondo della nostra vita non è il dolore del mondo; il fondo più profondo della nostra vita è la certezza irresistibile che Cristo accanto a noi ci chiama a sperimentare ogni giorno quella vita nuova che riempie la nostra esistenza e ci spalanca alla comunicazione di questa vita nuova a tutti gli uomini.
La Pasqua insomma è una occasione straordinaria per recuperare il senso profondo della grazia che è Cristo, della sua presenza che precede ogni nostra realtà. È una presenza che rende la nostra vita un cammino buono e positivo. E percorrendo questo cammino buono e positivo, sentiamo che questo cammino non è solo per noi, è per tutti i nostri fratelli uomini.
Non accetteremo mai la tentazione, pur così diffusa in questo momento della vita della Chiesa, di ridurre il nostro annunzio semplicemente a qualche larvata e privata forma di spiritualità.
Non accetteremo mai che il cristianesimo si riduca allo spunto per una progettualità etica e sociale.
Non accetteremo mai di parlare di Cristo al mondo secondo le misure, gli intendimenti e la mentalità di questo mondo.
Sentiamo che la più grossa tentazione che siamo chiamati ogni giorno a incontrare e a superare è la tentazione di ridurre il cristianesimo a una sapienza umana, a una sapienza che si accorda con il mondo. Cioè che accetta il posto che il potere mondiale assicura a coloro che hanno accettato di vivere nell’ambito indiscusso e indiscutibile di questo nuovo e definitivo potere mondano.
E pensiamo che il futuro della Chiesa, il futuro dell’umanità sia legato all’esperienza di piccole comunità credenti, di piccole comunità che affermano la presenza di Cristo come significato profondo della vita. E che offrono questa vita nuova, nella comunicazione da cuore a cuore, a tutti gli uomini del nostro tempo. In questo ci sentiamo insieme, definiti da una grazia che è più grande di noi ma chiamati alla responsabilità della missione nella quale ciascun uomo e tutta la Chiesa devono ritrovare continuamente la propria identità.
Sì, questa Pasqua esige - come ci richiama costantemente papa Francesco - che noi diventiamo una Chiesa in uscita, cioè una Chiesa che rinuncia a forme di sicurezza mondane e accetta la suprema povertà della fede, che è anche la suprema ricchezza.
* Arcivescovo uscente di Ferrara-Comacchio

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