Sapevano che potevano essere colpiti e che andare a Messa stava diventando sempre più pericoloso. Sapevano che in prossimità di una festività come la Pasqua il livello di pericolo era più alto, soprattutto dopo che a ridosso del Natale scorso oltre 25 persone erano morte mentre 50 erano state ferite durante l’attentato kamikaze avvenuto nella più grande chiesa copta del Cairo. Lo sapevano, eppure le chiese di Mar Guiurguis a Tanta e di San Marco ad Alessandria, il giorno della domenica delle Palme che apre la Settimana Santa, erano piene zeppe di fedeli. Anche per questo il bilancio drammatico dei nuovi attacchi terroristici è di 47 morti e 126 feriti. Lo sapevano, appunto, e per questo sfidano la fede stanca dell’Occidente. Dimostrando che in chiesa, durante la celebrazione eucaristica, accade davvero qualcosa per cui vale addirittura la pena rischiare non solo la propria vita ma anche quella dei propri figli.
Il martirio è una scossa per il cristianesimo liquido dell’emisfero Nord-Ovest del mondo, dove la maggior parte dei sedicenti cristiani dice di credere senza frequentare più la Chiesa. Come se le due cose potessero essere separate comodamente da una religiosità fai-da-te che non vuole problemi preferendo conservare le mani pulite. Proprio tre giorni prima degli attentati, infatti, il Barna Reasearch Gruoup, specializzato in studi sulla fede nel mondo, pubblicava l’esito di un sondaggio su coloro che si definiscono “spirituali ma non religiosi”, spiegando che la metà degli americani dice di essere religiosa ma non praticante, perché appunto “amano Gesù ma non la Chiesa”. Ancor di più colpisce che proprio la domenica delle Palme la Bbc analizzava i risultati di un sondaggio da cui emerge che il 25 per cento dei cristiani della Gran Bretagna non crede nella resurrezione di Gesù. Perciò anche tutto ciò che è carnale, come la Chiesa e i sacramenti, non sono più percepiti come necessari alla salvezza da una fede ridotta ad un intimismo incapace di incidere nella vita e nella storia.
Mentre i copti, uccisi dopo aver ascoltato il Vangelo in cui Cristo entra a Gerusalemme “mite” e “seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma”, credevano così profondamente all’incarnazione di Dio (che sceglie di rimanere presente nella storia proprio attraverso segni effimeri e limitati come il pane e il vino), da preferire la salvezza eterna e la resurrezione della carne ad una vita senza speranza. E da scegliere la partecipazione al sacrificio eucaristico che libera dal peccato alla sicurezza, comunque momentanea, delle proprie mura casalinghe. In questo modo, mentre il mondo occidentale percepisce la Pasqua, la Messa, i comandamenti o come pratiche inutili o come atti da praticare per abitudine (spesso incastrandoli come un peso fra le mille attività ricreative o lavorative), questi cristiani coscienti del divino che agisce nella storia richiamano potentemente all’importanza dell’effimero, dei gesti, della liturgia dove Dio è realmente presente a cambiare e trasformare la vita degli uomini.
Non potendo essere sepolti fino alla Pasqua, i copti uccisi verranno vegliati per tutta la Settimana Santa dalla loro comunità, cosciente di vivere esattamente quello che vissero gli apostoli 2000 anni fa: l’attesa della resurrezione di Cristo incarnato nel corpo dei martiri. Così, quando il mondo tiepido e borghese si disinteressa di questi perseguitati, come fu indifferente alla crocifissione, c’è chi sceglie di vivere la Quaresima guardando a loro. Perché, disse Papa Tawadros, celebrando a dicembre i funerali delle vittime dell’islamismo, “i nostri martiri, e l'atto del martirio in sé, ci uniscono al Cielo e fanno salire il nostro cuore fino a quelli che già sono lì, e da lì intercedono per noi (…). Diamo l'addio ai nostri cari con spirito di lode (…) perché crediamo che non c'è morte per coloro che amano Dio: loro saranno resuscitati nella gioia alla vita eterna”.
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