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domenica 2 aprile 2017

L'ex abortista: "La Madonna mi chiese: perché mi ferisci?"

   
   
di Benedetta Frigerio                      02-04-2017
Il dottor John Bruchalski

Mentre l’impero delle cliniche abortive sente per la prima volta dagli anni Ottanta le sue fondamenta vacillare sotto le scosse degli scandali e della nuova amministrazione trumpiana, si espande una delle punte di diamante della risposta cristiana alla maternità, cresciuta pazientemente senza fondi né pubblicità ma tramite la grazia e il sacrificio di alcuni uomini. Dotata di sale parto, di stanze per la partoriente e la famiglia, di un hospice perinatale, questa clinica della maternità sovverte la tendenza della medicina moderna a patologizzare il parto in ospedale (relegando paradossalmente l’aborto al privato) e che tratta la gravidanza come un affare che riguarda solo la donna, di fatto lasciandola sola a gestire uno degli eventi più sconvolgenti della vita.
Ma chi è quell’uomo che è riuscito a creare la clinica Tepeyac Ob/Gyn della Virginia, che recentemente ha inaugurato un ampio hospice perinatale (munito di cappella), capace di offrire “una gamma completa di servizi ostetrici e ginecologici” credendo “nella medicina misericordiosa, nella giustizia delle Scritture e nelle relazioni centrate su Cristo”? Il suo nome è John Bruchalski, un medico che dopo aver praticato aborti per anni, si è convertito sacrificando tutto per salvare i bambini dall’omicidio materno e offrendo la sua intera esistenza e opera alla Madonna.
Cattolico di tradizione, studiando medicina negli anni Ottanta Bruchalski cominciò a credere che “l’aborto è la contraccezione erano cose buone per la donna”, anche perché molti altri cattolici gli spiegarono che l’insegnamento della Chiesa sulla famiglia, la vita e la sessualità poteva cambiare con la cultura e che sarebbe stata solo una questione di tempo. Fu questa la trappola in cui Bruchalski decise di cadere. Perciò, preso il forcipe in mano, cominciò ha squarciare i bimbi in grembo così: “Lo giravo” e poi li aspirava con “la canula che è lunga solo una ventina di centimetri. Questa è la breve distanza dal bambino quando gli togli la vita. E passava dalla canula, dalle mie dita, dalle mie braccia fino al mio cuore. Ed il mio cuore ogni volta diventava più duro”. Infatti, gli anni passarono fino all’indifferenza più totale: la vita del medico procedeva come se nulla fosse, come se l’omicidio di centinaia di innocenti non avesse conseguenza né su di lui né sulle madri. Figurarsi sul mondo. Dall’altra parte però “non c’era né felicità né gioia nelle mie cliniche”. Oltretutto la contraccezione elargita come panacea, anziché risolvere il problema dell’aborto e della diffusione di malattie lo aumentava: “Sempre più rapporti si rompevano, c’erano più infezioni”. Eppure Bruchalski si giustificava così insieme ai suoi colleghi: “Accade perché la contraccezione non è ancora abbastanza diffusa e sicura”.
Ma, spiega l’uomo, la preghiera incessante di sua madre “mi salvò”. Un giorno, visitando il santuario della Madonna Guadalupe dove improvvisamente (all’inizio pensando di sognare) sentiì una voce di donna che gli diceva: “Perché mi ferisci?”. Pensò che forse era quella di Maria, ma poi Bruchalski tornò comunque alla sua vita di sempre. Un giorno, però, mentre praticava un aborto, il tentativo fallì e il piccolo nacque vivo: “Pesava oltre mezzo chilo (…) arrivò il medico dalla neonatologia” che “mi guardo dritto negli occhi e mi disse: Smettila (…) sei meglio di così”. Il piccolo respirava. Pochi giorni dopo la madre di Bruchalski gli chiese di essere accompagnata in pellegrinaggio a Medjugorje (dove dal 1981 appare la Madonna a sei veggenti). Qui per grazia si risvegliò in lui l’amore che aveva per Maria e Gesù quando era bambino. “E’ stata la semplicità dei messaggi della Madonna a portarmi alla conversione”, ha spiegato il medico, “insieme ad una giovane Belga”. Questa, una donna convertita alla causa pro life, gli disse che sapeva che la Vergine Maria voleva comunicare con lui: “E cominciò a dirmi cose sulla mia vita che mi cambiarono”.
Tornato a casa il medico spiegò ai  suoi superiori che non avrebbe mai più praticato aborti. Ma Bruchalski volle poi fare di più: snidare la menzogna in cui aveva creduto e capire da dove venisse cominciando a studiare il magistero di san Giovanni Paolo II, specialmente “la teologia del corpo”. Infatti, la grazia ricevuta durante il pellegrinaggio non fu solo quella di riconoscere tutto il suo peccato, ma anche di “comprendere che c’era un modo vero di essere medico (…) opposto a quello che sosteneva Planned Parenthood (l’industria degli aborti americana, ndr). “La Madonna mi ha mostrato il mio ruolo”.
Così dal 1994 il medico ha cominciato a dirigere centri di aiuto alla maternità dove “siamo convinti che la salute dipenda dai rapporti di una comunità” e che “se noi amiamo abbastanza mentre pratichiamo la medicina possiamo creare ambienti in cui l’aborto diventa impensabile”. La clinica Tepeyac non è mai stata a scopo di lucro, perché “la Madonna dice che dobbiamo guardare ai poveri nella nostra vita quotidiana, visto che una cosa è essere un medico pro life, un’altra è arrivare a vedere i poveri nella propria vita di medico”. Eppure il centro è cresciuto in servizi e qualità. Soprattutto, data la sua esperienza di abortista, Bruchalski è convinto che più che concentrarsi su soluzioni come l’adozione o sulle immagini fetali, poiché la donna in quel momento percepisce il figlio come un nemico, occorre offrire un senso e una speranza che è Cristo.
Ora il medico gira il mondo a parlare ad altri professionisti e giovani, perché “abbiamo bisogno di ispirare i medici a professare la loro fede e a diventare gli uomini e le donne che Dio li ha chiamati ad essere”. La sua esperienza di conversione dimostra che “nessuno è al di là della misericordia di Dio, nessuno, nessuno (…). La misericordia di Dio è ciò che veramente ha penetrato il mio cuore”. Per questo Bruchalski incoraggia la preghiera anche fuori dale cliniche abortive:  “Dobbiamo aiutarci a vicenda, pregare l’uno per l’altro, sacrificarci l’uno per l’altro”, certi che “la conversione avviene, anche se non secondo i nostri tempi”.

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