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giovedì 6 aprile 2017

L'ipocrisia che esalta l'amore light e oscura quello vero

   
   
di Benedetta Frigerio                          06-04-2017
Amore vero     

Mogli tradite arrabbiate o addirittura felici, amanti che normalizzano divorzi, separazioni, famiglie allargate o relazioni segrete di anni. Basta rientrare in una di queste categorie per essere accolti nella rubrica che riporta le testimonianze sull’amore del blog 27esima ora del Corriere della Sera. Si va dalla moglie lasciata che arriva dopo anni a ringraziare il marito perché “in fondo non eravamo compatibili” e quindi “mi ha reso libera” , sottolineando che suo figlio non soffre ed è felice (sarebbe utile capire meglio di quale felicità si parli, ma non viene detto nulla di più), fino all’amante convinta di amare l’uomo sposato da cui viene usata come sfogo per “sopportare la routine della famiglia” con cui continua a stare. Infine ci sono anche donne che si lamentano di essere state abbandonate.
Nella sezione del Corriere che racconta l’amore ci sta tutto, persino chi ritiene lecito essere usati o traditi: basta “sentirsi bene” che tutto fa brodo. Perciò una persona può descrivere un’azione come un gesto d’amore e un’altra come un atto egoista che, si sa, negli affari di cuore ognuno reagisce a suo modo. Figurarsi se esiste qualcosa di oggettivo quando per amore si intende un sentimento soggettivo. Benissimo, ma se questa è la convinzione di via Solferino, appare quantomeno ipocrita che sulle pagine della stessa testata si parli di “femminicidio” ogniqualvolta una donna è vittima di un uomo che la concepisce come un proprio strumento, dato che la violenza fisica nasce sempre dalla concezione per cui l’altro è un oggetto da possedere o rottamare a seconda delle proprie voglie.
Insomma, la grande stampa ha il coraggio di difendere l’amore liquido per poi accusare gli uomini di violenza, alimentando un cinismo sempre più diffuso fra i giovani che pur desiderando il “per sempre”, di fronte ad un mondo adulto così depravato, non lo credono possibile. Inoltre, blog come questi, non diffondono solo disperazione, bensì una vera e propria menzogna oscurando il fatto che invece l’amore vero esiste, che è solo uno, che è un fatto oggettivo e che ci sono persone in grado di viverlo. Qualche mese fa, sempre sul Corriere, Gramellini commentava la foto di un novantenne mentre imbocca la moglie malata: L’autore della foto “sotto l’immagine ha scritto: “Per tutta la vita ho sognato un amore così”. Così come? Incondizionato. Quanti dei nostri gesti migliori avvengono sotto la spinta più o meno inconscia della gratificazione (…). Invece in questa istantanea esistenziale non c’è soltanto un uomo che sta accudendo una donna (…). C’è un marito di 96 anni che si prende cura di una moglie malata di Alzheimer. Una moglie che non lo riconosce neanche più. Il suo gesto, completamente sganciato da qualsiasi ricompensa esterna”.
E’ dunque questo il bene per cui ogni essere umano è fatto: incondizionato, appunto, senza ritorno, anche se fa tremare perché richiede quello che la modernità maggiormente teme, che è l’accettazione della propria miseria e del proprio bisogno. L’amore vero, infatti, fa a pungi con l’orgoglio che rifugge la gratuità, il ricevere senza meriti e la pretesa di essere amati perché bravi, belli e buoni. L’amore vero, poi, può far paura perché chiede di dare tutto all’altro, eppure resta l’unico in grado di farci vivere, di spingerci fuori da noi stessi, in quell’oltre che solo basta. Il resto, il sentimento a scadenza, le effusioni affettive per il mero piacere fisico, l’amore non generativo sono unicamente ripetizioni di noi stessi che dopo un po’ puzzano di morte. E, infatti, per quanto lo si possa nascondere, un bene misurato sul grado di soddisfazione è una scelta da accontentati, che alla lunga stanca. Eppure il mondo lo preferisce, temendo le vette del "per sempre" che privano l’uomo di ogni potere, su di sé e sugli altri.
Non a caso la nostra società sceglie di rifugiarsi nell’eutanasia del testamento biologico lasciando alla cronaca locale storie come questa: Angela Calise Moroni, di Avezzano, è morta settimana scorsa a 64 anni, dopo essere stata in coma per 29, accudita dal marito e dalle quattro figlie e alimentata con il sondino. Non dava carezze, non sorrideva, ma, dicono le figlie, con la sua presenza testimoniava loro l’essenza della vita. Suo marito Nazzareno, non ha mai voluto farla morire perché è “il Signore a decidere quando è arrivato il momento”. E perché la comunione d’amore a cui aspirava si genera solo nel sacrificio dell’accogliersi e darsi senza riserve (“Non abbiamo mai rimpianto le nostre scelte e possiamo dire con certezza che questi sono stati per tutti noi 29 anni di grandi doni”) e delle proprie immagini (“avevamo deciso di partire missionari insieme come neocatecumenali”, ma “il Signore ha stabilito che questo messaggio d’amore dovevamo darlo in famiglia”). Davanti a fatti come questi si può ancora pensare che un’eroicità simile non sia da tutti (in parte è vero per questo Cristo ha istituito il sacramento del matrimonio, donando agli sposi la sua capacità di amare), ma non si può negare che il vero amore sia solo ed esclusivamente uno. Esclusivo, definitivo. Come quello del Crocifisso, così privo di riserve da apparire tanto umanamente ingiusto quanto desiderabile.

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