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venerdì 22 settembre 2017

LA CHIESA, NUOVA EVA AMATA GRATUITAMENTE, SEGUE LO SPOSO DONANDO SE STESSA PER TESTIMONIARE AL MONDO IL PERDONO DI DIO 



Nel brano di oggi risplende l'esito della corte spietata dello Sposo per la Sposa che lo aveva tradito sedotta da sette demoni, la pienezza della concupiscenza. Per farla capitolare e strapparla a tante lusinghe e menzogne Gesù ha usato ciò che lo rende unico: il perdono dei peccati. Chi ne ha fatto esperienza non può più resistere a Gesù, perché il suo perdono non solo estirpa il peccato, ma depone nel cuore la sua stessa vita, che, ricevuta gratuitamente, muove "naturalmente" il cuore alla gratitudine che si fa sempre sequela e offerta della propria vita. Chi ha sperimentato l'amore di Dio rivelato in Cristo, quello che nessuno ha mai avuto per lui, non ha bisogno di appelli, di comitati, di convegni, di spot pubblicitari. Seguire Gesù senza riservare nulla a se stessi è il frutto naturale della sua vita nuova: le membra una volta offerte al peccato, risuscitate dal suo amore, ne divengono strumenti privilegiati. E' la storia delle donne del Vangelo di oggi: seguono per gratitudine lo Sposo che, per strapparle all'amante, le aveva guarite da spiriti cattivi e da infermità ammalandosi della loro stessa morte. Per questo erano lì, insieme a Pietro, anch'egli cercato e perdonato sulle sponde del lago di Galilea. La Chiesa è la comunità dei "graziati", la Sposa che, liberata dal giogo del peccato, ha abbandonato la casa di suo Padre per seguire lo Sposo più bello. Come recita il Cantico dei Cantici, dare in cambio di questo amore tutti i beni della terra sarebbe disprezzarlo; è gratuito, possiamo solo lasciare che ci seduca. Per salvare l'umanità, Gesù ha scelto tra i peggiori: donne indemoniate, malate, deboli. Le peggiori. Come te e come me. Primo perché nessuna possa gloriarsi davanti a Dio; secondo per offrire a tutti un segno credibile di speranza: se lo stiamo seguendo noi, allora vuol dire che tutti, ma proprio tutti potranno essere salvati e cambiare vita. E oggi, vivi nella gratuità che ti ha salvato e che si fa accoglienza e dono? Se no saresti una sposa a metà, come purtroppo vivono tante donne, anche nella Chiesa. Incomplete, frustrate e nevrotiche, sempre in cerca di gratificazioni. Se ti senti così, se stai continuamente mormorando contro tuo marito, il vangelo di oggi è una Buona Notizia per te: tranquilla, una madre non sarà mai un padre, e una moglie non sarà mai un marito, come la Vergine Maria non sarà mai Gesù suo Figlio. Lei non ha mai avuto problemi di ruolo e di prestigio, di identità e di parità. Lei era la Madre di Dio, la Sposa immacolata dell'Amore che non muore. Non desiderava altro perché quello che aveva era tutto, soprattutto perché quello che era stata chiamata a essere da prima della creazione era tutto, era l'avventura più affascinante, anche se piena di dolori. Per strappare l'umanità al principe di questo mondo, infatti, Dio ha scelto Maria, e in lei molte altre donne, per essere le prime testimoni della risurrezione, le prime cioè a sperimentare la concretezza e il potere del suo perdono. Che privilegio, in una società nella quale alle donne non era consentito testimoniare nulla... Senza il loro annuncio Pietro non sarebbe andato al sepolcro... Quindi, senza l'annuncio delle donne niente messe, niente confessione e niente preti. Maria, e le altre donne del Vangelo ci chiamano a conversione. Innanzitutto per imparare a guardarle con gli occhi di Cristo colmi di rispetto e tenerezza per le debolezze, venerazione per la Grazia che recano in seno. Venerazione anche per la sessualità, senza esigere, senza violenza, mettendo la carne a servizio della volontà e dell'amore. C'è poco da scherzare. Siamo chiamati a riconoscere nelle donne l'avanguardia della storia: la madre di famiglia come la suora di clausura, la sposa come la vergine consacrata, ogni donna arriva sempre prima dell'uomo. Era al sepolcro prima di tutti, prima dei preti, dei padri e dei mariti. Era lì perché, come la peccatrice di quella città che abbiamo visto ieri, ha sperimentato di essere stata perdonata tanto, e per questo amava molto, seguendo fedelmente il Signore; come Maria e la Maddalena, le uniche sotto la Croce. La donna ama e ha coraggio dove l'uomo teme e tradisce. La donna "apre" la Chiesa e il cammino che ad essa conduce. La donna è la Chiesa e per questo si apre e si dona, e accoglie ogni peccatore perché in essa incontri la misericordia nei sacramenti e nella Parola. 


Allo stesso modo, in ogni famiglia, non può mancare l'amore ardente delle donne, la loro ricerca innamorata, il loro giungere all'alba e prima di tutti sulla soglia delle situazioni disperate. La mamma arriva sempre dove sente puzza di bruciato: guarda un figlio, lo "annusa" con il suo sesto senso, e ne intercetta subito il disagio, il dolore, la crisi; la madre, non si sa come, giunge sempre per prima al sepolcro dove si è infilata la vita dei suoi figli. E sempre per venerare e amare, mai per giudicare; le madri, donne innamorate e non "zitelle" come dice ancora Papa Francesco, donne feconde e fedeli, come le mirofore al sepolcro. E lì, dove arrivano prime perché amate per prime, accade sempre lo stesso: appare Cristo risorto, parla al loro cuore, e le apre alla speranza. Per questo, le madri corrono poi a chiamare il padre, ad annunciargli quello che hanno visto piene di fede, perché vada anche lui alla tomba, e veda, e creda, e, con loro, prenda decisioni... Prima la misericordia di una madre, e poi l'autorità del Padre, che può essere accolta solo se scaturisce dalla misericordia materna. Prima l'annuncio della Buona Notizia e poi l'insegnamento, e così padre e madre si completano per il bene dei figli; come accade nella Chiesa: "una bella e vera omelia deve cominciare con il primo annuncio della salvezza. Non c’è niente di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Poi si deve fare una catechesi. Infine si può tirare anche una conseguenza morale. Ma l’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale e religiosa" (Papa Francesco). Per questo è necessario l'annuncio delle donne che scaturisce dalla loro esperienza di essere state guarite dalla misericordia; è decisiva la loro intercessione che si fa annuncio invincibile di speranza. Oggi il Vangelo ci annuncia proprio questo equilibrio, nella Chiesa come nelle famiglie cristiane, altrimenti non si può compiere la missione affidata: "c'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità", e per questo offrivano senza riserve se stessi, compresi i propri beni. Se una parrocchia o una Diocesi è preoccupata per i soldi, al punto di frenare lo zelo per il vangelo, è malata, ha dimenticato il suo Sposo, tradendolo di nuovo dopo averne sperimentato il perdono. La "radice di tutti i mali, infatti, è l'avarizia"; così torniamo all'origine dell'adulterio della Sposa, perché tra le parole ingannevoli dette ad Eva dal serpente, si nascondevano proprio quelle tese a innescare nel suo cuore l'adulterio e l'idolatria, figli dell'avarizia. Tagliare con Dio per essere come Lui è anche appropriarsi dei beni che Egli ci dona e difenderli egoisticamente. L'essere donna è un bene immenso, se vissuto da figlia e creatura docile e abbandonata alla volontà del Padre e Creatore. L'orgoglio innescato da satana rompe anche l'essenza e il fondamento della natura e della specificità femminile, il suo essere vergine, sposa e madre. Una donna avara che si chiude alla vita e all'amore, attaccandosi al denaro e al prestigio, cercando al di fuori del suo essere più intimo il compimento e la gioia, e rifiutandolo come fosse una umiliazione, è ormai presa nei lacci dell'inganno. Assistiamo ogni giorno ai disastri che sta producendo questa menzogna: ovunque stanno scomparendo l'equilibrio e la complementarietà. Anche nella Chiesa, dove si sta insinuando la stolta ignoranza che esige per le donne quello che non sono e non saranno mai. Certo, se si segue l'ideologia per la quale ormai non vi sono più padri e madri ma solo genitore 1 e genitore 2, allora anche nella Chiesa, potremo avere ministro 1 e ministro 2, preti e suore liberamente intercambiabili, secondo il desiderio e il sentimento del momento. La confusione sessuale e dei ruoli che vira sempre più verso astio e desideri di autodeterminazione, perversione e libidine sfrenate, nasce sempre dall'attacco che il demonio sferra contro la donna. Come Dio ha creato l'uomo a sua immagine "maschio e femmina", così nella società e nella famiglia, come nella Chiesa, esistono maschi e femmine, diversi ma l'uno aiuto dell'altro. Mai uguali ma sempre persone con identica dignità e valore. Un prete vale più di una suora perché presiede l'eucarestia? Chi pensa così non ha compreso nulla di una famiglia, della sua natura e bellezza. L'immagine completa e autentica di Dio non è più completa in un uomo (anche se prete) che in una donna. L'immagine di Dio risplende nella diversità e nella complementarietà: "Dio crea l’umano maschio e femmina perché fosse l’amore e non l’uguaglianza ad unire le persone" (San Giovanni Crisostomo). Con Cristo, nel cammino della Chiesa per le "città e i villaggi" delle generazioni del mondo, gli apostoli sono mandati insieme alle donne per condividere e realizzare la volontà del Padre compiuta nel Figlio. Con Lui, insieme perdonati e salvati, rigenerati e inviati, uomini e donne, sacerdoti e suore, padri e madri sono inviati nel mondo a testimoniare con gratitudine l'immagine amorevole di Dio che ogni uomo desidera ardentemente di vedere. 

giovedì 21 settembre 2017


















AMATI PER SEGUIRLO IMPARANDO LA MISERICORDIA NEL SENO DELLA CHIESA




Diceva Chesterton: "Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. È una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate". E non faceva altro che ridire le parole con le quali Gesù aveva risposto ai farisei che interrogavano i discepoli sull'atteggiamento scandaloso del loro Maestro che mangiava insieme ai pubblicani e ai peccatori: "non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati". Qualcosa di più ovvio e reale? No, eppure era diventato un dogma religioso affermare proprio il contrario, che cioè il medico era per i sani e non per i malati. Il Messia doveva venire per i buoni, i puri, gli impeccabili. Come accade spesso nelle nostre comunità e nelle nostre famiglie, ma anche nella società civile e progredita, dove, per nascere, i figli non hanno bisogno di mamma e papà. Invece le foglie sono verdi in estate, e due più due fa quattro, proprio come un malato ha bisogno di un medico. Allora, perché bisogna di nuovo attizzare il fuoco purificatore della Verità per testimoniare la realtà di ogni uomo e sguainare la spada della Parola di Dio per dimostrare l'evidenza? Perché il demonio ci ha ingannati negando tutta la verità e facendoci credere tutta la menzogna; ci ha immersi in un sogno che nega la nostra malattia per farci asserire che, invece, siamo svegli e sani. Per questo non riusciamo a comprendere cosa significhi la misericordia. Quando, per esempio, Papa Francesco ne parla, o la consideriamo una sorta di smacchiatore tascabile oppure ci indigniamo perché ai nostri cuori moralistici, ci appare troppo a buon mercato. La "misericordina", ricordate? Suvvia... Il cristianesimo è una cosa seria. Ma, in fondo, nel segreto, ce la prendiamo per toglierci quel senso di acidità, ma sbagliamo posologia, impedendo alla misericordia di curare alla radice il morbo maligno che ci sta uccidendo. Per questo oggi il Signore ci invia proprio nella nostra vita, dicendoci di "andare" al lavoro, a scuola, in famiglia, nella comunità cristiana, per "imparare", alla luce di questa Parola, "cosa significhi misericordia voglio e non sacrifici". La nostra vocazione fondamentale, infatti, è quella di seguire Gesù per imparare la misericordia. Non stupitevi, bisogna re-imparare la Verità, perché il demonio ha cambiato le carte in tavola, e ora la drammatica necessità della morte e risurrezione di Cristo non ci dice più nulla. Non c'entra con la mia vita, con il mio lavoro, con il mio fidanzamento. Forse a parole sì, ma nella vita quotidiana e reale no. Andiamo allora alla nostra vita di sempre, identica a quella di Matteo, perché è quella la scuola dove Gesù ha piantato la Croce, la cattedra dalla quale ci insegna la misericordia. Si è infatti avvicinato al tavolo dove Matteo si faceva ogni giorno più impuro e lontano da Dio; laddove stava distruggendo la liturgia di santità alla quale era chiamato, facendo della sua vita un culto offerto al demonio. A quel tavolo strozzava la vita ai poveri, agli orfani, alle vedove, ai suoi fratelli, al suo stesso sangue tradito. E Gesù è venuto a cercarlo proprio lì, in quel lazzaretto fetido dove Matteo si era abituato a vivere come un appestato odiato e tenuto a distanza da tutti. Tutti meno Gesù, il Medico che aveva saputo cogliere in lui il malato bisognoso delle sue cure. Per questo Gesù si era seduto alla sua tavola, ne aveva condiviso la solitudine, il disprezzo, la morte; aveva fatto ciò che secondo la Legge era proibito per salvare chi stava vivendo una vita fuorilegge, schiava del proibito. E lì, lo ha fissato con tenerezza e compassione, e lo ha amato. Giunto accanto a lui lo ha accolto nella misericordia. Ditemi, trovate nel brano di oggi sulla bocca di Gesù parole tipo "devi", "sforzati", "comportati così e così"? No vero? Solo un semplicissimo "seguimi" rivolto a chi, in Israele, ne era più indegno. Lui, che non era un fariseo, un dottore della legge, ma neanche un semplice popolano; lui, il più reietto, detestabile, un ladro e traditore. "Seguimi", ti ho guardato e ho visto me in te, e ho scelto te, così come sei; non ti preoccupare, non guardare te stesso, non restare con quel dito chiedendoti "ma proprio io??"; si proprio tu, perché ti ho amato e scelto da sempre; non importa quello che hai fatto, ora cambia tutto, ora, nel mio amore. Segui me e la tua vita sarà qualcosa che neanche hai immaginato. Seguimi e sarai felice. Perché in quel "seguimi" c'era Dio, il suo potere infinito che si manifesta nella misericordia. In quel "seguimi" c'era l'amore infinito dello Sposo che scopre le sue carte per far capitolare l'amata perché lasci la casa di suo padre e lo segua in una vita nuova. Quel "seguimi" polverizzava il valore e l'importanza che per Matteo aveva avuto la sua vita sino ad allora, il denaro e il potere. Quel "seguimi" sbriciolava i suoi peccati in un perdono che, rivelando l'infinita bellezza, bontà e grandezza di Dio, ne svelava l'inconsistenza e il nulla verso cui stavano spingendo Matteo. 


Per questo in Gesù e nelle sue parole non vi è traccia di moralismo: è la misericordia che estirpa dal cuore il veleno del peccato per fare posto al soffio dello Spirito Santo, della vita divina. E' l'amore che ridicolizza il peccato! L'amore che ama chi, nel mondo, non è degno neanche di uno sguardo. Matteo aveva compreso che per ottenerlo non sarebbe stato sufficiente dare tutti i beni della terra; anzi, come recita il Cantici dei Cantici, pensare di dare in cambio qualcosa, sarebbe addirittura disprezzarlo. Perché quell'amore è celeste, una fiamma del Signore; non può che essere gratuito, perché nessuno sforzo sarebbe adeguato per ottenerlo, come se un impiegato statale si illudesse di comprare una reggia con i soldi della liquidazione. O hai un re tra i tuoi parenti che te la lascia in eredità, oppure scordatela. Ecco, Gesù è passato da Matteo perché doveva consegnargli l'eredità che gli spettava. Ma ne era indegno, per questo l'unico degno si è lasciato uccidere dalla sua indegnità per potergliela lasciare in eredità. Questo cortocircuito ha letteralmente scaricato nel cuore di Matteo la sovrabbondanza della Grazia di una vita nuova che ha preso il posto dell'abbondanza di peccato che avvelenava la sua vecchia vita. Una Grazia incontenibile, che diventa immediatamente segno e testimonianza di speranza. Gesù si era seduto alla tavola di Matteo, ora Matteo accompagna i suoi amici, i peccatori come lui, a sedersi alla mensa di Gesù. Matteo rinato ha immediatamente e naturalmente moltiplicato la sua esperienza, ne ha fatto cibo per i suoi amici, peccatori come Lui. La sua chiamata si è trasformata immediatamente in cento, mille chiamate. La Grazia sperimentata è diventata Grazia per molti altri. L'esperienza del perdono ha coinvolto il Signore in un'opera ancor più grande. Matteo, il peccatore, è divenuto così la porta ad un fiume di Grazie. Matteo fonte di misericordia, amato da Gesù ne diviene l'amico, il fratello e lo conduce sui passi della sua vita, della sua storia, a diffondere la stessa misericordia da lui sperimentata. Così, attraverso l'amore di Cristo sceso ad abbracciarlo nei suoi peccati, Matteo che non aveva forza per fare alcun sacrificio - che tra l'altro gli erano proibiti per Legge - ha imparato cosa significhi la misericordia. Malato ha incontrato il Medico che lo ha curato, punto. A noi forse costa un po' più di tempo e fatica, perché, come quei farisei, dobbiamo svegliarci e scendere dal mondo dei sogni. Ma Dio è fedele e lo sta facendo anche oggi: "Seguimi", ti ho guardato e ho visto me me in te, e ho scelto te, così come sei; non ti preoccupare, non guardare te stesso, non restare con quel dito chiedendoti "ma proprio io??"; si proprio tu, perché ti ho amato e scelto da sempre, non importa quello che hai fatto, ora cambia tutto, ora, nel mio amore... Segui me e la tua vita sarà qualcosa che neanche hai immaginato. Seguimi e sarai felice. Fratelli, In Matteo appare la nostra stessa chiamata. Perdonati per accompagnare Cristo sulle strade dei nostri giorni. Spendere la vita donata e riscattata alla mensa dei peccatori, lasciando che scenda, con Cristo, nelle macchie della storia, le grandi e le piccole, purificate dalle nostre anime amate infinitamente dal Signore. Seduti, sino all’ultimo giorno, accanto a chi non Lo conosce o lo sta rifiutando. Forse alla tavola dove ceniamo ogni sera con la nostra famiglia, accanto a nostro figlio; o forse alla mensa aziendale, o a quella scolastica, o al bar... E lì, donare, con gioia, la misericordia che salva, come ripete incessantemente Papa Francesco: "La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: "Gesù Cristo ti ha salvato!". E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia". Ma ministri della Chiesa sono anche i genitori, i fratelli, lo siamo tutti per chi si è perduto. Con tutti e per tutti sporcarsi, guardarli con gli occhi di Cristo, amarli nel suo amore, e sedersi con loro, alla loro tavola, giorno dopo giorno. L'amore a dieci metri di distanza non è amore, perché non potrà mai essere fecondo. Due sposi non generano figli con un semplice sguardo.... Così anche noi siamo chiamati a spogliarci, innanzitutto degli schemi, e poi delle certezze acquisite che, quasi sempre, non sono le verità immutabili del Vangelo, ma la loro caricatura da noi disegnata per difenderci e non correre il rischio di perdere la vita per amare davvero. Foglie che non sono verdi in estate... Essere cioè disposti ad accendere il fuoco dell'amore e sguainare la spada del Vangelo e rivedere tutto dieci volte al giorno, e sbriciolarsi per amore di una sola persona; per donarci a lei davvero, facendoci tutto a tutti, carne della carne di chi ci è accanto, anche se all'opposto della nostra vita e dei nostri valori; che il Signore ci conceda di non cedere all'ottusità, ma, con Cristo, di aprirci in uno sguardo capace di abbracciare l'infinito, il passato, il presente e il futuro in un solo abisso di misericordia che tutto trascende e purifica. 

mercoledì 20 settembre 2017

FIGLI DELLA MISERICORDIA PER RENDERE GIUSTIZIA ALLA SAPIENZA CROCIFISSA CON CUI DIO AMA OGNI UOMO

"Santa Trinità" dell’inizio del IX secolo nella chiesa di Urschalling, vicino a Prien, in Bavaria
Come ci è venuto a cercare il Signore? Come ha vinto la nostra durezza e la nostra superficialità? Con amore infinito e pazienza smisurata. E' entrato nella nostra vita, si è sporcato, è venuto con noi, anche laddove abbiamo deciso di peccare. Non ci ha lasciati soli mentre ci dimenticavamo di Lui. Si è fatto peccato! Ah, ma questo è scandaloso! Sì, lo è, perché scandaloso è stato il nostro cuore, scandalosi i nostri peccati. Scandaloso l'esito della nostra vita lontana da Lui. Per questo, pur di strapparci al demonio, Gesù non ha avuto remore nel farsi giudicare come un "mangione e un beone" o come un "indemoniato". Si è fatto l'ultimo, obbediente alla volontà del Padre che lo spingeva nei bassifondi della storia, fin giù negli inferi. Lo ha fatto per noi, per te e per me, bambini capricciosi. Sesso, oggetti, vacanze, denaro, potere e prestigio, successo e visibilità, ecco i prodotti acquistati nelle nostre "piazze". E in mezzo al commercio che non ci ha mai arricchiti è giunta la sua Parola: quella seria e dura della verità che illumina i peccati, come "un lamento" nel quale avremmo potuto deporre le nostre lacrime. E quella dolce e compassionevole della misericordia, come di "un flauto" sulle cui note avremmo potuto danzare di gioia e gratitudine. Giovanni e Gesù: la Legge che rischiara e svela la realtà riportandola alla luce da sotto la crosta d'ipocrisia con cui l'abbiamo occultata, mettendo in ordine ciò che abbiamo messo in disordine. E la compassione che tocca l'impuro, che si fa samaritano pur di farsi prossimo di ogni eretico; che entra nelle case grondanti giudizi, perversioni, falsità, e si siede accanto ai peccatori che hanno infranto la Legge, per scriverla nei loro cuori risanati. Ma, come questa generazione - moralista e lassista allo stesso tempo, capace di dare cittadinanza ad ogni desiderio ma di chiudere la bocca a chi non la pensa allo stesso suo modo - anche noi non abbiamo accolto né l'una né l'altra, schiavi del nostro orgoglio capriccioso. E allora ecco la Croce, la "giustizia" che, sola, può salvare chi ha rifiutato ogni altra salvezza. E' la Sapienza che spazza via ogni tentativo della carne di saziare e dare ragioni che non può dare, perché giustifica chi non sarebbe giustificabile in alcun modo. Ecco oggi Cristo crocifisso, la Sapienza della Croce che rivela l'amore di Dio, la sua infinita pazienza e lo zelo pieno di compassione con il quale cerca ogni uomo. Il suo amore non resta invischiato negli schemi. Pur di salvare una persona si fa musica da ballare o lamento da piangere. Dio è così! Dio entra nelle discoteche pur di salvare un ragazzo che, ballando si sballa e butta la sua vita. Dio non lo ferma niente e nessuno! Perché Dio è lo Spirito Santo, il dolce soffio che penetra attraverso le fessure più sottili che l'uomo non riesce e vedere, ci ha raggiunti nelle piazze consegnandoci il perdono e la rigenerazione. Non a caso lo Spirito Santo è stato raffigurato dalla Tradizione come una colomba, mentre in ebraico il termine "ruah" è femminile; quasi una figura femminile, dunque, materna. Sì, la Sapienza è una madre che rigenera e dà alla luce i suoi figli che ne testimonieranno la "giustizia". Ecco il culmine inaspettato della "creatività coraggiosa" di Dio, quella alla quale Papa Francesco chiama la Chiesa perché non si fermi dinanzi alle difficoltà, ed esca senza paura nelle "piazze" dove si raduna una generazione bambina, che ha bisogno di essere raggiunta laddove si trova, impigliata nei capricci. Come è accaduto e accade a noi, cercati mille volte sino a che non abbiamo capitolato dinanzi alla Croce dove Gesù stendeva le sue braccia per accoglierci così come eravamo e, nella Chiesa, farci "figli" della Sapienza capaci di renderle testimonianza. 


Oggi, ogni giorno, non possiamo perdere neanche un'occasione. Il mondo capriccioso ci attende, entriamoci e sporchiamoci, senza temere che lo Spirito Santo ci avvinca e ci conduca nella sua "creatività". Sorgeranno allora parole nuove, gesti nuovi e unici per tutte le uniche e irripetibili persone e situazioni che incontreremo: i piccoli, i poveri, i divorziati e i loro figli, le mamme che hanno abortito, i giovani che convivono, quelli che sporcano la vita con droghe e sesso, tutti quelli che sono imprigionati nella rete del mondo e dei suoi messaggi virtuali; tutti ci attendono proprio nelle "piazze" dove si sono "seduti" lasciandosi vivere per morire. Ci aspettano per ascoltare la musica dello Spirito, le note dell'amore che si fa "danza" o "lamento", di certo melodia crocifissa. Forse oggi con nostro figlio dovremo digiunare per annunciargli che non di solo pane vive l'uomo ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio; per questo dovremo proibire ciò che sazia la carne, senza paura di "cantare un lamento" per l'uomo vecchio che muore senza l'ossigeno delle concupiscenze. O forse dovremo, al contrario, sederci a mensa con nostra figlia, laddove ella sta gettando alle ortiche la propria vita; "mangiare e bere" il veleno che lei ingerisce ogni giorno per deporvi l'antidoto della tenerezza e della compassione che nulla giudica e niente esige; senza il timore di "suonare il flauto" della misericordia gioiosa perché possa "ballare" con noi la danza del banchetto autentico che sazia spirito e anima. Anche oggi ci attendono "bambini" ostinati che non accoglieranno né Giovanni né Gesù. Ma proprio per questo oggi saremo lì, di fronte a loro, come Gesù fu accanto a Giuda, ultima speranza, anche dopo il tradimento. Quando il mondo rifiuta l'annuncio serio e misericordioso del Vangelo resta solo la testimonianza-martirio dei "figli della Sapienza", lo scoglio della Croce sul quale il male si infrange. Forse non vedremo con gli occhi della carne nessun cambiamento, nessuna conversione; forse moriremo e lasceremo la persona cara schiava della droga o sull'orlo del divorzio. Ma noi saremo là, di fronte a loro come una pattumiera a raccoglierne angosce e dolore, peccati e veleni, perché incrollabile è la certezza della fedeltà di Dio che, pur di salvare a ogni costo qualcuno, continua ad offrire suo Figlio nei "figli della Sapienza". Quando tutto fallisce significa che è giunto il momento della "creatività" che neanche il demonio poteva immaginare: la Croce sulla quale distendere le braccia e amare, caricandosi dei peccati dell'altro come un agnello muto di fronte ai suoi tosatori. Gesù è morto solo come un fallito, ma la sua Croce ha reso giustizia alla Sapienza: con essa stava salvando ogni uomo. Per questo il Signore ci chiama alla libertà che non spera nulla per sé, neanche di vedere la conversione. La Sapienza celeste attraversa la carne e il tempo e sa sperare oltre ogni apparenza: quando ci lasceremo crocifiggere, i nostri occhi di fede giungeranno a vedere, nel segreto della loro anima, l'incontro della misericordia di Dio con chi ci sta togliendo la vita, che forse accadrà ben più in là del presente

martedì 19 settembre 2017









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San Gennaro, martire

“San Genna’, jesce e facci grazia!”. Di san Gennaro (ca 272-305) - patrono di Napoli, dove furono traslate le spoglie - è noto il fenomeno della liquefazione del sangue contenuto in due antichissime ampolle, nelle quali sarebbe stato raccolto da una donna di nome Eusebia. La Chiesa ha fin qui evitato prudentemente di dichiarare miracoloso l’evento, ma analisi spettroscopiche sulle ampolle hanno rilevato la presenza di emoglobina, senza contare che per le conoscenze attuali il fenomeno della liquefazione con il successivo ritorno allo stato solido rimane inspiegato.
Gennaro fu vescovo di Benevento e della sua venerazione c’è traccia in diverse fonti antiche, in primis il Martirologio Geronimiano del V secolo. Il suo martirio avvenne all’inizio del IV secolo, durante le persecuzioni di Diocleziano. All’epoca il diacono Sossio, amico di Gennaro, era stato arrestato perché cristiano. Il santo, accompagnato da Festo e Desiderio, andò a fargli visita in carcere, chiedendone la liberazione e professando la sua fede. Ma il giudice fece arrestare anche loro, condannandoli a essere sbranati dalle bestie nell’anfiteatro di Pozzuoli. Condanna che fu poi mutata (la tradizione narra che le fiere si ammansirono dopo la benedizione fatta da Gennaro) nella decapitazione, avvenuta il 19 settembre.

RISUSCITATI DALLA COMPASSIONE DEL FIGLIO PER INTERCESSIONE DELLA MADRE CHIESA
Nell'episodio si percepisce un'assenza decisiva. Manca il "padre". Se la "madre" è "vedova" significa che il figlio è orfano di padre. Ed è proprio questa la malattia che lo aveva ucciso! Egli è immagine di Adamo, scacciato nella “morte” - che è il salario del peccato - per aver accettato l'inganno con cui il demonio lo ha indotto a ribellarsi del Padre. Come il figlio prodigo, è "morto" per aver scelto l’autonomia tagliando con il “padre”. Sarebbe "tornato in vita" solo tornando a casa. Sì, chi non ha Padre è morto. In questo ragazzo possiamo specchiarci tutti, inguaribilmente schiavi di un narcisismo che cerca l'identità lontano da Dio. Perduto il Padre, siamo diventati orfani che generano orfani, morti che generano morti, riducendo la vita a un tragico ossimoro. Dalla bara dove l'abbiamo deposta, pur sposandoci, pur essendo preti o catechisti, dirigenti o professori, siamo incapaci d’essere padri, di dare cioè una testimonianza credibile da seminare nel cuore per generarvi il desiderio di viverla. Poi i figli e le persone che ci sono accanto, vorranno avere la loro esperienza e la loro fede, è normale, tentando di adeguare alla propria personalità quanto gli abbiamo testimoniato e annunciato. E questo si chiama crescita, maturazione; così si diventa adulti. Ma se abbiamo tagliato con il Padre del Cielo e i padri della terra, in noi questa crescita umana e cristiana è stata abortita; e se non abbiamo avuto una seria iniziazione cristiana non siamo diventati adulti nella fede. Per questo non abbiamo nulla di autentico e decisivo da trasmettere, la fede; stiamo fallendo la nostra vita, accompagnando le persone al sepolcro, a quello che anche noi stiamo vivendo: mondo, carne e inganni del demonio. Mentre siamo nati e chiamati alla Chiesa per innescare in tutti il desiderio di essere e vivere come noi; che non significa imitazione, ma ispirazione a camminare seguendo le stesse orme, e apertura a Cristo perché operi in ciascuno come in noi. Era ciò che accadeva alla Chiesa primitiva, che compiva così la sua missione: "Vogliamo vivere come voi" dicevano i pagani ai cristiani. Per questo, la “madre vedova” è immagine delle comunità nelle quali, per i peccati e l’indurimento dei fratelli o la negligenza dei pastori, si era spento lo zelo per il Vangelo, raffreddato l’amore tra i fratelli, indebolita la capacità di restare crocifisse sul candelabro della storia. Avevano perduto lo Sposo e i loro “figli” stavano morendo. Accadeva allora, accade oggi… Comunità che non hanno nulla da annunciare, autoreferenziali come ripete Papa Francesco, dove non si danno i segni della fede che ha vinto la morte; mondanizzate, possono solo accompagnare il mondo alla sua tomba. Ma proprio quando tutto sembra perduto, giunge Gesù. Lo ha promesso e lo mantiene: Ecco, Io sarò con voi tutti i giorni. Con te, con me, con la Chiesa. Anche il giorno, questo, del nostro funerale conseguenza della superbia che ci ha separato dal Padre della Vita; anche oggi che il sale della comunità ha perduto il sapore e sta per essere gettato via e calpestato. Lui è il Figlio prediletto e scelto perché, con la sua morte e resurrezione, riconducesse ogni figlio al Padre perduto. Non per caso si trovava lì, in quel momento preciso: era profezia del suo cammino verso la Croce e la tomba, fuori dalle “porte” di Gerusalemme. Avvocato di ogni uomo, doveva incontrare quell'orfano ormai morto proprio “alla porta della città”, dove a quel tempo si svolgevano i processi. Doveva farlo assolvere annunciando che avrebbe preso su di sé la sua condanna, andando Lui, innocente, nella tomba preparata per ogni peccatore.

Esattamente come si trova ora alle “porte” della nostra vita, al limite estremo che ci separa dalla polvere impura di solitudine e silenzio dei terreni fuori città, dove sorgevano i cimiteri. Ma, per ridonarci il Padre, Gesù ha bisogno di guardare e avere compassione di nostra Madre. E chi è nostra Madre? Non solo colei che ci ha generato nella carne. E' Maria, la Madre che ha dato alla luce il Figlio del Padre di ogni uomo. Anche di Lei è immagine la vedova del Vangelo. Oggi di nuovo Maria piange per noi perché ci ama; per salvarci, deve essere lì, accanto ai peccatori, dove incontrare la “compassione” di Gesù e ascoltare l’annuncio capace di consolare e schiudere la tomba: "Non piangere!". Noi siamo morti, e, schiacciati dall’orgoglio, da soli non avremmo la forza di ascoltare. Solo abbandonati alle lacrime di compassione della Chiesa, appoggiati alla sua fede e insieme alla comunità, potremo dischiudere il cuore per accogliere le parole di Gesù. "Non piangere!", le stesse parole che hanno fatto fremere il cuore di Maria Maddalena piangente aprendolo alla sua vittoria, sino a conoscere, in Lui, il Padre suo e Padre nostro; come oggi risvegliano in noi la Verità che la Chiesa ci ha annunciato mille volte: non piangere, la morte è vinta, ogni peccato è perdonato, Cristo è risorto dal sepolcroLa "compassione" di Gesù è quella di suo Padre che lo ha “toccato” con il suo Spirito quando giaceva esanime nella tomba, riscattandolo dalla morte. E' la stessa con cui Gesù “tocca” oggi la nostra bara, contaminandosi con la nostra morte per purificarci e “rialzarci” a una nuova vita. "Dico a te!": a me, a te, proprio a noi, e non sono parole dette così, alla massa. Sono una chiamata personale ad alzarci dalla tomba, forse a confessare quel peccato che abbiamo sempre occultato o minimizzato, perché Gesù vuole “riconsegnarci a nostra Madre”. È il potere della sua Parola che ci libera dal peccato e ci fa tornare vivi a casa, nella comunità cristiana, dove ascoltare la Parola di Dio e accostarci al banchetto che il Padre ha preparato per donarci il suo Figlio. Solo così potremo “sederci ricominciare a parlare", come facevano i rabbini, cioè come qualcuno che ha qualcosa di autentico da trasmettere. Il Signore ha il potere di fare di noi, anche se “giovinetti”, ancora deboli, fragili e inesperti, dei padri e maestri per questa generazione. Liberi dal narcisismo perché figli di Dio, potremo amare e perdere la vita perché tutti ascoltino l’annuncio che ha salvato noi.



lunedì 18 settembre 2017

Ladispoli, la famiglia Loconsole racconta il suo viaggio di fede in Sud Africa


18/09/2017
 
Siamo la famiglia Loconsole , per circa 16 anni abbiamo vissuto a Ladispoli e frequentato il cammino neocatecumenale nella chiesa di " Santa Croce Madonna di Loreto" a Furbara già cominciato in Puglia circa 30 anni fa'. Da circa due anni siamo partiti per il Sudafrica come famiglia in missione. Lo scorso agosto abbiamo partecipato ad un evento unico al mondo....la missione " due a due". Inviati dal Arcivescovo Brislin di Cape town siamo partiti a coppie, due uomini o due donne, sorteggiati a caso, come sorteggiato a caso era il posto in cui saremo andati. Siamo partiti per tutto il Sudafrica come gli antichi apostoli in due senza telefono , soldi, vestiti di ricambio...solo Rosario, Bibbia , Breviario e un biglietto di andata e ritorno, per annunciare il Vangelo e portare a chiunque incontravamo la " Buona notizia di Cristo Risorto " e che ci ama così come siamo, con le nostre imperfezioni, i nostri peccati, il nostro carattere....lui ci ama come nemmeno noi siamo capaci di amare noi stessi. È stata un esperienza spettacolare, sperimentare la provvidenza e l amore di Dio. L ' annuncio che portavamo era in primo luogo per noi... perché noi per primi avevamo bisogno di sperimentare questo amore. A volte siamo stati accolti e ristorati e a volte rifiutati, ma il Signore non ci ha mai fatto mancare nulla ha provveduto a tutto lui. Abbiamo incontrato tante persone che vivono in una profonda solitudine e hanno bisogno di sentirsi dire che " DIO TI AMA COSI' COME SEI SENZA GIUDICARTI" e come dicevo SAN GIOVANNI PAOLO II di "AVERE IL CORAGGIO DI APRIRE, ANZI DI SPALANCARE LE PORTE DEL NOSTRO CUORE A CRISTO". Importantissimo in questa missione è stato il supporto di tutti i fratelli di comunità , in particolare quelli delle comunità neocatecumenali della parrocchia di Furbara e quelli della parrocchia di Palo Laziale, che come in questi ultimi due anni, ci hanno sempre sostenuto con la preghiera e nelle nostre necessità. La forza di poter partecipare a questa missione e di continuare a vivere qui ci viene proprio dalla comunione e dalla preghiera incessante di questi fratelli che, anche se dall' altra parte del mondo, sono parte fondamentale della missione, loro sono il motore ,noi chi guida l ' auto.
Con Voi sempre in Cristo
Rino Caterina Giorgia Giovanni e Giacomo


L'ASCOLTO DELLA PREDICAZIONE DONA LA FEDE CHE CRESCE IN UN CAMMINO DOVE SPERIMENTARE IL SUO COMPIMENTO


In una disputa con i Giudei Gesù ebbe ad affermare che "Dio è capace di far sorgere figli di Abramo anche dalle pietre". Nel Vangelo di oggi questo si fa evidente. Ed è una parola importante per la Chiesa, per ripensare la sua missione "Ad Gentes". Appare infatti la fede in un centurione romano, un gentile, un pagano. Non fa parte del Popolo di Israele, non è entrato nella comunità. Ma "ama questo popolo", e ha mostrato questo amore con un fatto concreto: "ha costruito la loro sinagoga", la loro casa di riunione. Ha messo il suo denaro a disposizione della loro assemblea, rendendo così possibile l'ascolto della Parola. In un certo senso si potrebbe dire che ha donato qualcosa di se stesso alla Parola, ha intrecciato la sua vita con la vita della comunità accanto alla quale viveva, e, così facendo, si è fatto, in qualche modo, servo della Parola. L'amore di questo centurione ha legato la sua esistenza a quella Parola che aveva costituito, formato, salvato e vivificato il Popolo d'Israele. L'amore era così divenuto, misteriosamente, amore alla promessa racchiusa nella Parola divina per testimoniare la quale quel Popolo era stato eletto. E l'amore aveva condotto il centurione sulle soglie dello stesso compimento atteso dal Popolo oggetto della sua carità. In lui si riassumono le parole dei Profeti, ed ora era, come l'umanità d'ogni generazione, come ogni uomo d'ogni latitudine, in attesa dell'Atteso delle Genti. Ma non lo aveva condotto da Gesù una ricerca esibita o resa esplicita attraverso preghiere o altro. Forse sino a quel momento, il centurione non aveva neanche pensato di avvicinarsi al Profeta di Nazaret. Ma un evento di morte aveva sconvolto la sua vita: "un servo a lui caro giaceva moribondo"; l'angoscia stringeva il suo cuore, come il cuore di ciascun uomo, come il nostro cuore dinanzi ad un dolore per qualcosa o qualcuno a cui teniamo tantissimo. E' questa la soglia ultima dell'attesa, lo sconvolgimento doloroso che afferra quanto ci è più caro, un figlio, il matrimonio, il lavoro, un amico, la nostra stessa anima. Questa fitta nel petto, questo dolore di stomaco che abbiamo oggi, per qualcosa di ineluttabile che ci sta portando via ciò che amiamo. Un servo, uno schiavo è colui che serve la nostra vita, che conosce le nostre abitudini, che lava i nostri piedi, che ci prepara da mangiare, che attende ai nostri desideri. Colui del quale non possiamo fare a meno. E ancor di più, nel caso del centurione, si trattava di uno schiavo amato, uno schiavo-amico, probabilmente confidente e custode dei segreti più intimi. E stava male da morirci quello schiavo. Come sta male la nostra anima, in bilico tra la vita e la morte, in una tentazione o forse in un peccato, o in un dolore lancinante che fa tremare le radici della fede, o nella notte oscura che spegne speranza e gioia. Era questa la soglia donde il centurione era giunto, la pienezza dei tempi, il momento favorevole per l'incontro decisivo. Come lo sono per noi i momenti duri e angosciosi, quelli dove la morte nelle sue diverse coniugazioni si fa presente e non possiamo far nulla. Come la pozza di letame nella quale era precipitata la vita del figlio prodigo, dove nessuno poteva dargli nulla. L'esito fallimentare ma autentico dei tentativi di risolvere i problemi o di innalzarci per cercare di realizzare la vita. Ma il centurione aveva percorso un cammino d'amore, aveva legato la sua vita a quella promessa e a quella Parola di vita. Come ciascuno di noi ha ascoltato la stessa Parola, ha creduto alla stessa promessa e si è messo in cammino. E ora era giunto al crocevia più importante del suo cammino, alla soglia del compimento della Promessa racchiusa nella Parola. Il Compimento era proprio lì, era appena entrato nella sua città, si era fatto carne per lui: la Parola che aveva servito si era avvicinata a lui, si era incarnata in quell'Uomo, Gesù di Nazaret. Qualcosa aveva intuito, risuonava misteriosamente in lui la Parola e aderiva al suo cuore la promessa a cui aveva legato la propria vita. L'amore, infatti, spinge sempre a superare ragioni e logiche umane: lo stesso amore nutrito per Israele che lo aveva condotto a superare le regole di un ufficiale di un esercito occupante, era quello per il suo servo, e lo spingeva a cercare la sua guarigione e salvezza in quella Parola e nel suo compimento che s'erano fatti così prossimi. Un'intuizione, un moto dell'anima, l'eco inconfondibile d'un amore che ora fruttificava in fede e speranza, qualcosa di tutto ciò a cui possiamo dare il nome di Grazia, muoveva ora il centurione.




Ed erano passi umili, fondati su di un'esperienza quotidiana, l'obbedienza che gli era dovuta in quanto capo e che doveva in quanto subalterno. Conosceva il suo posto, non era preda d'un sogno o di un'alienazione; e conosceva sé stesso, viveva nella verità, che è la traduzione dell'umiltà, e la verità era che, pur amando il Popolo a suon di denari donati, pur amando il suo servo, non poteva esigere nulla, non era degno. Ma proprio dalla consapevolezza della propria indegnità scaturisce la fede. L'umiltà è il seno fecondo della fede. Il centurione aveva percorso un lungo cammino, l'amore s'era intrecciato all'esperienza della propria realtà, l'umiltà stava ora sbocciando in una fede di cui il Signore si stupisce, ne resta ammirato e prenderà a modello di fede adulta per scuotere un Popolo rassegnato ad una fede bambina. E accade che l'amore, la fede e la speranza trovino compimento. La Parola a cui, con amore, aveva dato una casa era vicina a lui e al suo servo per fare di loro la sua stessa casa. Come aveva predetto Natan a Davide: "Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti?... una casa farà a te il Signore" (2 Sam. 7, 5.10). La Parola, il Logos amato e invocato nel momento cruciale dell'angoscia si fa carne, e salvezza e casa: "Dì soltanto una parola e il mio servo sarà salvato". L'indegnità accettata si fa dignità perché l'Agnello sgozzato, l'unico degno di prendere il Libro e di aprirne i sigilli, rende degno con il suo sangue chiunque ne invochi il Nome. Il centurione non si riteneva degno che Gesù entrasse nella sua casa, pur avendone costruito una proprio per Lui. Esattamente come Davide all'udire la profezia di Natan: "«Chi sono io, Signore Dio, e che cos'è mai la mia casa, perché tu mi abbia fatto arrivare fino a questo punto?... Che potrebbe dirti di più Davide? Tu conosci il tuo servo, Signore Dio!... Ora, Signore, la parola che hai pronunciata riguardo al tuo servo e alla sua casa, confermala per sempre e fa come hai detto" (2 Sam. 18.20.25). Come Davide, la fede aveva illuminato il centurione al punto di fargli vedere in una sola Parola del Profeta di Nazaret il suo stesso potere, quello di dare vita laddove regna la morte. La fede gli aveva aperto gli occhi della mente e del cuore sino ad identificare, in una sola preghiera, La Parola con la Persona, la Parola con Colui che ha il potere di vincere il peccato e la morte. L'umiltà e la fede gli avevano dato l'ardire di credere possibile l'impossibile. E l'impossibile è avvenuto, la Parola di salvezza era entrata nella sua casa e vi aveva preso dimora guarendo il servo. La promessa s'era compiuta e la Parola incarnata. L'amore fatto dono aveva incontrato l'Amore totale, il dono più grande, la Vita nella morte. E quell'Amore atteso e sperato era ormai la casa eterna del centurione, la sua dimora. E oggi, ascoltando anche noi questa stessa Parola, lasciamo aperto il cuore al suo compimento, o chiudiamo invece, orgogliosi, le porte di casa? Ci abbandoniamo all'unico in grado di guarire nostro figlio, il rapporto logorato con moglie o genero, oppure ci rintaniamo ottusamente nella superbia di chi crede ancora di farcela da solo? Ma oggi il Signore ci rammenta e annuncia ancora che la fede del centurione, è quella che ci è stata promessa: radicata nell'umiltà, che si fa certezza ogni giorno più forte, attraverso la conoscenza di noi stessi, sino a scoprire e ad accettare la nostra totale indegnità. La Chiesa ci sta conducendo a questa soglia, laddove le acque vivificanti del battesimo ci attendono per immergerci nella morte e risurrezione stessa di Cristo, da dove sorgere ad una vita nuova e piena, colma dell'Amore infinito di Dio.

sabato 16 settembre 2017



"In quel tempo", oggi, Gesù parla alla comunità dei "suoi discepoli"; non si rivolge al mondo, ma a noi, vescovi, preti, catechisti, padri, madri, insegnanti, a tutti coloro che sono stati piantati nel suo campo per dare "frutti buoni e belli". Quando nel Vangelo appare l'immagine dell'albero occorre pensare innanzitutto al seme da cui si è sviluppato. Alla predicazione che ha seminato nel "cuore" l'annuncio del kerygma, dando inizio a un percorso di crescita nella fede. 

Per questo Gesù dice anche che bisogna "scavare molto profondo", "porre le fondamenta sulla roccia", e così "costruire bene". Sta parlando del battesimo, del cammino con cui ci preparava a riceverlo e della vita nuova dei cristiani con cui la Chiesa avrebbe annunciato al mondo la salvezza . 

Di fronte ai "fiumi" in "piena" che, gonfi di male, "investono" il mondo facendo andare in "rovina" la vita di tanti, i cristiani sono chiamati a mostrare la Chiesa come una "casa" che il demonio non "riesce a smuovere". Ovunque intorno a noi il nome di Dio è maledetto: famiglie distrutte, aborti, abomini di ogni tipo, guerre, sfruttamenti delle persone. 

Non solo, anche le malattie e le morti premature, i disastri ambientali, i rovesci economici inducono a bestemmiare Dio. In mezzo a tutto questo i cristiani sono chiamati a "santificare il Nome di Dio" nella loro vita; perché gli uomini possano passare dalla bestemmia alla benedizione devono poter vedere in loro i "frutti buoni" che nascono dall'"albero buono" della Croce. Devono poter ascoltare dalle loro "bocche" l'annuncio di salvezza che "parla dalla pienezza" d'amore di un "cuore" rigenerato.

Chi ci è accanto ha diritto alla salvezza, quindi ha diritto di incontrare un popolo che dà gloria a Dio nelle stesse situazioni difficili e di sofferenza che vivono tutti; una comunità che annuncia e testimonia la verità, che cioè Dio è un Padre buono, che ama ogni uomo, che ha mandato suo Figlio a vincere il peccato e la morte, per dare a tutti la possibilità di camminare in una vita diversa, piena, felice, anche tra le sofferenze. 

Per questo, con le sue parole il Signore viene oggi a "vendemmiare" nella sua vigna, cercandovi l"'uva", ovvero il vino nuovo della vita cristiana da offrire al mondo. Così faceva la Chiesa primitiva: "Quanti sono stati scelti e messi da parte per ricevere il battesimo saranno esaminati riguardo alla loro vita: se sono vissuti piamente mentre erano catecumeni, se hanno onorato le vedove, visitato i malati e praticato tutte le buone opere. Se coloro che si presentano rendono testimonianza della loro condotta, allora ascoltino il Vangelo... Se si trova uno che non è puro, verrà scartato, perché non ha ascoltato le parole dell'istruzione con fede. Uno spirito estraneo e cattivo dimora in lui" (Ippolito, Tradizione Apostolica).

Il Signore scruta i nostri "cuori" per vedere che tipo di "pienezza" stanno producendo, se i frutti sono dati dallo Spirito Santo o da uno spirito estraneo al Vangelo e "cattivo". Guarda alla nostra "bocca" come a un "albero", e ascolta le "parole" che vi escono come fossero i suoi "frutti". Sono "buoni" come i "fichi" o pieni di "spine"? Sono i "frutti" della Croce gloriosa di cristo, o sono avvelenati come quello che il demonio ha spinto Eva a mangiare?

Non possiamo illudere nessuno, come "un albero buono non può dare frutti cattivi", così anche le "parole rivelano il cuore"; anche se con esse chiamiamo Gesù "Signore, Signore", potremmo celare lo stesso cuore di Giuda che si era avvicinato a Lui per baciarlo. Quello che conta sono i fatti, le opere, "i frutti", non le "parole". 

Non importa se sono impreziosite da citazioni bibliche, piene di forza profetica, unite come una collana di perle a formare una catechesi stupenda. Scriveva San Francesco Saverio: "nell'inferno vi sono molti i quali, quando stavano nella vita presente, furono la causa e lo strumento affinché gli altri si salvassero per mezzo delle loro parole e se ne andassero alla gloria del paradiso, mentre loro, mancando di umiltà interiore, andarono all'inferno essendosi fondati su una ingannevole e falsa opinione di loro stessi"

Forse oggi il Signore trova la nostra vita come "una casa" appena appoggiata sulla "terra", senza altro "fondamento" che il nostro orgoglio presuntuoso. Per questo, di fronte ai "fiumi" che ci "investono" ogni giorno, non possiamo far altro che difenderci ed erigere argini sempre più precari, e darci sotto più forte, rispondendo al male con il male, colpo su colpo. 

Quante volte a messa hai ripetuto "Signore, Signore"? Moltissime, ma poi quando torni a casa, e tua moglie, che ti conosce e non ha voglia di passare la settimana discutendo, ti chiede all'ultimo momento di andare a pranzo dai suoi? Basta un secondo, e l'eco di quel "Signore, Signore" è già spenta, sostituita immediatamente da un irato "io, io"... Io non ce la faccio, mi brontolano sempre, mia suocera poi non la sopporto; guarda, ho mille cose da fare, non posso perdere tempo con quei babbioni. Ecco la "spina" con cui ferisci tua moglie, che invece aveva bisogno della tua "uva"... Come le altre parole con le quali mentiamo, insultiamo, inganniamo, uccidiamo, perché il nostro cuore è pieno di veleno, non ha altro con cui riempire la nostra bocca.

Spesso ci ritroviamo così, senza "fondamenta", perché abbiamo dimenticato che cosa significhi dire "Signore, Signore". Il termine traduce la parola greca "Kyrios", il termine che nella "Settanta" (traduzione greca dell'Antico Testamento del III secolo) a sua volta traduceva il tetragramma YHWH, il Nome di Dio: "Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre".  

Dunque, se diciamo "Signore, Signore" significa che anche la nostra lingua sta proclamando che Gesù Cristo, crocifisso e morto per i nostri peccati, è risuscitato ed è "il Signore". Significa che lo crediamo perché lo abbiamo sperimentato nella nostra vita, dove Lui è il Signore della nostra carne e dei suoi desideri.    

Ma se "non facciamo quello che Gesù dice", allora stiamo "pronunciando invano il nome di Dio". In ebraico "pronunciare" si può tradurre anche "portare". Per questo "il Talmud interpreta il comandamento "non porterai il nome di Dio invano" come "non farai falsi giuramenti", perché l'espressione "portare il nome" significa "giurare" ( M-A. Ouaknin). Stiamo giurando che Dio esiste, che Cristo e risorto, e con la vita affermiamo il contrario. 

Stiamo ripetendo il nome "Signore, Signore" invano, ovvero, secondo il significato ebraico del termine, senza distinguerlo dal resto. Dio è per noi uno tra i tanti, e per questo ci è indifferente vivere obbedendo a quello che dice o seguire la nostra volontà. Come farà allora chi ci incontra a distinguere la terra e il Cielo, la speranza dalla disperazione, la vita autentica da quella destinata a corrompersi?

Chiamati a "santificare il nome di Dio" lo stiamo rendendo oggetto di insulto e bestemmia. E così siamo uno scandalo, una "rovina" per la Chiesa, per i fratelli e per chi attendeva da noi "parole" autentiche, "piene" di speranza, un annuncio del Vangelo credibile a cui aggrapparsi.

Per questo il Signore oggi ci chiama a conversione. Con te e con me, con la maggioranza di quanti vanno a messa e dicono di essere cristiani ma non danno i frutti del battesimo, è necessario un percorso di formazione cristiana che accompagni tutta la vita: "Il Battesimo si estende a tutta la nostra vita: sia pre-battesimale, sia post-battesimale, siamo sempre in cammino battesimale, in cammino catecumenale. La nostra sfida è vivere il dono del battesimo, vivere realmente, in un cammino post-battesimale" (Benedetto XVI).

Per vincere questa "sfida" bisogna innanzitutto "scavare molto profondo". Per questo il Signore scende come uno Sposo nella sua vigna in “rovina”, come quando si inoltrò negli inferi. E ci tende la mano con misericordia, per "andare a Lui", ma stavolta per "ascoltare le sue parole" e "metterle in pratica". Ciò significa accogliere la Parola di Dio, la predicazione e la catechesi che "scavano" in noi, svelandoci gli inganni con cui il demonio ci tiene schiavi. Sono così "profondi" che non ce ne siamo mai accorti. 

Solo quando saranno illuminati e spazzati via saremo liberi per “ascoltare”, obbedire e fondare la nostra vita sulla "Roccia" del suo amore incorruttibile. Rinunciato agli idoli e al peccato, potremo accogliere il "Signore" nella nostra vita abbracciando la Croce che ci unisce a sé indissolubilmente, l'unica che dà frutti autentici e capaci di saziare.

Allora sapremo "costruire bene", seguendo le sue orme incise nell’insegnamento della Chiesa, dei pastori e dei catechisti, divenendo noi stessi il Nome di Dio annunciato al mondo, come lo furono Abramo, Isacco e Giacobbe: "Dio prende questi tre e proprio nel suo nome essi diventano il nome di Dio. Per capire chi è questo Dio si devono vedere queste persone che sono diventate il nome di Dio, un nome di Dio, sono immersi in Dio. Chi sta nel nome di Dio è vivo, perché Dio – dice il Signore – è un Dio non dei morti, ma dei vivi. E proprio questo succede nel nostro essere battezzati: diventiamo inseriti nel nome di Dio, in un’unica, nuova esistenza apparteniamo a Dio, siamo immersi in Dio stesso, così che apparteniamo a questo nome e il Suo nome diventa il nostro nome e anche noi potremo, con la nostra testimonianza – come i tre dell’Antico Testamento –, essere testimoni di Dio, segno di chi è questo Dio, nome di questo Dio” (Benedetto XVI).