La tolleranza (a senso unico) può giocare brutti scherzi. Capita che i suoi cantori non sopportino chi ha un pensiero diverso, che non di rado finiscono per etichettare sbrigativamente come odio. Il fenomeno si va estendendo e chiunque abbia un minimo di attenzione avrà notato la frequenza con cui oggi si usano espressioni come “gruppi d’odio”, “discorsi d’odio”, “odiatori” o i loro corrispondenti inglesi. Nei mezzi di informazione, su Internet, all’interno delle leggi. L’etichetta può a volte anche avere un fondamento, ma il problema è che sempre più spesso non ne ha alcuno e la sua introduzione non è casuale: ci sono ambienti politico-culturali che la usano come un’arma per denigrare e mettere a tacere il dissenso (seguendo la stessa strategia che si cela dietro neologismi come “omofobia” e “islamofobia”).
Prendiamo l’ultimo esempio che viene dagli Stati Uniti. Qui opera dal 2008 il Ruth Institute, che si propone di agire sul piano culturale motivando coloro che definisce “i sopravvissuti della rivoluzione sessuale” per fermare la devastazione della famiglia - colpita in primis dal divorzio e dall’usa e getta in ambito sessuale - e le ricadute negative sui bambini. Afferma poi il diritto di ogni bambino a crescere con la madre e il padre naturali; rifiuta l’idea che il bambino sia un problema da risolvere se non lo vuoi o che sia un oggetto da comprare se lo vuoi, con chiaro riferimento all’aborto e alla fecondazione artificiale. Davvero troppo per i tolleranti di cui sopra.
Il 31 agosto l’organizzazione pro-family ha ricevuto una lettera da Vanco, una piattaforma per i pagamenti e le donazioni online, che informava della chiusura immediata del suo account. Perché? Per la promozione dell’odio, ovvio. Nella lettera si legge che il Ruth Institute “è stato segnalato da Card Brands come associato a un servizio che promuove odio, violenza, molestie e insulti. Gli operatori che mostrano tali caratteristiche sono contro le politiche di Vanco e Wells Fargo”. Jennifer Roback Morse, fondatrice del Ruth Institute, ha diffuso subito un comunicato per ricordare che il loro obiettivo è la difesa della famiglia e dei bambini, aggiungendo: “Se questo fa di noi un «gruppo d’odio», così sia”. La Roback ha spiegato che nessuno li ha mai contattati per chiarire il perché dell’etichetta, ma è convinta che la cancellazione dell’account sia legata a un motivo preciso: “Abbiamo una visione del matrimonio, della famiglia e della sessualità umana che sono considerate «anti Lgbt». Le nostre convinzioni sono eredità comune dei gruppi cristiani. Le organizzazioni cristiane che usano i servizi di Vanco potranno voler rifletterci su”.
Ma la tolleranza al rovescio non riguarda solo Vanco. Già dal 2013 il Ruth Institute si trova inserito nella cosiddetta “mappa dell’odio” curata dalla Southern Poverty Law Center (Splc), che dice di combattere l’intolleranza e ad oggi enumera centinaia di “gruppi d’odio” in tutti gli Stati Uniti, suddivisi tra razzisti, nazionalisti bianchi, separatisti neri, negazionisti, anti-immigrazione, anti-musulmani, anti-Lgbt, cattolici tradizionalisti radicali, eccetera. Non è possibile soffermarsi qui sull’opportunità dell’inserimento dei vari gruppi in queste categorie, ma alla luce della vastità della catalogazione pensata dalla Splc balza agli occhi un fatto indicativo: la totale mancanza della categoria “anticristiani” (dove solo a enumerare i gruppi responsabili di blasfemie e offese pubbliche si perderebbe il conto). Non che si desideri un tale inserimento in una lista così controversa: è giusto per far capire quanto vadano presi con le pinze certi elenchi, che finiscono per avere esiti opposti a quelli dichiarati.
Tornando al caso del Ruth Institute, la Splc lo inserisce tra i gruppi anti-Lgbt. Eppure, a quasi dieci anni dalla sua fondazione, come spiega la Roback “per quanto ne sappiamo, nessuno è mai stato ispirato dalle nostre attività a sommosse o a sparare a qualcuno”. È invece successo l’inverso. La “mappa dell’odio” della Splc include tra gli anti-Lgbt anche il Family Research Council, che si propone di “far avanzare la fede, la famiglia e la libertà nelle politiche pubbliche secondo una visione cristiana del mondo”. Il 15 agosto del 2012, Floyd Lee Corkins, volontario in un’associazione arcobaleno, fece irruzione armato nella sede del Family Research Council con l’intento di uccidere i membri dello staff: riuscì a ferirne uno con un colpo di pistola, prima di venire bloccato e arrestato. Nell’interrogatorio sul motivo del suo atto contro il gruppo pro-family, Corkins dichiarò di averlo scelto come target perché presente nella lista online della Splc.
Per la cronaca, il Family Research Center è ancora in quella lista, assieme ad altre organizzazioni serie e responsabili come per esempio il Center for Family (C-Fam), l’American College of Pediatricians (Acp), l’Alliance Defending Freedom, che si spende culturalmente e offre assistenza legale per difendere la sacralità della vita, il matrimonio, la famiglia, la libertà di parola e di religione, il diritto all’obiezione di coscienza. I pediatri dell’Acp hanno invece il “torto” di aver messo in luce i problemi delle adozioni per le coppie gay e ricordato, in un documento rigoroso, tutti i pericoli per i bambini derivanti dalla diffusione dell’ideologia gender, a partire dall’assurdo uso di ormoni del sesso opposto. Verità non tollerate dalla Splc, che dice di “cercare giustizia per i membri più vulnerabili della nostra società” (e i bambini non lo sono?), ma in realtà assume per dogma i “nuovi diritti” dell’individualismo che con la giustizia fanno a pugni. E così mette nella sua “mappa dell’odio”, mescolandoli in un unico calderone, gruppi famigerati come il Ku Klux Klan e gruppi che difendono la famiglia naturale (sebbene a parole si neghi che l’etichetta venga affibbiata per questo).
Come spiega Austin Ruse, presidente di C-Fam, un istituto di ricerca che da vent’anni si batte in sede Onu per fermarne le spinte contro i nascituri e la famiglia, “la Southern Poverty Law Center era nata come rispettabile organizzazione per combattere contro il razzismo. Si sono evoluti in un motore dell’estrema sinistra contro il cattolicesimo. Sono un gruppo incredibilmente ricco con più di 300 milioni di dollari in banca ed entrate annuali di oltre 50 milioni”. Conclude Ruse: “Loro e i loro alleati hanno cercato di zittirci a Washington, all’Onu, e adesso all’Unione europea. La cosa divertente è che le nostre posizioni sono basate sugli insegnamenti della Chiesa cattolica e tuttavia non hanno etichettato la Chiesa come gruppo d’odio. Non ne hanno il coraggio”. Eppure, potranno arrivare direttamente anche a quello. Per adesso, con i loro alleati e donatori (tra cui c’è anche Soros), stanno facendo terra bruciata tutto intorno. In nome della tolleranza.
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