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sabato 16 settembre 2017



"In quel tempo", oggi, Gesù parla alla comunità dei "suoi discepoli"; non si rivolge al mondo, ma a noi, vescovi, preti, catechisti, padri, madri, insegnanti, a tutti coloro che sono stati piantati nel suo campo per dare "frutti buoni e belli". Quando nel Vangelo appare l'immagine dell'albero occorre pensare innanzitutto al seme da cui si è sviluppato. Alla predicazione che ha seminato nel "cuore" l'annuncio del kerygma, dando inizio a un percorso di crescita nella fede. 

Per questo Gesù dice anche che bisogna "scavare molto profondo", "porre le fondamenta sulla roccia", e così "costruire bene". Sta parlando del battesimo, del cammino con cui ci preparava a riceverlo e della vita nuova dei cristiani con cui la Chiesa avrebbe annunciato al mondo la salvezza . 

Di fronte ai "fiumi" in "piena" che, gonfi di male, "investono" il mondo facendo andare in "rovina" la vita di tanti, i cristiani sono chiamati a mostrare la Chiesa come una "casa" che il demonio non "riesce a smuovere". Ovunque intorno a noi il nome di Dio è maledetto: famiglie distrutte, aborti, abomini di ogni tipo, guerre, sfruttamenti delle persone. 

Non solo, anche le malattie e le morti premature, i disastri ambientali, i rovesci economici inducono a bestemmiare Dio. In mezzo a tutto questo i cristiani sono chiamati a "santificare il Nome di Dio" nella loro vita; perché gli uomini possano passare dalla bestemmia alla benedizione devono poter vedere in loro i "frutti buoni" che nascono dall'"albero buono" della Croce. Devono poter ascoltare dalle loro "bocche" l'annuncio di salvezza che "parla dalla pienezza" d'amore di un "cuore" rigenerato.

Chi ci è accanto ha diritto alla salvezza, quindi ha diritto di incontrare un popolo che dà gloria a Dio nelle stesse situazioni difficili e di sofferenza che vivono tutti; una comunità che annuncia e testimonia la verità, che cioè Dio è un Padre buono, che ama ogni uomo, che ha mandato suo Figlio a vincere il peccato e la morte, per dare a tutti la possibilità di camminare in una vita diversa, piena, felice, anche tra le sofferenze. 

Per questo, con le sue parole il Signore viene oggi a "vendemmiare" nella sua vigna, cercandovi l"'uva", ovvero il vino nuovo della vita cristiana da offrire al mondo. Così faceva la Chiesa primitiva: "Quanti sono stati scelti e messi da parte per ricevere il battesimo saranno esaminati riguardo alla loro vita: se sono vissuti piamente mentre erano catecumeni, se hanno onorato le vedove, visitato i malati e praticato tutte le buone opere. Se coloro che si presentano rendono testimonianza della loro condotta, allora ascoltino il Vangelo... Se si trova uno che non è puro, verrà scartato, perché non ha ascoltato le parole dell'istruzione con fede. Uno spirito estraneo e cattivo dimora in lui" (Ippolito, Tradizione Apostolica).

Il Signore scruta i nostri "cuori" per vedere che tipo di "pienezza" stanno producendo, se i frutti sono dati dallo Spirito Santo o da uno spirito estraneo al Vangelo e "cattivo". Guarda alla nostra "bocca" come a un "albero", e ascolta le "parole" che vi escono come fossero i suoi "frutti". Sono "buoni" come i "fichi" o pieni di "spine"? Sono i "frutti" della Croce gloriosa di cristo, o sono avvelenati come quello che il demonio ha spinto Eva a mangiare?

Non possiamo illudere nessuno, come "un albero buono non può dare frutti cattivi", così anche le "parole rivelano il cuore"; anche se con esse chiamiamo Gesù "Signore, Signore", potremmo celare lo stesso cuore di Giuda che si era avvicinato a Lui per baciarlo. Quello che conta sono i fatti, le opere, "i frutti", non le "parole". 

Non importa se sono impreziosite da citazioni bibliche, piene di forza profetica, unite come una collana di perle a formare una catechesi stupenda. Scriveva San Francesco Saverio: "nell'inferno vi sono molti i quali, quando stavano nella vita presente, furono la causa e lo strumento affinché gli altri si salvassero per mezzo delle loro parole e se ne andassero alla gloria del paradiso, mentre loro, mancando di umiltà interiore, andarono all'inferno essendosi fondati su una ingannevole e falsa opinione di loro stessi"

Forse oggi il Signore trova la nostra vita come "una casa" appena appoggiata sulla "terra", senza altro "fondamento" che il nostro orgoglio presuntuoso. Per questo, di fronte ai "fiumi" che ci "investono" ogni giorno, non possiamo far altro che difenderci ed erigere argini sempre più precari, e darci sotto più forte, rispondendo al male con il male, colpo su colpo. 

Quante volte a messa hai ripetuto "Signore, Signore"? Moltissime, ma poi quando torni a casa, e tua moglie, che ti conosce e non ha voglia di passare la settimana discutendo, ti chiede all'ultimo momento di andare a pranzo dai suoi? Basta un secondo, e l'eco di quel "Signore, Signore" è già spenta, sostituita immediatamente da un irato "io, io"... Io non ce la faccio, mi brontolano sempre, mia suocera poi non la sopporto; guarda, ho mille cose da fare, non posso perdere tempo con quei babbioni. Ecco la "spina" con cui ferisci tua moglie, che invece aveva bisogno della tua "uva"... Come le altre parole con le quali mentiamo, insultiamo, inganniamo, uccidiamo, perché il nostro cuore è pieno di veleno, non ha altro con cui riempire la nostra bocca.

Spesso ci ritroviamo così, senza "fondamenta", perché abbiamo dimenticato che cosa significhi dire "Signore, Signore". Il termine traduce la parola greca "Kyrios", il termine che nella "Settanta" (traduzione greca dell'Antico Testamento del III secolo) a sua volta traduceva il tetragramma YHWH, il Nome di Dio: "Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre".  

Dunque, se diciamo "Signore, Signore" significa che anche la nostra lingua sta proclamando che Gesù Cristo, crocifisso e morto per i nostri peccati, è risuscitato ed è "il Signore". Significa che lo crediamo perché lo abbiamo sperimentato nella nostra vita, dove Lui è il Signore della nostra carne e dei suoi desideri.    

Ma se "non facciamo quello che Gesù dice", allora stiamo "pronunciando invano il nome di Dio". In ebraico "pronunciare" si può tradurre anche "portare". Per questo "il Talmud interpreta il comandamento "non porterai il nome di Dio invano" come "non farai falsi giuramenti", perché l'espressione "portare il nome" significa "giurare" ( M-A. Ouaknin). Stiamo giurando che Dio esiste, che Cristo e risorto, e con la vita affermiamo il contrario. 

Stiamo ripetendo il nome "Signore, Signore" invano, ovvero, secondo il significato ebraico del termine, senza distinguerlo dal resto. Dio è per noi uno tra i tanti, e per questo ci è indifferente vivere obbedendo a quello che dice o seguire la nostra volontà. Come farà allora chi ci incontra a distinguere la terra e il Cielo, la speranza dalla disperazione, la vita autentica da quella destinata a corrompersi?

Chiamati a "santificare il nome di Dio" lo stiamo rendendo oggetto di insulto e bestemmia. E così siamo uno scandalo, una "rovina" per la Chiesa, per i fratelli e per chi attendeva da noi "parole" autentiche, "piene" di speranza, un annuncio del Vangelo credibile a cui aggrapparsi.

Per questo il Signore oggi ci chiama a conversione. Con te e con me, con la maggioranza di quanti vanno a messa e dicono di essere cristiani ma non danno i frutti del battesimo, è necessario un percorso di formazione cristiana che accompagni tutta la vita: "Il Battesimo si estende a tutta la nostra vita: sia pre-battesimale, sia post-battesimale, siamo sempre in cammino battesimale, in cammino catecumenale. La nostra sfida è vivere il dono del battesimo, vivere realmente, in un cammino post-battesimale" (Benedetto XVI).

Per vincere questa "sfida" bisogna innanzitutto "scavare molto profondo". Per questo il Signore scende come uno Sposo nella sua vigna in “rovina”, come quando si inoltrò negli inferi. E ci tende la mano con misericordia, per "andare a Lui", ma stavolta per "ascoltare le sue parole" e "metterle in pratica". Ciò significa accogliere la Parola di Dio, la predicazione e la catechesi che "scavano" in noi, svelandoci gli inganni con cui il demonio ci tiene schiavi. Sono così "profondi" che non ce ne siamo mai accorti. 

Solo quando saranno illuminati e spazzati via saremo liberi per “ascoltare”, obbedire e fondare la nostra vita sulla "Roccia" del suo amore incorruttibile. Rinunciato agli idoli e al peccato, potremo accogliere il "Signore" nella nostra vita abbracciando la Croce che ci unisce a sé indissolubilmente, l'unica che dà frutti autentici e capaci di saziare.

Allora sapremo "costruire bene", seguendo le sue orme incise nell’insegnamento della Chiesa, dei pastori e dei catechisti, divenendo noi stessi il Nome di Dio annunciato al mondo, come lo furono Abramo, Isacco e Giacobbe: "Dio prende questi tre e proprio nel suo nome essi diventano il nome di Dio. Per capire chi è questo Dio si devono vedere queste persone che sono diventate il nome di Dio, un nome di Dio, sono immersi in Dio. Chi sta nel nome di Dio è vivo, perché Dio – dice il Signore – è un Dio non dei morti, ma dei vivi. E proprio questo succede nel nostro essere battezzati: diventiamo inseriti nel nome di Dio, in un’unica, nuova esistenza apparteniamo a Dio, siamo immersi in Dio stesso, così che apparteniamo a questo nome e il Suo nome diventa il nostro nome e anche noi potremo, con la nostra testimonianza – come i tre dell’Antico Testamento –, essere testimoni di Dio, segno di chi è questo Dio, nome di questo Dio” (Benedetto XVI).

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