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sabato 20 gennaio 2018


αποφθεγμα Apoftegma

Dammi prima questo pescatore — dice il Signore. 
Vieni tu, o povero, seguimi; 
non hai nulla, non sai nulla, seguimi. 
Tu che sei ignorante e povero, seguimi! 
Tu non hai nulla che spaventi, 
ma hai molto che si può riempire. 
Bisogna avvicinare il recipiente vuoto 
a una sorgente così abbondante. 
Ha abbandonato le reti il pescatore, 
ha ricevuto la grazia il peccatore 
ed è diventato divino oratore. 
Adesso si leggono le parole dei pescatori 
e si chinano le teste degli oratori. 
Vengano dunque tolti di mezzo i venti sterili, 
si tolga di mezzo il fumo, che svanisce col gonfiarsi: 
cose che bisogna assolutamente disprezzare, se vogliamo la salvezza.

S. Agostino









LA CONVERSIONE E' LA NOSTRA VOCAZIONE



“Il tempo è compiuto, Il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo”: Il cuore della predicazione di Gesù e della Chiesa risuona per noi nella liturgia di questa domenica. Ma che senso hanno per te, concretamente, queste parole? Sono davvero un Vangelo? Hanno il potere dirompente che avevano in Galilea duemila anni fa?

Forse no. Forse siamo abituati alla parola vangelo, e lo associamo inconsciamente ai quattro libri scritti da Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Come se si trattasse di credere a un libro stampato, sacro per carità, ma comunque un libro. Capace di cambiare aspetti della vita, come anche i buoni romanzi possono fare, ma nulla di più... 

Così, le parole di Gesù non ci giungono come l’unica Buona Notizia capace di cambiare radicalmente il nostro cuore e il nostro modo di vivere. 


Forse non ne sentiamo neanche il bisogno. O forse sì, perché siamo precipitati in situazioni dalle quali vorremmo uscire, ma non “crediamo” che le parole di Gesù abbiano il potere di liberarci.

La Chiesa, Madre che ci conosce, viene in nostro aiuto, annunciandoci per bocca di Giona “quanto il Signore vuole dirci”: “ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. C’è un tempo - ed è questo - che “si è fatto breve” perché ”colmato” dalla presenza di Dio fatto carne in suo Figlio. Il tempo favorevole che ci è offerto per convertirci. Terminato, e non sappiamo quando, sarà distrutta la nostra città, quello che abbiamo faticosamente costruito!

Ehi, per favore, questa è roba da medioevo, quando i predicatori incutevano paura dicendo: “ricordati che devi morire”. Ma a quel tempo c’erano le epidemie, arrivava improvvisa la peste e ci si ammalava per un nulla. La vita era costantemente in pericolo, ma oggi la scienza ha colmato il gap con la natura. Certo si muore, ma la medicina fa miracoli, se ti dice bene l’ambulanza e un defribillatore ti salvano la vita. I vaccini e le medicine, le condizioni di vita, non si muore più di parto eh.

Ecco, proprio qui è il problema: siamo diventati professionisti della superbia travestita da scienza, progresso e conquiste di civiltà. Non ci rendiamo più conto che la morte fisica è solo una profezia di quella dell’anima. Abbiamo dimenticato che è il frutto amaro del peccato. Ci conviviamo tra i video atroci dei terroristi fondamentalisti, film e serie televisive dove si uccide e si muore senza pietà; ci alleviamo i pupi lasciandoli pascolare sui videogiochi che fanno della morte, violenta, il piatto forte.

Ci illudiamo di sfuggire alla nostra “distruzione” spettacolizzandola, ma è solo perché ormai il demonio è riuscito a togliere valore alla vita e alla persona, non perché abbiamo una visione seria della vicenda umana e abbiamo saputo dare una risposta alla morte.

Mi colpisce la figura del medico legale nelle fiction e nei film: ironizza sempre sulle cause della morte, esegue autopsie asettiche, stila referti su freddi cadaveri; non sembra proprio che quel cadavere sia stato tempio dello Spirito Santo. E questo è profondamente legato alla crescita esponenziale della cremazione, alla pornografia e alla moda che cancellano, subdolamente, valore al corpo e alla vita che esso custodisce.

Ma succede perché la morte ci fa paura come nel medioevo, e indottrinati dai nipotini di Voltaire e compagni, ci illudiamo di liberarcene nascondendola nell'ironia, nel disprezzo della vita con cui relativizzarla; oppure eliminandola uccidendo chi ne porta le stigmate e ce la ricorda o ci avvicina ad essa: embrioni malati o in sovrannumero, bambini e anziani malati, e via così, sino ad eliminare l'altro che mi dà la morte, il coniuge con il divorzio ad esempio. Perché per l'uomo vecchio "gli altri sono l'inferno", come scriveva Sartre, mi sottraggono pezzi di vita, e di vita ne abbiamo così poca che guai a chi ce la tocca.   

Siamo immersi in una società che odora di morte, altro che medioevo, che poi non è quello dei libri di Umberto Eco e dei film con i quali ci hanno lavato il cervello per denigrare la Chiesa. 

Oggi la morte è più aggressiva, perché aggredisce l’anima, devastando la speranza. Non è una chiamata a conversione perché hanno chiuso il Cielo e qui sulla terra non resta altro che violenza, fisica e verbale, dileggio delle persone, insulto alla dignità, libero sfogo degli istinti. E’ pericoloso mandare i figli perfino alle scuole elementari perché non sai che traumi potrebbe procurar loro la follia del pensiero unico dell'anticristo. 

Ma tutto è mosso per difendere il proprio ego, dittatore implacabile ed efferato. Come lo siamo noi, tu ed io, disarmati dinanzi alle tentazioni del demonio, perché probabilmente schiavi da molto tempo delle sue menzogne: non viviamo capovolte le parole di San Paolo? Cerchiamo di “usare” fino all’ultima goccia di piacere “i beni del mondo”; compriamo per “possedere” con avidità insaziabile; “prendiamo moglie” per “averla”, farne cioè un oggetto di cui disporre; “piangiamo” e “gioiamo” con un’intensità e una passione tipiche di chi fa un assoluto di ogni evento e relazione.

E ciò succede perché sappiamo bene che “passa la figura (forma) di questo mondo” ma, ingannati dal demonio, invece di vivere sula terra come un anticipo del Cielo, schiavi della paura di morire, difendiamo con i denti il precario pezzo di mondo che ci illudiamo di possedere; oppure, ancora più ingannati, ci convinciamo di essere come dio, e che la morte non ci debba cogliere; la rifiutiamo chiudendola in un cassetto, sforzandoci di piegare tutto e tutti alle nostre concupiscenze.

Come “gli abitanti di Ninive”, che “non sapevano distinguere la destra dalla sinistra”, senza cioè discernimento, e per questo schiavi del male che compivano. 

Ma Dio ci ama, e non permette che si prolunghi all’infinito la nostra schiavitù. E’ paziente e lento all’ira, ma è anche Signore del tempo, e sa che nel tempo si gioca la nostra salvezza. E arriva la morte, eccome se arriva, dopo “quaranta giorni”, immagine di ogni tempo di conversione; come i quaranta anni passati dal Popolo di Israele nel deserto, come i quaranta giorni di Gesù nel deserto.

Come la quaresima, che ha raccolto il tempo più lungo che la Chiesa primitiva riservava al catecumenato, nel quale preparava i pagani al battesimo. Al termine di esso era infatti distrutta la vecchia Ninive, immagine della vita pagana dell'uomo della carne, con le sue leggi e abitudini, e ricostruita la nuova, immagine della vita celeste del cristiano rinato dall'acqua e dallo Spirito.

Allora, oggi il Signore passa nella nostra Galilea e ci chiama a conversione, a cambiare verso, e non è uno slogan politico... “Il Regno di Dio è vicino”, ovvero la comunione con Lui, la vita nuova secondo lo Spirito, l’amore che colma e trasforma le esistenze, tutto questo è accanto a noi! La felicità e la pace sono vicine, a un niente!

Ma per entrarci occorre la fede, “credere alla Buona Notizia” che Ninive, destinata alla distruzione, può salvarsi lasciandosi trasformare in una città nuova, perché Gesù si è offerto alla morte al posto suo. Al posto tuo e mio. E’ morto per noi perché noi non morissimo! E ci ha donato una comunità, anch'essa profetizzata dalla Ninive preservata dalla distruzione, un resto deposto nel mondo schiavo del demonio, dove vivere da figli di Dio.

Per credere però abbiamo bisogno di un cammino di conversione attraverso il quale entrare nei “quaranta giorni” dove imparare a rinunciare al demonio, al mondo e alla carne. A spogliarci dell’uomo vecchio “vestendo di sacco e digiunando”, che sono i segni di chi cambia abito di vita avvolgendosi nell’umiltà, e di chi lascia che la predicazione della Chiesa, Parola di Dio e i sacramenti trasformino la propria mentalità perché sappia discernere la volontà del Padre. 

Apriamo gli occhi fratelli: stiamo per morire, fisicamente e spiritualmente, perché stiamo costruendo la vita per saziare egoisticamente il nostro vuoto! Andrea e Simone, Giacomo e Giovanni lo avevano compreso: stavano vivendo per se stessi, pescando per saziarsi. Per questo, incontrando Gesù che annunciava loro il Vangelo, hanno lasciato subito tutto quello che li legava alla vita mondana e alla corruzione per seguire Gesù sul cammino della conversione.

Ah, è questo il cuore della vocazione! No, non c’entra diventare preti o suore, neanche sposarsi e avere figli. Gesù non aveva chiamato gli apostoli per questo, ma per "stare con Lui" e poi per inviarli in missione. La sua chiamata è innanzitutto a diventare cristiani, a conoscerlo e a diventargli intimi sino ad assomigliargli; a passare cioè dalla morte alla vita, per vivere pienamente nel "tempo compiuto" come cittadini celesti, figli nel Figlio. 

Per questo lo ascoltavano e lo seguivano i poveri, i piccoli, i peccatori, i pubblicani e le prostitute, quelli che non ce la facevano più con la loro vita disprezzata o immersa nel peccato. Sperimentavano in Cristo il perdono e cambiavano vita nella fede che nasceva dall'esperienza del suo amore e del suo potere. Solo dopo sono arrivati i ministeri e i carismi, come doni e strumenti per edificare la Chiesa e portare a compimento il mandato di annunciare il vangelo sino agli estremi confini della terra.

Anche noi e tutti quelli che sono nella Chiesa, come chiunque oggi bussa alle sue porte o da essa è raggiunto, ha bisogno innanzitutto di ascoltare l'annuncio del Vangelo che illumini la propria situazione e spinga ad aprirsi ad esso per sperimentare la liberazione dal peccato.

Per questo non si può fare a meno di entrare in un catecumenato, dove essere formati in una seria iniziazione cristiana; altrimenti ogni attività nella Chiesa sarà schiacciata sull’orizzonte umano e mondano, padre delle crisi, delle insoddisfazioni e delle frustrazioni, sino agli abbandoni del ministero e alla corruzione di cui parla con insistenza Papa Francesco, ai divorzi, al fallimento della sua missione.

Coraggio, il Signore ci chiama per “farci pescatori di uomini”: nella Chiesa, questo tempo che per il mondo separa dalla morte diventa quello favorevole di gestazione della creatura nuova. Lui trasformerà la nostra vita in un fecondo dono d'amore, capace di portare gli uomini in salvo. Non si tratterà più di pescare per sfamarsi, ma di pescare per sfamare. 

Ma prima è necessario rinnegare la carne, che ci ha fatto pescare uomini come fossero pesci, tutti presi dentro la rete dell'ipocrisia per saziare le nostre concupiscenze. E' impossibile, lo sappiamo. Ma Gesù Cristo è risorto dal mare prima di tutti: il Padre lo ha “pescato” e lo ha donato a tutti noi in cibo di vita eterna. E, attraverso la Chiesa, ha il potere di "pescare" noi per primi e farci entrare nel Regno di Dio, del quale la comunità cristiana è una primizia.

In essa Gesù ci attira dietro a Lui per farci passare dall'egoismo alla libertà e alla gratuità per trasformarci in "pescatori di uomini". Come si pesca un uomo? Tirandolo fuori dall'acqua, ovvio! Strappandolo al peccato e alla morte. 

Pescando i pesci come fossero uomini; pescando cioè chi è abituato a nuotare nel buio, perché ormai il suo habitat è il mare, l'immagine della morte. In famiglia e al lavoro, in ogni relazione, ci attende allora un mare dove gettare la nostra vita come una rete: maglie fitte di misericordia, pazienza, tenerezza, verità e parresia per annunciare il Vangelo, perché nessuno sfugga all’amore di Dio. 

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