αποφθεγμα Apoftegma
Sono rotti i miei legami
pagati i miei debiti
le mie porte spalancate
me ne vado da ogni parte.
Essi accovacciati nel loro angolo
continuano a tessere la pallida tela delle loro ore;
o tornano a sedersi nella polvere
a contare le loro monete
e mi chiamano perché torni indietro
Ma già la mia spada è forgiata,
già ho messo l'armatura
già il mio cavallo è impaziente
e io guadagnerò il mio Regno.
Tagore
GESU' PASSA E CI ATTIRA A SEGUIRLO NELLA SUA PASQUA CHE CI LIBERA DAL PECCATO E CI CONDUCE ALLA COMUNIONE
La Grazia è accaduta proprio lì, dove Matteo era in quello stesso istante, immerso nel suo impuro lavoro di esattore. Aveva tradito la sua primogenitura, le promesse e l’Alleanza, per allearsi con il procuratore romano per conto del quale riscuoteva, non senza taglieggiare i contribuenti, il “portorium”, diritto di dogana e pedaggio che doveva pagare chi viaggiava al confine fra le tetrarchie di Erode Antipa e di Erode Filippo. E lì, in quel vomito di vita, un raggio di luce, come ha inimitabilmente dipinto Caravaggio. Uno sguardo e una parola: era il Signore che “passava”, che cioè stava compiendo per Matteo la sua Pasqua: in quello stesso istante Gesù si lasciava inchiodare dai peccati di quel pubblicano pregando il Padre di perdonarlo perché non sapeva quello che stava facendo; era sceso nella tomba della sua ignoranza per strapparlo all’inganno del demonio e risorgere vittorioso sulla morte che genera il peccato. Sì, Gesù ha visto Matteo con gli occhi della Pasqua, e per questo lo chiama già dal Regno dei Cieli che con Lui si era fatto prossimo a ogni malato. Lo chiama a seguirlo nel suo passaggio dalla morte alla vita, consegnandogli come un dono la Grazia dell’obbedienza già compiuta. Bastava solo ascoltare la sua voce che gli regalava la libertà che non Matteo neppure osava più sperare. Come non seguire l'unico che lo aveva amato così? Mathaios, traduzione greca dell’ebraico Mattai che significa “dono di Dio”, è immagine di ogni uomo che ha sperimentato la gratuità dell’amore di Dio nel fondo dei propri peccati, per il quale e lasciare tutto all’istante significa l’inizio di un cammino di conversione e guarigione, il primo passo in una vita libera; altro che rinuncia. Lascia tutto perché ha Cristo, e il resto torna al posto che gli compete, sciolto dall’assolutezza che gonfia di inautenticità persone e cose sino a farne degli idoli tirannici. Nella comunione con Cristo tutto è ridonato in una luce nuova. Per questo Matteo conduce quell’amore celeste nella sua terra, nella sua casa, per scoprire che ogni istante e ogni rapporto della sua vita può essere guarito perché se guarisce il cuore tutto è trasfigurato. Laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia e quello che era stato messo a servizio dell'iniquità è ormai donato per la Giustizia: Matteo non ha più bisogno di accumulare compulsivamente per riempire il vuoto scavato dal peccato, ma ora può offrirsi a chi aveva sottratto ingiustamente, donando Cristo, il suo tesoro più grande, inesauribile perché custodito nei Cieli. Allo stesso modo Gesù viene anche alla nostra vita, laddove stiamo disprezzando la primogenitura buttandoci via, per chiamarci così come siamo, peccatori e malati. Non importa se non lo stiamo aspettando, importa il suo amore e l'esperienza, vera e reale, del suo perdono. Perché Gesù viene a trasformare il nostro tavolo di gabelliere dove offriamo a noi stessi persone e cose in una mensa imbandita per il fratello. Laddove appare la gratuità del suo amore si fa presente la Chiesa, la comunità di peccatori giustificati senza alcun merito, “alzati” dal peccato e “distesi” a riposare e saziarsi intorno al banchetto che Gesù ha preparato, come nell’ultima cena, come sulle rive del Lago di Tiberiade quando, risorto, è apparso ai suoi apostoli. E, intorno a quella mensa, chiamare tutti a partecipare della stessa vittoria nella comunione della Chiesa, anticipo e caparra della vita celeste che ci attende.
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