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lunedì 18 febbraio 2019


LA CROCE E' IL SEGNO CHE NON CI ASPETTIAMO L'AMORE CHE GIUNGE ALLA REALTA' SENZA CAMBIARLA SECONDO LE NOSTRE BRAME MA LA ASSUME PER REDIMERLA 

Nell’Eucarestia di ieri siamo passati con Cristo dalla morte alla vita, ma è lunedì e durante questa nuova settimana, immagine della vita terrena, sperimenteremo che, essendo figli feriti di una generazione concepita nel peccato, molto di noi appartiene ancora alla terra. Discuteremo per difendere il nostro ego, come accade spesso nelle discussioni tra i coniugi riguardo ai figli che si evolvono repentinamente in combattimenti corpo a corpo sul filo delle offese, delle rivendicazioni e dei giudizi che esplodono improvvisi come bombe nascoste nel cuore a cui però salta la sicura sfiorata dalla prima umiliazione. Discuteremo mettendo alla prova Gesù celato nel fratello, schiavi del pre-giudizio basato sulla menzogna antica con la quale il demonio ci ha convinto che Dio, permettendo ad esempio al coniuge di attaccarci con violenza, non vuole il nostro bene. Come quei farisei che, esigendo da Gesù il segno da loro prestabilito con cui avrebbe dovuto provare di essere il Messia, discutono con Lui per dimostrare a se stessi e agli altri di avere ragione su quell’impostore di Nazaret. Ma Gesù è l’uomo perfetto che non appartiene alla terra. Gesù ama nella Verità che sola può farci liberi. Per questo evita la trappola e non si attarda a discutere, ma ci lascia a terra, nell’Egitto della nostra superbia. E’ questo il segno sorprendente con cui rivela il suo amore per noi; come quel giorno sul Golgota quando non rispose a quanti, per credere, esigevano da Lui che scendesse dal patibolo. Lo dovevano vedere allontanarsi muto come un agnello condotto al macello, salire sul legno della Croce (di cui la barca è immagine) caricando i peccati di tutti e, traendo un profondo sospiro, inoltrarsi nel mare della morte per aprire in esso l’unico cammino che può condurre l'umanità all’altra riva del Cielo. Era necessario quel mistero d’amore e perdono per andare nella Casa del Padre a preparare un posto proprio per chi lo aveva tradito e appeso alla Croce. Come è necessario per noi vederlo andare via demolendo la superbia con il silenzio che non compie i nostri desideri (il termine greco reso con “discutere” deriva proprio da “desiderare”, che facilmente si converte in bramosia e concupiscenza). Il segno che ci offrirà anche questa settimana per salvarci sarà lasciarci (noi, il coniuge, i figli) nella solitudine della crisi e del fallimento giusto il tempo per rientrare in noi stessi guidati dallo Spirito del pentimento che, misteriosamente, non ci abbandona come non ha abbandonato il Popolo nell'Esilio; mentre Lui si allontanerà dai nostri sentimenti prendendo su di sé i peccati per annientarli nel suo amore. E quando, sperimentato che fuori dalla barca della Chiesa che solca la morte non c'è salvezza, ci ritroveremo come gli apostoli chiusi nella paura e nell'impotenza, tornerà da noi ad annunciarci la Pace del perdono. Come è tornato da Mosè che, per aver dubitato dell’amore di Dio verso il Popolo infedele, piangeva a dirotto sul Monte Nebo mentre morente guardava allontanarsi la Terra Promessa nella quale non sarebbe entrato. Il Midrash racconta che in quel momento Dio scese a prenderlo e lo baciò, attirandolo con il perdono nell’intimità eterna dell’amore, il destino autentico preparato anche per noi che con la Chiesa dove è rivelata la pedagogia del Padre, camminiamo sulla terra dando morte con la conversione a ciò che ancora appartiene ad essa.

Di nuovo lunedì, di nuovo i luoghi di ogni giorno, gli stessi colleghi, i professori e i compagni di scuola. Di nuovo i problemi lasciati in sospeso venerdì, e gli altri che si affacceranno, beffardi, a rapirci il tempo e la pace. E in questa buco nero che si chiama lunedì, una delle poche, forse l'unica difesa che abbiamo è "discutere". Fateci caso, sembra essere l’occupazione principale. Basta accendere il televisore, passare due minuti a una riunione di condominio, entrare in un'aula parlamentare. Ma anche a casa, vero?, e in ufficio, sull'autobus, dal panettiere. Discutiamo su tutto, ma in fondo gli oggetti del contendere sono solo pretesti, perché la "discussione" non è che l'arma con la quale difendiamo noi stessi. Anche quando discuti con tua moglie per i figli, bastano trenta secondi e già non ricordi più il perché, mentre stai vibrando nell'aria accuse e recriminazioni che nulla c'entrano con il bene dei pargoli. Perché quello che ci muove è lo stesso orgoglio dei farisei, che dagli altri e da Dio esige un "segno" che confermi le proprie idee, i criteri, i progetti, i giudizi; tutta roba alla quale restiamo aggrappati perché sono gli ultimi frammenti del nostro io ormai dilaniato dalla menzogna. Quando il demonio riesce ad avvelenarci separandoci da Dio, infatti, ci disintegriamo come investiti da una granata. Smarriamo la nostra identità e nulla ha più senso. Quando "discutiamo", 99 volte su 100 è perché non ci ritroviamo più e vorremmo recuperare noi stessi, la dignità e il valore perduti, nei "segni" di affetto, rispetto, stima e considerazione che esigiamo dagli altri. Come i farisei, ciechi su se stessi ma illusi di non esserlo; credevano di essere pii e di sapere chi fosse Gesù, e per suffragare questa convinzione che li faceva sentire importanti, gli chiedono un "segno dal Cielo", certi che non avrebbe potuto offrirglielo. D'altronde ne avevano avuti tanti, ma per loro valevano zero perché li smascheravano, e questo era insopportabile. Come accade a noi quando gli altri non ci offrono i "segni" che esigiamo. "Questa generazione - la nostra - chiede un segno” perché non ammette d’essere perversa e adultera. Per questo noi, che ne facciamo parte, non desideriamo conoscere Gesù con un cuore contrito per accogliere la sua salvezza; continuiamo invece a difendere stoltamente il nulla che ci fa soffrire. Ma Lui ci ama davvero, rispettando la nostra libertà; così, quando lo avviciniamo per “discutere” con Lui esigendo che trasformi i fatti e le persone in “segni” che diano lustro al nostro ego malato, Gesù ci lascia laddove abbiamo deciso di rimanere, fuori dalla sua barca. Ovvero al di qua della Pasqua, in Egitto, schiavi di un faraone che non ha pietà. Ma attenzione, proprio il rifiuto di viziare il nostro uomo vecchio è “il segno dal Cielo” che Cristo ci offre, perché è l’amore autentico che la carne non conosce. Sulla terra, infatti, siamo abituati a muoverci spinti dalle passioni, tra compromessi e rifiuti sdegnati. Ma Dio non è così, Lui “sospira profondamente” traendo dalle viscere di suo Figlio la compassione che ha per tutti noi: essa si fa carne per giungere alla nostra carne e salvarla! Si fa cioè storia, quella che viviamo dopo ogni “discussione”, e nella quale Gesù entra per incontrarci. Lui stesso è il “segno” che, orgogliosi come siamo, possiamo riconoscere solo nel fallimento. Coraggio allora, perché anche in questa settimana Lui ci attende dove, sfiancati dalle discussioni, ci ritroveremo soli. E no, non ci lascia in Egitto; sale sulla barca senza di noi per aprirci un cammino in mezzo al mare che ci spaventa, alla realtà che cerchiamo di allontanare discutendo. La barca è però immagine della Chiesa attraverso la quale Gesù ci viene a riprendere ogni giorno per farci passare con Lui in mezzo alle difficoltà. Coraggio allora, per vivere autenticamente basta lasciarci amare così come siamo, e accogliere il Santo “sospiro” di Cristo che fa di noi un “segno nel Segno”, per tutti, offrendo loro il perdono "celeste" che dissolve ogni sterile "discussione".

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