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giovedì 14 febbraio 2019

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NELLA CHIESA IMPARIAMO LE NUOVE LINGUE DELL'AMORE PER ANNUNCIARE A TUTTI LA BUONA NOTIZIA CHE SALVA DALLA MORTE 

Andare e annunciare, la Chiesa è tutta in questi due verbi: "Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio" (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 14). E un amore infinito a muovere gambe e cuore, l'amore più grande, annunciare l'amore, che ha un nome, che è una persona, Cristo Gesù. Ed è Verità, l'unica Verità che rende liberi, perché "Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione... Più che mai ora, in questa generazione che sembra aver smarrito i sentieri del vero, è urgente un annuncio capace di ridestare in ogni uomo il seme di Verità deposto in Lui. Per questo non c'è amore più grande che annunciare la Verità a tutti, perché «la Verità interroga il cuore» (J. Ratzinger). L'annuncio del Vangelo è sempre un'apparizione di Cristo risorto: ovunque giungano i suoi messaggeri, si rinnova il prodigio della sera di Pasqua: "Pace a voi! Pace a questa casa", lo stesso annuncio che ha deposto il Cielo sulla terra. San Paolo scriveva agli Efesini che "Egli è venuto ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini". Egli nei suoi apostoli, Egli nella sua Chiesa, "è venuto", e "viene" ogni giorno, da oltre la morte annunciando la Pace, che è autentica solo se reca il certificato che la garantisce proveniente dal di là della barriera su cui si infrangono le speranze e gli sforzi dell'uomo. Gesù annuncia la Pace passando attraverso la porta sprangata dietro la quale si nasconde l'uomo di ogni tempo, alienato in un cinismo che nega ogni possibilità all'autentico e all'eterno facendo delle proprie vuote parole l'assoluto su cui fondare l'esistenza. E' quello che canta John Lennon in una famosissima canzone - Imagine, Immagina - che ha sedotto milioni di giovani e meno giovani. Un' immagine di questa generazione perduta in sogni e utopie che evaporano tra cocaina e pasticche, depressioni e anoressie, corpi e dignità gettate nei rifiuti, bambini gettati in pasto a relazioni abominevoli che chiamano matrimonio, speranze defraudate e pervertite in una teoria interminabile di "carpe diem", "Cogli l'attimo", che acutizzano i morsi della fame senza saziare:
Immagina che non esiste paradiso,
è facile se provi.
Nessun inferno sotto di noi,
nient’altro che il cielo su di noi.
Immagina tutta la gente vivere per l’oggi,
immagina non ci sono patrie.
Non è difficile, vedrai.
Nulla per cui uccidere o morire
e nessuna religione più.
Immagina tutta la gente vivere la vita in pace.
Ti sembro un sognatore?
Non sono il solo.
Spero che un giorno ti unirai a noi
e il mondo sarà una cosa sola.
Cristo è venuto ad annunciare la Pace sgretolando questo immaginare falso e distruttivo, e lo ha fatto portando proprio la Pace quale pegno, testimonianza, caparra di quel Paradiso che Lennon invitava a immaginare come non esistente. Gesù, come gli esploratori che, inviati da Mosè nella Terra di Canaan, tornano con le primizie ivi raccolte, fa ritorno dal Paradiso portando il suo frutto più squisito, la Pace che fa dei due, di ogni Adamo ed Eva inesorabilmente separati dal veleno del peccato, una sola creazione nuova. E' venuto Lui, la Primizia, l'Uomo Nuovo, è venuto dal Cielo, nel quale è entrato con la nostra stessa carne, trasfigurandola, purificandola, liberandola. Interrogato da Pilato, Gesù ha affermato: "Io sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla Verità", ovvero a se stesso, all'opera di misericordia affidatagli dal Padre. E questo gli ha costato la vita. Sant’Agostino, commentando il colloquio con Pilato, scrisse: "Quid est veritas? Vir qui adest". Cos’é la Verità? Era quell'uomo di fronte a Pilato, quell'Uomo apparso ai discepoli dopo aver trionfato sulla morte e sul loro tradimento. Pilato si girò e uscì, scappando da quel fascio di luce che lo aveva raggiunto. Gli Apostoli, stupiti, gioirono; erano figli della Pace, e la Pace discese su di loro. Annunciata da Cristo risorto si rivela al cuore degli Apostoli come la Verità: era vero, lo avevano visto e toccato, avevano mangiato con Lui, quell'Uomo che avevano contemplato crocifisso era Dio. In ebraico ed in greco la parola Verità rimanda a ciò che non passa; nella Verità risuona l'incorruttibilità. Per Pavel Florenskij il senso etimologico di Verità in greco (aletheia), è ciò che non si dimentica, che resiste saldo nel fluire del tempo. La Verità, quella che fonda l'esistenza, la sostanza della Vita, ciò che la orienta, la guida e la realizza, è dunque il Cielo, l'eternità per la quale ogni uomo è stato creato; la Pace annunciata dal Signore risorto ne è l'esperienza offerta agli Apostoli. Per essi, il suo corpo visibile in questa terra, sono inviati senza nulla, come figli del Regno, essi stessi Pace annunciata e offerta al mondo. Nulla per il viaggio, nessuna sicurezza, nessun sostegno di quelli in uso al di là del muro che separa il Cielo dalla terra, nel mondo soggiogato e soggetto al demonio e al peccato. Gli Apostoli sono la fragranza del Paradiso, con loro giunge Cristo. La loro vita è un anticipo del Cielo, un segno compiuto della vocazione di ogni uomo. Il loro annuncio è uno squillo nella notte, la sua credibilità risiede nell'autenticità della loro vita. Nulla possiedono, nulla che passi con il tempo è per loro sostegno e sostanza, la loro esistenza è un segno tangibile della Pace che realizza la Verità, la memoria eterna di Colui che ha introdotto l'eterno nel tempo. Peccatori, fragili, eppure rivestiti della Gloria celeste, "come pecore in mezzo ai lupi", percossi, rifiutati, perseguitati, uccisi eppure sempre lieti, rispondendo a tutto con amore, perché in loro la morte che pone fine a tutto è stata vinta. I loro occhi brillano come quelli di Stefano sotto la tempesta di sassi, lo sguardo di un angelo che fissa la sua Patria, un messaggero al quale niente e nessuno può strappare la Pace che sgorga dal sentirsi amato di un amore più forte della morte e del peccato. Un amore per cui dare anche tutti i beni della terra sarebbe ancora irriderlo, non considerarlo per quello che è; un amore che si fa naturalmente annuncio, grido, misericordia per ogni uomo, perché «la speranza nei cieli non è nemica della fedeltà alla terra», che Nietzsche reclamava, ma «è speranza anche per la terra» (J. Ratzinger, Elogio della coscienza).
Così è stata la vita di Cirillo e Metodio che hanno saputo, seguendo fedelmente l'ispirazione del Vangelo, incarnarlo nelle terre loro affidate. Senza compromessi, ma con un amore infinito. Si parla tanto oggi di inculturazione del Vangelo, spesso con grande confusione. E si dimentica, probabilmente, ciò che muove l'evangelizzazione. Ci si dimentica dell'amore. Si ingabbia il Vangelo nelle trame delle diverse culture sino a gettarlo prono dinanzi alla dittatura del relativismo etico e morale dei tempi e delle mode; si pensa di renderlo più fruibile, commestibile, appetibile. Stretti dalla paura del rifiuto e del fallimento spesso limiamo la verità più profonda sino a farla coincidere con quanto la cultura dei vari luoghi sottolinea e presenta come peculiare. E' l'esperienza del compromesso, che tutti facciamo nella nostra vita. La paura, infatti, governa le nostre relazioni e le rende sempre più precarie. L'amore che "proviamo" non trascende il perimetro della nostra carne, dei sentimenti, del tangibile. Non è amore, è passione. E', in definitiva, un narcisistico amore per noi stessi fatto salire sul treno di atti e parole che colpiscano il cuore dell'altro, che lo aggancino, lo leghino, lo facciano partorire sentimenti di gratitudine e di affetto. E' un amore che cerca di irretire l'amore dell'altro. Così anche in molti tentativi di inculturizzare il Vangelo. Ciò che realmente preme è non fallire, è l'essere compresi, accettati. Lo scandalo della Croce fa paura, perché si è dimenticato il Cielo che essa dischiude. E si camuffa la verità, si fa di Cristo un manichino su cui indossare gli abiti più consoni ai nostri schemi ormai privi di fede, speranza e carità. Si diluisce il cuore del Vangelo credendo che aiutare l'altro a situarsi nella realtà - denunciare i peccati e chiamare a conversione - sia giudicare la cultura o le tradizioni o la stessa persona. L'annuncio sine glossa del Vangelo è, per molti in Asia, in Africa e purtroppo anche in Europa, sinonimo di fondamentalismo intollerante. E' la nostra esperienza nelle relazioni quotidiane, come l'esperienza di tanti tentativi missionari. L'amore, e la missione che ne è mossa, quella a cui siamo chiamati ogni giorno, e quella della Chiesa nel suo complesso, sono ben altra cosa. E' la libertà che ha sperimentato San Paolo e che gli ha permesso davvero di farsi tutto a tutti. La libertà del Figlio che nulla difende, che scende al fondo della vita di ciascuno per amore, per annunciarvi la Verità che genera la Pace. E' l'esperienza della misericordia, del perdono, la Luce pasquale nelle tenebre dei giorni, che illumina ciò che abita nel cuore di ogni uomo: "Nell’esperienza di un grande amore tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito" (R. Guardini,L’essenza del cristianesimo, 1981, p. 12). La Verità del Vangelo è l'esperienza di un grande amore, il più grande. Annunciarlo, con valentia, parresia - coraggio, adeguandone le forme di comunicazione seguendo le tracce delle Spirito Santo senza annacquarlo nei pruriti pseudo culturali che dissimulano l'orgoglio che lascia Cristo fuori della porta, senza dimenticare che "Dio ha voluto salvare il mondo con la stoltezza della predicazione". Un cuore grato perché liberato dalla schiavitù del peccato e ricolmo d'amore, come quello dei Santi Cirillo e Metodio, è il cuore che trabocca, e che è bruciato da uno zelo indomabile. Il cuore del missionario è un cuore ricreato ad immagine di quello di Cristo, spinto dall'urgenza dell'annuncio di ciò che ha sperimentato. Un apostolo sa che «l’uomo non può esistere senza inchinarsi (...) Si inchinerà, allora, a un idolo di legno o d’oro, o del pensiero... o di dèi senza Dio» (F. Dostoevskij. L'Adolescente). Ed ogni cultura resa assoluta e come tale idolatrata, come ogni idea trasformata in ideologia, esigono ginocchia pronte a piegarsi per rapire dall'anima la Verità, e con essa la vita: fare della terra il cielo senza credere al Cielo, come cantava Lennon, come cantano tutti i falsi profeti. Il cuore del missionario è un cuore come quello di Cirillo e Metodio, capace di scrivere con caratteri nuovi la Verità, senza diluire, ammorbidire, adeguare, ma con passione, perché giunga ad ogni cuore, nella lingua con la quale è capace di accogliere, l'annuncio del Vangelo. Settantadue discepoli, come le lingue conosciute in quel tempo, settantadue, l'universalità dell'annuncio destinato a tutte le Nazioni. Per questo è necessario un cuore che freme di gelosia, come quello di Dio, che vede in ogni uomo l'inganno di cui è preda, ed offre la propria vita, la vita stessa di Cristo, per liberarlo e ricondurlo all'autentico Sposo. Un cuore gonfio d'amore, che, per amore, accetta il rifiuto, lo carica su di sé, sino a consegnarsi, martire-testimone della Verità come il suo Signore, anche per chi, del suo annuncio, non sa che farsene. L'amore di Cristo che scorre in una vita donata, nemica dei compromessi, testimone della Verità sino all'effusione del sangue. Un cuore mite, compassionevole, sincero, che brucia di zelo per la salvezza, vera, di ogni uomo.

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