Sulla questione degli abusi sessuali sentiamo spesso dire che la Chiesa si gioca la sua credibilità. Ma questa espressione in realtà è il segno più evidente di un pensiero ormai completamente secolarizzato. La Chiesa è credibile oggettivamente perché voluta da Cristo.
Negli ultimi mesi, e soprattutto in questi giorni, abbiamo sentito ripetere molte volte da cardinali, vescovi e opinionisti vari che sulla lotta agli abusi sessuali la Chiesa si gioca la sua credibilità. Vale a dire che, se continuasse la piaga degli abusi sui minori, da parte dei sacerdoti, e delle varie complicità e coperture, la Chiesa non avrebbe neanche più titolo di proporsi al mondo, non avrebbe neanche più l’autorità di dire qualcosa di vero e definitivo sull’uomo e sul suo destino.
Ad un primo impatto potrebbe dare l’idea della serietà con cui si affronta il tema degli abusi, in realtà è il segno più evidente di un pensiero ormai completamente secolarizzato. Perché la credibilità della Chiesa non dipende dal comportamento degli uomini ma dall’essere voluta da Cristo. È l’elemento divino che fa la Chiesa santa e perciò credibile, non l’elemento umano. La credibilità della Chiesa, la sua santità, è oggettiva, non dipende dal comportamento dei cattolici. La mancanza di credibilità riguarda soltanto i singoli uomini di Chiesa quando non corrispondono al compito che Dio ha affidato loro.
Diceva il compianto cardinale Giacomo Biffi: «La Chiesa non deve essere credibile, deve essere credente». È triste invece notare quanti vescovi, quanti cardinali si preoccupano soprattutto di essere credibili: così la speranza di prevenire o fermare gli abusi sui minori viene fatta poggiare su una serie di misure, protocolli e procedure; ed è giocoforza che nella formazione dei seminaristi diventino decisivi gli psicologi. Non che non ci debba essere anche questo impegno e che non ci si debba avvalere del contributo delle scienze umane; ma quel che sta avvenendo è che tutto sembra essere affidato a uno sforzo umano, alla capacità degli uomini di gestire l’azienda Chiesa che, come ogni altra azienda di questo mondo, per affermarsi ha bisogno di avere una buona reputazione. Ci si preoccupa dell’etica – e alla fine dell’immagine pubblica – invece che della salvezza.
Ben vengano anche delle procedure quando sono necessarie, ma ci si preoccupi soprattutto di guardare a Cristo che ci ha creati per essere santi; avvaliamoci anche del contributo degli psicologi quando necessario, ma in seminario preoccupiamoci soprattutto di avere dei formatori santi.
Il peccato degli uomini di Chiesa rende loro poco credibili, crea scandalo, cioè rende più difficile per le persone incontrare e seguire Cristo, ma non mette in discussione la credibilità della Chiesa.
Diceva il cardinale Robert Sarah in una conferenza tenuta a Trieste due anni fa: «La morale cristiana non coincide con il volontarismo, con il senso del dovere, con il puro impegno solidale; cose spesso lodevoli ma che rimangono su un piano naturale. Per noi cristiani la morale parte da Dio, dal suo dono di santità in noi; ci vuole Santi come Lui, nostro Padre, è Santo: uno splendido e libero dono al quale il Signore ci invita a corrispondere liberamente». E ancora: «Nella dottrina e nei sacramenti ci viene sempre di nuovo ridonata quella santità oggettiva della Chiesa, che partecipata a noi diventa santità soggettiva dei credenti».
In altre parole: la santità, la credibilità della Chiesa, non è la somma della santità – o del comportamento irreprensibile - dei singoli cristiani. È il contrario: è la santità oggettiva della Chiesa che permette ai cristiani di parteciparvi personalmente. Prosegue il cardinale Sarah: «Siccome nonostante i nostri peccati la Chiesa rimane sempre Santa, dobbiamo sforzarci, con l’aiuto di Dio, di non rovinare in noi ciò che non può essere scalfito in se stesso. Cioè, dobbiamo custodire la nostra santità personale, per evitare che la santità oggettiva della Chiesa, la quale non è toccata dalle nostre mancanze, sia cionondimeno messa in dubbio da coloro che, vedendo la nostra pochezza, sono tentati di attribuirla alla Chiesa in quanto tale».
In altre parole: la santità, la credibilità della Chiesa, non è la somma della santità – o del comportamento irreprensibile - dei singoli cristiani. È il contrario: è la santità oggettiva della Chiesa che permette ai cristiani di parteciparvi personalmente. Prosegue il cardinale Sarah: «Siccome nonostante i nostri peccati la Chiesa rimane sempre Santa, dobbiamo sforzarci, con l’aiuto di Dio, di non rovinare in noi ciò che non può essere scalfito in se stesso. Cioè, dobbiamo custodire la nostra santità personale, per evitare che la santità oggettiva della Chiesa, la quale non è toccata dalle nostre mancanze, sia cionondimeno messa in dubbio da coloro che, vedendo la nostra pochezza, sono tentati di attribuirla alla Chiesa in quanto tale».
Ci sarebbe piaciuto che dal vertice in Vaticano sugli abusi sessuali fosse emersa questa prospettiva, l’unica che può dare una speranza agli uomini. Vogliamo credere che almeno nel dibattito qualche vescovo abbia parlato in questo modo, purtroppo nella comunicazione ufficiale sono passate soltanto le relazioni fondamentali, preoccupate soprattutto di dare la “linea” politica.
Ma se qualcosa cambierà veramente nei prossimi mesi e anni è solo laddove ci saranno pastori preoccupati di essere credenti, più che credibili.
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