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giovedì 6 novembre 2014

Pakistan, due cristiani arsi vivi per blasfemia

4/11/2014

I due coniugi uccisi erano accusati di aver bruciato pagine del Corano. Il governatore del Punjab ordina una speciale indagine

Paolo Affatato roma

Una protesta di cristiani in Pakistan
Arsi vivi per l’accusa – solo un’accusa, tutta da dimostrare – di aver bruciato pagine del Corano. Di aver commesso un sacrilegio, quello che in Pakistan è punito dalla legge come “atto di blasfemia”. E’ la sorte toccata, questa mattina, a una coppia di cristiani, il 26enne Shahzad Masih e  sua moglie, la 24enne Shama Bibi, arsi vivi da una folla di musulmani di cinque villaggi a sud di Lahore, capitale della provincia del Punjab pakistano. I due coniugi, che lavoravano in una fabbrica di mattoni, sono stati sequestrati e tenuti in ostaggio per due giorni all’interno della fabbrica. Percossi e torturati, questa mattina alle 7.00 sono stati spinti nella fornace usata per cuocere l’argilla.

La blasfemia è un reato che, negli ultimi trent’anni, ha solleticato le menti dei musulmani rigoristi e dei gruppi radicali, creando nel paese una sorta di “psicosi collettiva” e causando orrori come quello di stamane. Non basta che la famigerata “legge nera” – che punisce il vilipendio all’islam, al Corano e al Profeta Maometto – preveda l’ergastolo e la pena di morte, per quello che resta, essenzialmente, un reato di opinione. Non basta un provvedimento che, approvato senza alcun passaggio parlamentare, fu introdotto nel 1986 dal dittatore Zia-ul-haq per compiacere i partiti islamisti e guadagnare il loro consenso. L’accusa di un (presunto) testimone oculare può essere viatico per una esecuzione extragiudiziale. In difesa dell’islam, in vista del promesso paradiso.


Con le due vittime di oggi, a partire dal 1990 sono almeno 60 gli omicidi di persone etichettate come “blasfeme”, secondo dati diffusi dal Centro per la ricerca e gli studi di sicurezza di Islamabad. Le vittime includono giovani cristiani e indù ma anche giudici, avvocati, intellettuali musulmani, accusati di aver difeso o assolto dei presunti blasfemi. Alla luce di tutto questo, Asia Bibi, donna cristiana accusata falsamente di blasfemia, condannata a morte e in carcere da cinque anni, può ritenersi fortunata, mentre sopravvive nel braccio della morte del carcere di Multan.

Non hanno avuto questo “privilegio” Shahzad Masih e Shama Bibi, due giovani che, come molti cristiani del
Punjab, erano impiegati come operai in una delle fabbriche di mattoni di cui la provincia è disseminata. Orari massacranti e salario di mera sopravvivenza, per un lavoro che coinvolge oltre quattro milioni di pakistani, soprattutto delle fasce più povere e delle caste più basse (secondo l’antica, rigida stratificazione sociale esistente nel subcontinente indiano), che abbracciano la quasi totalità delle minoranze religiose in Pakistan. Shahzad e Shama erano sposati e avevano tre figli. Secondo alcune ricostruzioni, Shama era incinta del quarto bambino.

La loro colpa, cioè la supposta blasfemia, l’ha spiegata all’agenzia vaticana Fides l’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill che, convocato da altri cristiani della zona, si è recato sul luogo del delitto, il villaggio Chak 59, nei pressi di Kot Radha Kishan, cittadina sita 65 km a sud di Lahore. L’episodio incriminato riguarda la recente morte del padre di Shahzad. Due giorni fa Shama, ripulendo l’abitazione dell’uomo, aveva preso alcuni oggetti personali, incluse carte ritenute inservibili, facendone un piccolo rogo. Secondo un uomo musulmano, compagno di lavoro della coppia, in quel rogo vi sarebbero state delle pagine del Corano. L’uomo ha sparso la voce nei villaggi circostanti e una folla di oltre 100 persone ha preso in ostaggio i due giovani, abusando di loro, vanamente proclamatisi innocenti, fino al tragico epilogo.

La polizia è intervenuta oggi, constatando il decesso e fermando, per un primo interrogatorio, una quarantina di persone. Si attende però che vengono spiccati ordini di arresto e accuse precise, almeno per il proprietario della fabbrica, il musulmano Yousaf Gujjar e per quanti hanno partecipato attivamente al sequestro, al pestaggio e all’omicidio.

Shahbaz Sharif, primo ministro della provincia del Punjab, ha annunciato di aver assegnato a una speciale commissione di tre membri l'incarico di indagare rapidamente sull'accaduto e di aver ordinato alla polizia di rafforzare le misure di sicurezza a protezione dei quartieri cristiani, in varie città della provincia.

Ma gli osservatori in Pakistan restano scettici e temono l’ennesimo caso di impunità. Memori di casi simili, scatenati sempre per episodi di presunta blasfemia. Nel 2009, nella città di Gojra, anch’essa in Punjab, otto cristiani furono bruciati vivi (inclusi una donna e un bambino) nel rogo appiccato all’intero quartiere cristiano. Una folla di musulmani infuriati, allora, vollero infliggere una sorta di “punizione collettiva” agli “infedeli”. E solo un fortunato avviso – che ha permesso alle famiglie residenti di fuggire – ha evitato una simile tragedia l’anno scorso a Lahore: la Joseph Colony (area abitata esclusivamente da famiglie cristiane) è stata data alle fiamme, e 178 case sono state rase al suolo. Per questi delitti, finora, non c’è nessun colpevole, in quella che il quotidiano Daily Times di Lahore chiama “una vergogna, una parodia della giustizia”.

3 commenti:

  1. Lei era incinta quindi erano in tre...Anania, Azaria e Misaele? La storia si ripete.

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    1. Sì, ma quella volta furono gli aguzzini ad esser bruciati, mentre un vento leggero proteggeva i tre! Qui i tre sono stati arsi vivi!!

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  2. Mi ha colpito il " metodo " dell'uccisione !

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