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martedì 11 novembre 2014

L'evangelizzazione, compito di tutto il popolo di Dio

Continuiamo la nostra lettura di Evangelii Gaudium (= EG), soffermando l’attenzione sui capitoli terzo (nn. 110-175) e quinto (nn. 259-288), i quali offrono indicazioni interessanti sullo “stile” conforme all’evangelo che sono chiamati ad assumere gli evangelizzatori nella Chiesa Popolo di Dio, pastori e fedeli laici, ognuno secondo la vocazione che ha ricevuto. Evidenziamo solo alcune prospettive di fondo.
La Chiesa, Popolo di Dio dai molti volti…
Quando diciamo “Chiesa” e “Popolo di Dio”, si vogliono sottolineare due aspetti della stessa realtà strettamente connessi. Tenerne conto è importante per evitare due visioni riduttive, abbastanza comuni: quella che identifica la Chiesa solamente con la gerarchia e quella che fa della Chiesa una “entità” astratta, o al massimo la riduce alle quattro mura, magari belle, dell’edificio...
Invece quando diciamo “Chiesa” si intendono quelle persone, uomini e donne, pastori e fedeli, che Dio chiama, convoca e raduna (da qui “Ekklesia”=“Chiesa”) in assemblea come comunità, per ascoltare la sua Parola e “spezzare” il pane del Corpo del Signore, perché Dio vuole salvarci non come individui isolati ma come comunità e come popolo (EG 113; LG 9).
Perciò questa stessa comunità non è un “club elitario” o una “grande organizzazione”, ma è il Popolo di Dio (laós), formato da “pietre vive” (1Pt 2,4-10), da persone diverse per sesso, età, temperamento, cultura, mentalità, condizione sociale, condizione della salute fisica e mentale, lavoro, professione; è formato da persone diverse per vocazione, carismi e ministeri; è un popolo geograficamente, culturalmente e storicamente situato in un territorio, in un luogo, in una regione, in un nazione, al nord come al sud, all’est come all’ovest; è un popolo pellegrino in cammino nella storia.
Nella realtà concreta è così che di fatto si presenta a noi in mistero della Chiesa Popolo di Dio. Per questo in
EG 111 è detto che la Chiesa è «un popolo in cammino verso Dio», un popolo che «affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale».
E in EG 115 è detto che il Popolo di Dio è un popolo dai molti volti, tanti quanti sono i popoli della Terra dove viene seminato e inculturato il Vangelo (1Pt 1,1-2: «ai fedeli che vivono come stranieri, dispersi/disseminati nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nella Bitinia»); così che il cristianesimo non si mostra con un unico volto e con un unico modello culturale (= stile di vita di un popolo), ma, pur restando fedele al Vangelo e alla autentica tradizione ecclesiale, si mostra con più volti, tanti quanti sono i popoli e le culture (EG 116).
È questa la cattolicità della Chiesa Popolo di Dio che mostra la bellezza del suo «volto pluriforme» (EG 116) e dice che è possibile, nel Signore e nella energia creatrice e creativa dello Spirito, vivere l’unità nella sana diversità e pluralità, perché nella Chiesa Popolo di Dio unità non è “uniformità” ma si coniuga con la “multiforme armonia” (EG 117). Di tutto questo ogni evangelizzatore ne deve tenere conto.
... Soggetto attivo dell’evangelizzazione
La Chiesa, Popolo di Dio dal volto multiforme, è il soggetto dell’evangelizzazione; e all’interno di essa soggetto lo è ogni fedele, non per benevola concessione dei suoi pastori, ma a motivo dei sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, confermazione, eucaristia), che fa di ogni cristiano un missionario (EG 111; 120; EG 273: «Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo»). Per essere missionari credibili si richiede:
- di rimanere discepoli-missionari del Signore (EG 120): ovvero di fare l’esperienza dell’incontro con il Signore e del suo amore che salva: come i primi discepoli in Gv 1,35-41, come la Samaritana (Gv 4,1-42), come l’apostolo Paolo nell’incontro con il Risorto a Damasco (At 9,1-21). Questo comporta di diventare più coscienti che l’evangelizzazione è opera gratuita della misericordia di Dio, il quale ci attrae per unirci a Sé (EG 112) e farci suoi collaboratori (1Cor 3,9);
- di curare la qualità della formazione cristiana, per un permanente cammino di crescita nella fede (Fil 3.12-13), che però sia maturo e non infantile e mediocre, che cioè accresca la consapevolezza che Gesù e la sua Parola danno senso autentico alla vita (EG 121). Sullo sfondo di questi paragrafi sentiamo anche l’eco della pagina biblica di 1Gv 1,1-4, dove è dall’annuncio dell’esperienza dell’incontro con il Signore che nasce la comunità cristiana, fondata nella comunione con la Trinità;
- di considerare la pietà popolare, come “luogo teologico”, cioè come manifestazione dell’azione dello Spirito Santo e della sua multiforme ricchezza nella vita del Popolo di Dio. Compresa così, e discernendo in essa ciò che è veramente espressione della vita teologale dei fedeli e vera spiritualità popolare, ovvero frutto del Vangelo inculturato e riespresso attraverso la particolare forza comunicativa e attrattiva del simbolo, la pietà popolare si mostra essere una via di autentica evangelizzazione, un’autentica azione missionaria del Popolo di Dio, cui prestare attenzione con lo sguardo del Buon Pastore (EG 122-126);
- di valorizzare la forma interpersonale dell’annuncio (vedi 1Gv 1,1-4), quella forma testimoniale quotidiana da persona a persona, accessibile a tutti attraverso il dialogo personale. Purché questo avvenga, da parte dell’evangelizzatore, senza arroganza, ma con rispetto, con gentilezza, con quell’umiltà di chi ha sempre da imparare dalla Parola di Dio e dagli altri (EG 127-128); 
- di promuovere, con sana audacia e creatività, una nuova inculturazione del Vangelo, affinché la predicazione del Vangelo, «espressa con categorie proprie della cultura in cui è annunciato, provochi una nuova sintesi con tale cultura» (EG 129). Anche da questo punto di vista appare evidente che il soggetto dell’evangelizzazione è un soggetto collettivo: il Popolo di Dio storicamente e culturalmente situato;
- di mettere al servizio della comunità ecclesiale e della sua azione evangelizzatrice i carismi e i ministeri che ognuno (persone, comunità, istituzioni) ha ricevuto dallo Spirito del Signore: i teologi, purché la loro teologia si ponga in dialogo con la cultura, cioè con la vita (EG 132-133); le università, purché il lavoro sia interdisciplinare, integrato e creativo (EG 134); i ministri ordinati (vescovi, presbiteri, diaconi) e tutti coloro che in vario modo sono chiamati al servizio della Parola, purché abbiamo familiarità con la Parola di Dio, la ascoltino, la meditano, la preghino, la contemplino, la studino (EG 135-152), e nello stesso tempo diventino anche ascoltatori contemplativi del Popolo di Dio (EG 154-155; 174-175) e sappiano accompagnare spiritualmente le fasi di crescita delle persone (EG 169-173).
Per una spiritualità dell’evangelizzatore
L’ultimo capitolo di Evangelii Gaudium traccia una spiritualità, uno stile di vita animato dallo Spirito, per ogni evangelizzatore che ama incarnarsi nella vita della gente con le sue incertezze, attese e speranze, gioie e dolori. Una spiritualità che coniughi preghiera e lavoro, cura dell’interiorità e impegno sociale. Per questo l’evangelizzatore (pastore, operatore pastorale, semplice fedele) viene esortato:
- a coltivare quello spazio interiore che ci apre alla contemplazione dell’incontro esperienziale con Gesù e all’ascolto orante del suo Vangelo (EG 264-267): perché è da questo incontro con il Signore che nasce il desiderio di comunicarlo agli altri (vedi 1Gv 1,1-4). Bisogna perciò «recuperare uno spirito contemplativo che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è di meglio da trasmettere agli altri» (EG 264);
- a sentire il piacere spirituale di essere popolo di Dio (1Pt2,10), di rimanere vicini alla vita della gente, perché la missione è «una passione per Gesù» e nel contempo è «una passione per il suo popolo». Bisogna stare in mezzo al popolo, come Gesù: con lo stile del dono, della condivisione, della dedizione, dell’ascolto, del contatto, della relazione, della tenerezza, del rispetto. Gesù non ci vuole come dei “principini”, ma uomini e donne del popolo, che si sentono parte viva del popolo di Dio e lo amano. L’amore per la gente è una forza spirituale, è una esperienza mistica che favorisce l’incontro in pienezza con Dio; anzi, molto di più, che ci aiuta a scoprire aspetti nuovi di Dio, perché in ogni persona, creata ad immagine di Dio, si riflette un raggio della Sua Gloria (EG 268-274);
- a sperimentare la presenza viva ed efficace (non onoraria) del Risorto e del suo Spirito, che ci libera dall’autoreferenzialità e dalle nostre “passioni tristi” (la missione come fosse un progetto aziendale, una organizzazione umanitaria, uno spettacolo per contare il numero dei presenti e riscuotere consensi…), e ci apre al suo modo di operare, di essere fecondi, creativi e generosi. La missione è opera di Dio, del suo Figlio Risorto e del suo Spirito che viene sempre in aiuto alla nostra debolezza (Rm 8,26), perché a Dio non piace “lavorare” da solo ma assieme ai suoi figli (EG 275-280);
- ad intercedere presso il Signore per il cammino umano e di fede degli altri e a ringraziarlo per quanto egli compie nella loro vita, spesso anticipando il nostro operare e il nostro servizio (EG 281-283);
- ad assumere lo stile mariano nell’evangelizzazione (EG 284-288). Come Maria, imparare a “generare Cristo” nella propria esistenza per donarlo agli altri, a relazionarsi con sororità/fraternità, amicizia e tenerezza (= amare l’altro senza possederlo) per umanizzare l’uomo preservandolo dalla sua “animalità feroce” («Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù»: EG 286), a meditare e contemplare la Parola di Dio e la sua presenza nella storia, nel mondo e nel quotidiano. 


Egidio Palumbo

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