Sul blog della rivista cattolica francese L'Homme Nouveau viene pubblicata la risposta che la Congregazione della Dottrina della Fede ha inviato, lo scorso 22 ottobre 2014, a un prete francese. Firmata dal Segretario della congregazione, monsignor Luis Ladaria, sj, questa risposta riguarda un tema di grande attualità: un confessore può dare l'assoluzione a un penitente che, essendo sposato religiosamente, ha contratto una seconda unione dopo il divorzio?
La domanda posta dal sacerdote francese è cruciale, basti pensare alla discussione che ha animato il recente Sinodo sull'accesso al sacramento dell'eucaristia da parte dei divorziati risposati. L'abbé Claude Barthe, commentando il fatto, fa giustamente notare che questa domanda ha il pregio di spostare la questione a monte. Perché, ovviamente, il sacramento della penitenza precede quello dell'eucaristia, a meno che non si voglia derubricare il peccato dalla dottrina cattolica. Di seguito riportiamo interamente una nostra traduzione della risposta della congregazione della Dottrina della Fede (clicca qui).
«Non possiamo escludere a priori i fedeli divorziati risposati da un cammino penitenziale che porti alla riconciliazione sacramentale con Dio e quindi alla comunione eucaristica. Il Papa Giovanni Paolo II nella
sua Esortazione Apostolica Familiaris Consortio (n°84) ha considerato questa possibilità e ne ha precisato le condizioni: “La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti a una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, “assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”. (cfr. anche Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n°29).
Il cammino penitenziale da intraprendere deve considerare i seguenti elementi: 1) verificare la validità del matrimonio religioso nel rispetto della verità, evitando di dare l'impressione di una forma di “divorzio cattolico”; 2) vedere eventualmente se le persone, con l'aiuto della grazia, possono separarsi dai loro nuovi partner e riconciliarsi con quelli da cui si sono separati; 3) invitare le persone divorziate risposate, che per gravi motivi (per esempio i bambini) non possono separarsi dai loro congiunti, a vivere come “fratello e sorella”.
In ogni caso l'assoluzione può essere concessa solo se c'è la certezza di una vera contrizione, vale a dire “il dolore interiore e la riprovazione del peccato che è stato commesso, con la risoluzione di non peccare più” (cfr. Concilio di Trento, Dottrina sul sacramento della Penitenza, c.4). In questa linea non si può assolvere validamente un divorziato risposato che non prenda la ferma risoluzione di “non peccare più” e quindi si astenga dagli atti proprio dei coniugi, e facendo in questo senso tutto quello che è in suo potere.”»
Ogni commento appare superfluo, la risposta è ineccepibile. Con il pregio della chiarezza. Troppo dura? Non sembra, anche perché, ricordiamolo, è la risposta a una domanda precisa di un sacerdote che chiede come deve comportarsi in una certa situazione. Nel contesto della discussione sinodale sull'ammissione all'eucaristia dei divorziati risposati qui si piantano paletti ben fermi e inamovibili: attraverso un cammino penitenziale che prevede passaggi precisi (vedi i punti 1, 2 e 3 della risposta firmata da monsignor Ladaria), il penitente può essere assolto, e quindi accedere alla comunione eucaristica, solo dopo aver accertato il dolore e la riprovazione per la situazione peccaminosa di divorziato-risposato, con il proposito di “non peccare più”.
La domanda posta dal sacerdote francese è cruciale, basti pensare alla discussione che ha animato il recente Sinodo sull'accesso al sacramento dell'eucaristia da parte dei divorziati risposati. L'abbé Claude Barthe, commentando il fatto, fa giustamente notare che questa domanda ha il pregio di spostare la questione a monte. Perché, ovviamente, il sacramento della penitenza precede quello dell'eucaristia, a meno che non si voglia derubricare il peccato dalla dottrina cattolica. Di seguito riportiamo interamente una nostra traduzione della risposta della congregazione della Dottrina della Fede (clicca qui).
«Non possiamo escludere a priori i fedeli divorziati risposati da un cammino penitenziale che porti alla riconciliazione sacramentale con Dio e quindi alla comunione eucaristica. Il Papa Giovanni Paolo II nella
sua Esortazione Apostolica Familiaris Consortio (n°84) ha considerato questa possibilità e ne ha precisato le condizioni: “La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti a una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, “assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”. (cfr. anche Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n°29).
Il cammino penitenziale da intraprendere deve considerare i seguenti elementi: 1) verificare la validità del matrimonio religioso nel rispetto della verità, evitando di dare l'impressione di una forma di “divorzio cattolico”; 2) vedere eventualmente se le persone, con l'aiuto della grazia, possono separarsi dai loro nuovi partner e riconciliarsi con quelli da cui si sono separati; 3) invitare le persone divorziate risposate, che per gravi motivi (per esempio i bambini) non possono separarsi dai loro congiunti, a vivere come “fratello e sorella”.
In ogni caso l'assoluzione può essere concessa solo se c'è la certezza di una vera contrizione, vale a dire “il dolore interiore e la riprovazione del peccato che è stato commesso, con la risoluzione di non peccare più” (cfr. Concilio di Trento, Dottrina sul sacramento della Penitenza, c.4). In questa linea non si può assolvere validamente un divorziato risposato che non prenda la ferma risoluzione di “non peccare più” e quindi si astenga dagli atti proprio dei coniugi, e facendo in questo senso tutto quello che è in suo potere.”»
Ogni commento appare superfluo, la risposta è ineccepibile. Con il pregio della chiarezza. Troppo dura? Non sembra, anche perché, ricordiamolo, è la risposta a una domanda precisa di un sacerdote che chiede come deve comportarsi in una certa situazione. Nel contesto della discussione sinodale sull'ammissione all'eucaristia dei divorziati risposati qui si piantano paletti ben fermi e inamovibili: attraverso un cammino penitenziale che prevede passaggi precisi (vedi i punti 1, 2 e 3 della risposta firmata da monsignor Ladaria), il penitente può essere assolto, e quindi accedere alla comunione eucaristica, solo dopo aver accertato il dolore e la riprovazione per la situazione peccaminosa di divorziato-risposato, con il proposito di “non peccare più”.
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