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martedì 15 novembre 2016

Chiusura della Porta santa a Palestrina

chiusura-porta-santaAbbiamo tutti letto fin dai primi anni di catechismo di martiri, di gente che ha dato la sua vita per testimoniare la fede in Dio, l’amore di Gesù Cristo per tutti gli uomini, la conduzione di una vita integra nei suoi valori. I primi tempi della chiesa furono tempi di testimonianze fino al sangue.
 Oggi però non è cambiato molto. Siamo costretti a vedere ancora il dilagare di una cattiveria senza confini. Cristiani vengono uccisi solo perché sono cristiani. Esistono piani di sterminio calcolati a tavolino e attuati senza pietà, vengono rase al suolo chiese, cancellati tutti i segni di una fede anche millenaria, per far scomparire ogni traccia di ricerca di Dio, per avere una piazza su cui fare i propri affari senza nessuno che metta un seme di dubbio nella cattiveria e nell’ingiustizia che copre gli interessi di una dominazione assoluta. E assistiamo anche a un coraggio indomabile, a persone che sanno perdere tutto, per salvare la propria fede in Dio, che non è un fatto intimistico, ma deve essere conosciuto da tutti e provocare cambiamenti di vita, avviare cammini di bontà. E’ il mistero della grandezza di Dio. Vi perseguiteranno, metteranno le mani su di voi, vi trascineranno in tribunale, vi giudicheranno, non sapranno guardarvi negli occhi, crederanno di farvi paura. 
Ma io sarò sempre lì con voi. Quel Gesù che hanno messo in croce duemila anni fa è sempre di nuovo portato al supplizio nelle vite dei cristiani. E questi hanno una forza indomabile. Vi metto io in bocca le parole, vi do io la forza di sopportare l’esilio, il nascondimento, la perdita dei vostri diritti, la lacerazione dei vostri legami di affetto. 
E’ un mistero di dolore che noi cristiani benestanti e benpensanti facciamo fatica a capire. A noi l’essere cristiani non costa niente, ci stiamo adattando a tutto, viviamo di compromessi, abbiamo addomesticato il vangelo e forse lo usiamo per coprire la nostra ignavia e infedeltà. Il nostro è sempre tempo in cui il vangelo ci porta a riflettere sulle realtà ultime, sul giudizio, sulla tenuta della nostra fede. Ci è chiesto oggi un minimo: la solidarietà, il sentirci con questi nuovi martiri che rinforzano la nostra fede, un corpo solo, il corpo martoriato di Cristo, destinato sempre alla risurrezione, unito nella preghiera e nella speranza.  
Al termine di questa bella esperienza che abbiamo fatto della misericordia di Dio. Mentre chiudiamo la Porta Santa della Misericordia, siamo chiamati tutti a diventare misericordiosi verso gli altri, verso i nostri stessi compagni di vita cristiana e verso coloro che non stanno più con noi per scelte diverse. 
In realtà, se crediamo all’operare di questa grazia, questo tempo di misericordia, regalata e accolta, che abbiamo vissuto  deve essere come un’onda che, una volta generata, si allarga. Passando da quella porta ci siamo lasciati stringere e quasi vincere dalla misericordia di Dio, e ora dobbiamo guardare all’altro con uno  sguardo nuovo. E’ come un seme che è stato posto dentro di noi, nelle nostre coscienze, nelle nostre relazioni, che genera in noi una nuova capacità di perdono, uno sguardo al prossimo che anziché giudicare si fa compassione  e coscienza di un  comune male; possiamo sperare che vecchi rancori in famiglia, per una eredità mal distribuita o una furbizia e un inganno perpetrato ai semplici, si possano sciogliere, che possiamo ricevere misericordia e portarla agli altri, come acqua agli assetati; un’acqua, però, che non finisce mai. Papa Francesco diceva: «Il luogo privilegiato dell’incontro con Gesù Cristo è il mio peccato. È grazie a questo abbraccio di misericordia che viene voglia di rispondere e di cambiare, e che può scaturire una vita diversa. (..) La morale cristiana è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura 'ingiusta' secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso». Quest’anno abbiamo imparato  a tornare ogni volta da Dio con i nostri peccati, e  con quei peccati nelle mani, abbiamo imparato ad accettare la sua misericordia: una misericordia sovrabbondante, addirittura, dice il Papa, «ingiusta» per gli umani criteri.
Riconciliazione è la parola che dobbiamo coniugare in tutti i suoi tempi e i suoi modi. Le strutture di partecipazione della chiesa sono luoghi di riconciliazione. Noi abbiamo organismi di comunione come il consiglio pastorale e il consiglio degli affari economici, ecco il primo frutto della misericordia, ottenuta da Dio, è una partecipazione agli organismi di comunione  rinnovata e vivificata attraverso: preparazione, fatta di riflessione e di preghiera; l’ascolto con regole, tempi e contesti che lo facilitano; la progettazione stile «papa Francesco», cioè nella concretezza dei gesti e delle verifiche puntuali di essa.
Questa parola “riconciliazione” è utile anche perché ci permette di affrontare senza paura il conflitto, non c’è perdono o riconciliazione se non c’è una pace da fare, e non c’è pace da fare se non c’è da superare un conflitto. Dobbiamo accettare i nostri conflitti, le tensioni, i punti di vista diversi e talvolta opposti anche nella Chiesa. Fare finta che non ci siano, magari anche camuffando questi tentativi di rimozione con un’aurea di spiritualità, non è un buon servizio al vangelo perché non manifesta un sano rapporto con la realtà; un conflitto ben gestito può diventare una occasione di crescita, di ripartenza, di riconciliazione (cf. EG 227). Questa riconciliazione vogliamo viverla anche con chi non crede, con la modernità. Due principi hanno guidato la formazione delle strutture della chiesa primitiva e possono essere ancora oggi da guida per lo sviluppo:
Il principio ecclesiale che significa che le strutture ecclesiali sono subordinate alla missione della chiesa, come da tempo ci dice papa Francesco (cf. EG 27). Se sono appena per star bene noi, non sono cristiane.
Il principio contestuale, cioè l’attenzione ad alcuni elementi della società in cui la Chiesa vive che possono essere inclusi nelle sue strutture e aiutarle a svilupparsi.
Oggi il nostro contesto offre modelli di partecipazione attiva e dal basso, modelli di perdono e di riabilitazione. Purtroppo abbiamo smesso di farci interrogare da esperienze di riconciliazione che ci suggerisce la vita civile. C’ è più perdono nella società laica che nella chiesa. Là c’è la prescrizione; per noi se uno ha sbagliato, ha sbagliato per sempre! Là c’è una pena che una volta scontata i ridona dignità e libertà. Da noi se hai avuto una pena sei segnato per sempre. Per grazia di Dio esiste il suo perdono e l sua misericordia.

+ Domenico Sigalini

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